È dai tempi di Lenin che non si registrava un così grande entusiasmo della sinistra mondiale per un leader. Ed è già un bel passo avanti passare dal feroce capo sovietico all’accattivante e «abbronzato» nuovo presidente degli Stati Uniti. Barack Obama, appena incoronato, ha sollevato speranze inaudite. Tutti si aspettano il miracolo. Stiamo passando dal «Santo subito» al «Santo prima». Non era successo a nessun altro leader occidentale. Gli apolidi di sinistra che, come è capitato a me, avevano pubblicamente espresso la loro simpatia per il maverick John McCain guardano questo culto della personalità «preventivo» con stupore, preoccupazione e, diciamolo, ironia. E se fosse tutto un bluff? Se le aspettative si rivelassero sproporzionate alle possibilità concrete? Tradizionalmente nella politica dei Paesi anglosassoni decisivi sono i primi cento giorni. Il panorama che guarderà da Capitol Hill il nuovo presidente è devastato da una crisi economica senza precedenti, dal dossier afghano, da quello iracheno, da quello iraniano, per tacere di Gaza e Cisgiordania. È un mondo sottosopra quello che dovrà governare Obama. Per quanto forte sia il suo carisma, per quanto innovative siano le sue idee, è difficile che un uomo solo al comando sia in grado di dare una risposta immediata a tutte queste domande. Sarà tanto se riuscirà a imprimere fiducia, se cioè sarà abbastanza berlusconiano da imporre a un’America attonita un po’ più di ottimismo. Ma miracoli non potrà farne. Proseguirà la linea di Bush nel sostegno dello Stato ai settori in crisi, rilancerà la domanda pubblica nel ricordo del New Deal di Roosevelt, porrà le basi per la ripresa ma il povero Obama non ha la bacchetta magica e già mi immagino i musi lunghi al termine dei cento giorni quando finita la luna di miele, magari dopo un nuovo scossone delle Borse, ci si accorgerà che la situazione è pressoché uguale a prima. Stessa cosa nella politica estera. Chiuderà Guantanamo, cambieranno alcuni toni nel modo di proporsi dell’America, ma Obama dovrà riuscire in primo luogo a preservare l’America da un secondo attacco terroristico e poi dovrà concentrarsi sui punti caldi senza troppi fronzoli. Aumenterà l’impegno afghano, ci sarà una data lontana per il ritiro iracheno, continuerà la faccia feroce contro Teheran, deluderà i sostenitori europei di Hamas e Hezbollah. Invece della brutale franchezza di Bush, avremo i toni ispirati di Blair o di Clinton, ogni decisione sarà infiocchettata di miti democrats, ma cambierà poco, anche se molti scriveranno che sta cambiando tutto. Come ci sono state le guerre di Bush e quelle di Clinton avremo anche le guerre di Obama e le marce di Assisi contro di lui. Una sinistra ragionevole affronterebbe con sano realismo e pragmatismo l’avvento epocale del primo afro-americano alla guida della superpotenza occidentale. Farà quel che potrà, esporrà in modo fascinoso le sue iniziative, ci dovremo accontentare e sperare che passi la «nuttata» dell’economia. Lo sentiremo più vicino a noi solo quando dovrà affrontare i conflitti con Hillary e le altre star del suo governo che gli contenderanno la prima scena. Sarà l’unico momento italiano della presidenza Usa.Non tutta la sinistra, tuttavia, è entusiasta del nuovo presidente. Il filosofo Mario Tronti, che con Asor Rosa è stato a lungo maestro di giovanili estremismi, ritiene che il fenomeno Obama sia solo l’altra faccia del solito potere americano. C’è una sinistra all’antica che non si fa incantare dal kennedismo anni 2000. Ma la sinistra veltroniana aspetta con ansia le prime mosse del nuovo leader pronta a magnificarne le gesta e a identificare il leader d’Oltreoceano con qualcuno degli sventurati leader nostrani. Da anni la sinistra italiana girovaga per il mondo. Se in Francia Ségolène Royal ha la faccia di bronzo di dire che Obama ha copiato da lei, la sinistra italiana, assai più provinciale e esterofila, si appresta a cambiare ancora una volta pelle e dopo essere stata mitterrandiana, socialdemocratica tedesca, blairiana, zapaterista oggi si concentrerà sull’obamismo. Ogni frase del nuovo leader sarà compulsata e paragonata ad analoghe frasi di Martin Luther King, di Mandela, di John e Bob Kennedy. Le guerre di Obama saranno «guerre etiche» o «interventi umanitari», come quelli di Clinton. Fino a che qualcuno non darà ragione al vecchio Tronti e dirà che l’America è sempre l’America. La sinistra si dividerà fra obamisti riformisti e non obamisti radicali. Credo nell’indifferenza generale.
