venerdì 3 luglio 2009

Pd

Dietro le quinte. Il deputato Maran: il gruppo dirigente è lo stesso dei tempi di Bush padre. L’allarme di D’Alema: avanti così e l’opposizione non esisterà più. Marino pronto a scendere in campo: bisogna modernizzare

ROMA
— Il «nuovo» che os­sessiona il Pd fatica a emerge­re. È un’operazione difficile in un partito che, come ricorda il deputato friulano Alessandro Maran «ha lo stesso gruppo di­rigente dei tempi di Bush pa­dre». O che, come suggerisce scherzosamente Gianni Cu­perlo, è ridotto a un punto tale per cui dovrebbe adottare il triste inno polacco («La Polonia non è ancora morta», recita l’inizio). Massimo D’Alema non ci prova nemme­no a cavare il «nuo­vo» dal Pd. Non è nel suo stile. E pragmatica­mente dice: «Speriamo che Bersani rimetta in se­sto questo partito, poi ve­dremo. L’importante è non andare avanti così: noi ci divi­diamo, siamo inchiodati per mesi su una discussione con­gressuale, e rischiamo di non fare più l’opposizione». Wal­ter Veltroni, invece, il «nuo­vo» ha cercato di farlo emerge­re durante la sua segreteria. E continua a provarci. Tant’è ve­ro che per rinnovare l’immagi­ne di Dario Franceschini e far dimenticare che già nel 1999 era il candidato di Franco Ma­rini alla guida del Ppi ha tirato fuori dal cilindro Debora Ser­racchiani, segretaria di sezio­ne del Pd in quel di Udine. Ma anche la Serracchiani, come racconta un ex diessino, «asso­miglia ormai al D’Alema ver­sione supponente». E a dimo­strazione del fatto che anche l’eurodeputata, suo malgrado, ha assimilato comportamenti e modi della classe dirigente del Pd nel partito si cita l’epi­sodio avvenuto ieri sera. Vel­troni ha appena finito di parla­re al Capranica quando la Ser­racchiani incrocia la deputata Paola Concia, rea di averla cri­ticata per certe sue affermazio­ni. L’europarlamentare la squadra dal basso in alto e poi gelida le dice: «La prossima volta, quando non capisci le cose, telefonami». Alla ricerca del nuovo, anco­ra una volta, nella sala del Ca­pranica dove Veltroni ha fatto il suo semi-rientro in politica e dove siede in prima fila Raf­faele Bonanni, il segretario della Cisl che insieme a tanti altri ex dc sostiene Franceschi­ni (Guglielmo Epifani, invece, non c’è). Sul palco, insieme ad altri, siede Sergio Chiampa­rino. Il sindaco di Torino non è certamente giovane, ma po­teva rappresentare il «nuovo» rispetto ai (tre) soliti noti del Pd: Massimo D’Alema, Walter Veltroni e Piero Fassino. Però si è arreso. Lunedì scorso, alle undici di sera, annunciava ai colleghi che lo sostenevano che sarebbe sceso in campo, nonostante le ire di Fassino («Piero deve capire che non lo posso seguire»). L’indomani mattina, dopo un lungo collo­quio telefonico con Veltroni cambiava all’improvviso idea. Ora è sul palco, con l’ex segre­tario, però non fa dichiarazio­ne di voto per Franceschini. Altro giro, altro Pd. Ignazio Marino è pronto a candidarsi. Salvo sorprese dell’ultim’ora domani, alla festa del Partito Democratico, il senatore-chi­rurgo annuncerà la sua candi­datura, grandemente sponso­rizzata da Goffredo Bettini. Marino spiega agli amici di es­sere «lusingato e confuso» e aggiunge: «Certo l’Italia e an­che il Pd hanno una disperata necessità di modernizzazione. Dopo i miei 18 anni negli Usa non mi aspettavo una nazione ancora così disastrata». In­somma, gli incitamenti di tan­ti sono serviti: il senatore-chi­rurgo sembra essersi deciso. Oggi, a Verona, nell’ospedale dove opera una volta la setti­mana, incontrerà alcuni qua­rantenni del Pd tra cui una parte dei cosiddetti 'piombi­ni' guidati da Paola Concia. Di­ce di lui Bettini: «Se alla fine decide di scendere in campo la sua sarà finalmente una can­didatura innovativa, ma sul se­rio, non come altre che sono state inventate da qualche me­se». Il nome di Debora Serrac­chiani Bettini non lo fa, per­ché non è nel suo stile far pole­miche senza motivo, ma ogni riferimento appare puramen­te voluto. Comunque tra i non iscritti il senatore-chirurgo suscita non pochi entusiasmi. A dire il vero ne suscita anche tra quei dirigenti del Pd che lo se­guono. Soprattutto da quan­do (l’ultima volta è stata l’al­tro ieri) non si è mosso di un millimetro di fronte a un D’Alema irritato che metteva in mezzo amicizia e politica (se ti candidi diventerai un av­versario, era il ritornello del­l’ex ministro degli Esteri).

Maria Teresa Meli

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