ROMA—In tanti a Guidonia ora vorrebbero stare qui, davanti a loro: averceli sotto mano, nove giorni dopo lo stupro. In questo stanzone freddo e disadorno, appartamentino senza finestre, dove sono arrivati da poche ore grazie al giudice che li ha scarcerati. Appena tre notti in cella e già fuori, agli arresti domiciliari in un posto segreto. I due fiancheggiatori del branco, Mugurel e Anton, anche adesso, quando parlano di donne, non vanno tanto per il sottile: «Io non le stupro, le donne, perché non ne ho bisogno — dice Mugurel Goia, 31 anni, seduto in ciabatte sul divano, gli occhi cerchiati e le mani nodose da muratore —. Alla mia fidanzata col sesso gli faccio di tutto...». E conclude la frase con un gesto dell' avambraccio molto eloquente. Luce fioca che sale dal muro, non c’è lampadario. Entrando a sinistra un cucinino a gas, a destra il divano, in mezzo un tavolino con la tovaglia cerata, a fiori. «Io al giudice l’ho detto, io con lo stupro non c’entro, fatemi la macchina della verità e vedrete che è vero», prova a discolparsi l’altro, Anton Ionut Barbu, 29 anni, grande e grosso, due spalle da lottatore, una maglia verdina e un pezzo d’ovatta infilato nell’orecchio destro. Martedì scorso, all’uscita della caserma di Guidonia, la folla tentò di linciarli tutti: i quattro del branco e i due fiancheggiatori. Senza fare troppe distinzioni. Le gazzelle dei carabinieri, con loro dentro, furono prese a pugni, calci e ombrellate. Non solo. In città, poi, s’è scatenata la caccia al romeno. Caccia indiscriminata: una molotov contro un bar, una bomba-carta dentro una macelleria. Giustizia fai-da-te. «Quei quattro quella sera erano completamente ubriachi, quando in caserma ho saputo quello che avevano combinato ho dato un calcio in bocca a uno di loro, anche Mugurel davanti al giudice ha dato uno schiaffo a un altro, i carabinieri ci hanno dovuto separare...», continua Anton Barbu, il padrone della Bmw, l’uomo che lunedì notte filava a tutta velocità insieme a Mugurel Goia e a due del branco in direzione Padova. Spegne una Winston sul tavolo, sembra a disagio ma insiste, prova comunque a spiegare: «Mirel è l’unico dei quattro che avevo conosciuto, perché viveva a Tivoli, a casa della zia di Mugurel. Ci aveva detto di aver trovato un lavoro a Padova in un cantiere, per questo aveva chiesto un passaggio in macchina. La gasolina la pagava lui e in più mi doveva dare 100 euro. Così ci siamo accordati per quella sera. Nei giorni precedenti era sembrato tranquillo, senza niente da nascondere... ». Secondo gli investigatori, però, la storia è molto diversa. Loro, la Bmw, la seguivano già da qualche giorno e avevano notato che faceva la spola tra una casa e l’altra, tra Tivoli e Castel Madama, dove vivevano i ricercati. I carabinieri, inoltre, avevano intercettato i telefonini e ascoltavano frasi come queste: «State attenti, state lontani dalle finestre, non fatevi vedere in giro... ». Insomma, i quattro del branco non erano per niente isolati, ma godevano nella zona di precise complicità. Ora, però, i due compari fanno di tutto per prendere le distanze dagli altri: «I giornali hanno scritto tante cose sbagliate, hanno scritto che ho 22 anni e invece ne ho 31, vivo in Italia da sei e ho fatto un sacco di lavori, anche a Viterbo, il muratore, il commesso in un supermercato. Ho fatto dei lavoretti pure a casa del maresciallo di Castel Madama, lui ve lo può confermare», dice Mugurel Goia, occhi pesti e graffi sulle gambe («Mi sono fatto male cadendo», taglia corto). «Io in Romania ho una figlia di 5 anni, Irina, che ha bisogno di cure, per questo tre mesi fa sono venuto in Italia, a Rimini, perchè i salari in Romania erano bassi...», aggiunge Anton Barbu. Un piccolo cane yorkshire sta in braccio a sua moglie, Alina, silenziosa e sottomessa, romena come lui, di Bucarest. In casa c’è pure il fratello minore di Mugurel, Andrej, un tipo svelto, con gli occhiali. «Quando Mirel ha raccontato che doveva andare a Padova per un cantiere—continua Barbu—io ci ho creduto: quella notte abbiamo caricato il portabagagli con i trapani, i frollini, altri attrezzi da lavoro... ». Tutta una messinscena, per i carabinieri: in realtà quegli attrezzi sarebbero serviti per le rapine a Guidonia. E poi è arrivato il momento dell’arresto. «Lunedì notte — racconta ancora Barbu — al casello di Tivoli, quando ho visto i carabinieri, non sono fuggito. Ho preso il biglietto dell’autostrada e sono ripartito con la Bmw. Poi loro mi hanno chiuso e io ho aperto lo sportello per scendere, capito?, non ho mica reagito. Perché non avevo niente da nascondere...». Mugurel vicino a lui fa un cenno d’assenso. Si capisce che entrambi vorrebbero trovare negli occhi dell’interlocutore uno straccio di comprensione. La porta si chiude e loro restano dentro. Convinti, forse, che il peggio è passato.
Fabrizio Caccia
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