mercoledì 21 gennaio 2009
Sinistre illusioni
Commento: Macché svolta. La sinistra non s’illuda di Peppino Caldarola
È dai tempi di Lenin che non si registrava un così grande entusiasmo della sinistra mondiale per un leader. Ed è già un bel passo avanti passare dal feroce capo sovietico all’accattivante e «abbronzato» nuovo presidente degli Stati Uniti. Barack Obama, appena incoronato, ha sollevato speranze inaudite. Tutti si aspettano il miracolo. Stiamo passando dal «Santo subito» al «Santo prima». Non era successo a nessun altro leader occidentale. Gli apolidi di sinistra che, come è capitato a me, avevano pubblicamente espresso la loro simpatia per il maverick John McCain guardano questo culto della personalità «preventivo» con stupore, preoccupazione e, diciamolo, ironia. E se fosse tutto un bluff? Se le aspettative si rivelassero sproporzionate alle possibilità concrete? Tradizionalmente nella politica dei Paesi anglosassoni decisivi sono i primi cento giorni. Il panorama che guarderà da Capitol Hill il nuovo presidente è devastato da una crisi economica senza precedenti, dal dossier afghano, da quello iracheno, da quello iraniano, per tacere di Gaza e Cisgiordania. È un mondo sottosopra quello che dovrà governare Obama. Per quanto forte sia il suo carisma, per quanto innovative siano le sue idee, è difficile che un uomo solo al comando sia in grado di dare una risposta immediata a tutte queste domande. Sarà tanto se riuscirà a imprimere fiducia, se cioè sarà abbastanza berlusconiano da imporre a un’America attonita un po’ più di ottimismo. Ma miracoli non potrà farne. Proseguirà la linea di Bush nel sostegno dello Stato ai settori in crisi, rilancerà la domanda pubblica nel ricordo del New Deal di Roosevelt, porrà le basi per la ripresa ma il povero Obama non ha la bacchetta magica e già mi immagino i musi lunghi al termine dei cento giorni quando finita la luna di miele, magari dopo un nuovo scossone delle Borse, ci si accorgerà che la situazione è pressoché uguale a prima. Stessa cosa nella politica estera. Chiuderà Guantanamo, cambieranno alcuni toni nel modo di proporsi dell’America, ma Obama dovrà riuscire in primo luogo a preservare l’America da un secondo attacco terroristico e poi dovrà concentrarsi sui punti caldi senza troppi fronzoli. Aumenterà l’impegno afghano, ci sarà una data lontana per il ritiro iracheno, continuerà la faccia feroce contro Teheran, deluderà i sostenitori europei di Hamas e Hezbollah. Invece della brutale franchezza di Bush, avremo i toni ispirati di Blair o di Clinton, ogni decisione sarà infiocchettata di miti democrats, ma cambierà poco, anche se molti scriveranno che sta cambiando tutto. Come ci sono state le guerre di Bush e quelle di Clinton avremo anche le guerre di Obama e le marce di Assisi contro di lui. Una sinistra ragionevole affronterebbe con sano realismo e pragmatismo l’avvento epocale del primo afro-americano alla guida della superpotenza occidentale. Farà quel che potrà, esporrà in modo fascinoso le sue iniziative, ci dovremo accontentare e sperare che passi la «nuttata» dell’economia. Lo sentiremo più vicino a noi solo quando dovrà affrontare i conflitti con Hillary e le altre star del suo governo che gli contenderanno la prima scena. Sarà l’unico momento italiano della presidenza Usa.Non tutta la sinistra, tuttavia, è entusiasta del nuovo presidente. Il filosofo Mario Tronti, che con Asor Rosa è stato a lungo maestro di giovanili estremismi, ritiene che il fenomeno Obama sia solo l’altra faccia del solito potere americano. C’è una sinistra all’antica che non si fa incantare dal kennedismo anni 2000. Ma la sinistra veltroniana aspetta con ansia le prime mosse del nuovo leader pronta a magnificarne le gesta e a identificare il leader d’Oltreoceano con qualcuno degli sventurati leader nostrani. Da anni la sinistra italiana girovaga per il mondo. Se in Francia Ségolène Royal ha la faccia di bronzo di dire che Obama ha copiato da lei, la sinistra italiana, assai più provinciale e esterofila, si appresta a cambiare ancora una volta pelle e dopo essere stata mitterrandiana, socialdemocratica tedesca, blairiana, zapaterista oggi si concentrerà sull’obamismo. Ogni frase del nuovo leader sarà compulsata e paragonata ad analoghe frasi di Martin Luther King, di Mandela, di John e Bob Kennedy. Le guerre di Obama saranno «guerre etiche» o «interventi umanitari», come quelli di Clinton. Fino a che qualcuno non darà ragione al vecchio Tronti e dirà che l’America è sempre l’America. La sinistra si dividerà fra obamisti riformisti e non obamisti radicali. Credo nell’indifferenza generale.
