lunedì 6 luglio 2009

Religione di pace e tolleranza

Pechino avrebbe eseguito centinaia di arresti. Cina: scontri tra la polizia e la minoranza musulmana, 140 morti e 816 feriti. A Urumqi, nello Xinjiang, una manifestazione non autorizzata finisce nel sangue

URUMQI (CINA)
- È pesantissimo il bilancio delle proteste scatenate dalla minoranza etnica uigura musulmana nello Xinjiang, in Cina occidentale. Secondo una nota dell'agenzia ufficiale cinese Xinhua, negli scontri sono morte almeno 140 persone, mentre altre 816 sono rimaste ferite.

LA VERSIONE DEL REGIME - Secondo quanto hanno dichiarato fonti ufficiali cinesi a Urumqi centinaia di persone hanno «attaccato dei passanti» e dato fuoco alle auto. I manifestanti hanno anche bloccato la circolazione ad alcuni incroci della città, prima dell’intervento della polizia. Secondo fonti non governative invece le proteste, alle quali hanno partecipato tra le 1.000 e le 3.000 persone, sono cominciate nel pomeriggio di domenica proprio a Urumqi, capitale della regione autonoma dello Xinjiang. La rivolta era iniziata in maniera pacifica, con una marcia di circa 300 giovani uighuri, che manifestavano per la morte di due membri dell'etnia in una fabbrica di giocattoli a Canton, nel sud della Cina, dopo che erano stati accusati di aver violentato una giovane. Ma sono intervenute le forze di sicurezza e a quel punto sono iniziate i violenti scontri.

LA STORIA - Lo Xinjiang è una spina nel fianco del gigante asiatico. La provincia, nel nord-ovest del Paese, è a maggioranza musulmana. Il governo centrale di Pechino controlla lo Xinjiang con il pugno di ferro per tenere a bada una ribellione sommersa attribuita alla minoranza musulmana degli uiguri. Ai confini con l’Asia centrale, lo Xinjiang conta circa 8,3 milioni di uiguri, che lamentano la repressione politica e religiosa condotta dalla Cina dietro il paravento della lotta al terrorismo.

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