È dai tempi di Lenin che non si registrava un così grande entusiasmo della sinistra mondiale per un leader. Ed è già un bel passo avanti passare dal feroce capo sovietico all’accattivante e «abbronzato» nuovo presidente degli Stati Uniti. Barack Obama, appena incoronato, ha sollevato speranze inaudite. Tutti si aspettano il miracolo. Stiamo passando dal «Santo subito» al «Santo prima». Non era successo a nessun altro leader occidentale. Gli apolidi di sinistra che, come è capitato a me, avevano pubblicamente espresso la loro simpatia per il maverick John McCain guardano questo culto della personalità «preventivo» con stupore, preoccupazione e, diciamolo, ironia. E se fosse tutto un bluff? Se le aspettative si rivelassero sproporzionate alle possibilità concrete? Tradizionalmente nella politica dei Paesi anglosassoni decisivi sono i primi cento giorni. Il panorama che guarderà da Capitol Hill il nuovo presidente è devastato da una crisi economica senza precedenti, dal dossier afghano, da quello iracheno, da quello iraniano, per tacere di Gaza e Cisgiordania. È un mondo sottosopra quello che dovrà governare Obama. Per quanto forte sia il suo carisma, per quanto innovative siano le sue idee, è difficile che un uomo solo al comando sia in grado di dare una risposta immediata a tutte queste domande. Sarà tanto se riuscirà a imprimere fiducia, se cioè sarà abbastanza berlusconiano da imporre a un’America attonita un po’ più di ottimismo. Ma miracoli non potrà farne. Proseguirà la linea di Bush nel sostegno dello Stato ai settori in crisi, rilancerà la domanda pubblica nel ricordo del New Deal di Roosevelt, porrà le basi per la ripresa ma il povero Obama non ha la bacchetta magica e già mi immagino i musi lunghi al termine dei cento giorni quando finita la luna di miele, magari dopo un nuovo scossone delle Borse, ci si accorgerà che la situazione è pressoché uguale a prima. Stessa cosa nella politica estera. Chiuderà Guantanamo, cambieranno alcuni toni nel modo di proporsi dell’America, ma Obama dovrà riuscire in primo luogo a preservare l’America da un secondo attacco terroristico e poi dovrà concentrarsi sui punti caldi senza troppi fronzoli. Aumenterà l’impegno afghano, ci sarà una data lontana per il ritiro iracheno, continuerà la faccia feroce contro Teheran, deluderà i sostenitori europei di Hamas e Hezbollah. Invece della brutale franchezza di Bush, avremo i toni ispirati di Blair o di Clinton, ogni decisione sarà infiocchettata di miti democrats, ma cambierà poco, anche se molti scriveranno che sta cambiando tutto. Come ci sono state le guerre di Bush e quelle di Clinton avremo anche le guerre di Obama e le marce di Assisi contro di lui. Una sinistra ragionevole affronterebbe con sano realismo e pragmatismo l’avvento epocale del primo afro-americano alla guida della superpotenza occidentale. Farà quel che potrà, esporrà in modo fascinoso le sue iniziative, ci dovremo accontentare e sperare che passi la «nuttata» dell’economia. Lo sentiremo più vicino a noi solo quando dovrà affrontare i conflitti con Hillary e le altre star del suo governo che gli contenderanno la prima scena. Sarà l’unico momento italiano della presidenza Usa.Non tutta la sinistra, tuttavia, è entusiasta del nuovo presidente. Il filosofo Mario Tronti, che con Asor Rosa è stato a lungo maestro di giovanili estremismi, ritiene che il fenomeno Obama sia solo l’altra faccia del solito potere americano. C’è una sinistra all’antica che non si fa incantare dal kennedismo anni 2000. Ma la sinistra veltroniana aspetta con ansia le prime mosse del nuovo leader pronta a magnificarne le gesta e a identificare il leader d’Oltreoceano con qualcuno degli sventurati leader nostrani. Da anni la sinistra italiana girovaga per il mondo. Se in Francia Ségolène Royal ha la faccia di bronzo di dire che Obama ha copiato da lei, la sinistra italiana, assai più provinciale e esterofila, si appresta a cambiare ancora una volta pelle e dopo essere stata mitterrandiana, socialdemocratica tedesca, blairiana, zapaterista oggi si concentrerà sull’obamismo. Ogni frase del nuovo leader sarà compulsata e paragonata ad analoghe frasi di Martin Luther King, di Mandela, di John e Bob Kennedy. Le guerre di Obama saranno «guerre etiche» o «interventi umanitari», come quelli di Clinton. Fino a che qualcuno non darà ragione al vecchio Tronti e dirà che l’America è sempre l’America. La sinistra si dividerà fra obamisti riformisti e non obamisti radicali. Credo nell’indifferenza generale.
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2 commenti:
Obama rappresenta ancora un'incognita che bisognerà vedere come si rivelerà alla prova dei fatti.Per ora si può dire che parte senz'altro con il piede giusto, specie nel contesto americano, di una popolarità enorme. Speriamo non sprechi questo vantaggio iniziale straordinario. Qualche riflessione mia personale su di lui, scritta subito dopo l'elezione, la puoi trovare sul mio blog www.tommasopellegrino.blogspot.com.
Ti informo che troverai anche una mia risposta alla domanda che ti poni sulla "guerra proporzionata" in un commento che hai fatto al post su Alberto Tomba di Blacknights, sempre tra i commenti a quello stesso post.
Ciao. Ti aspetto sul mio blog e a risentirci.
Tommaso Pellegrino-Torino
Ciao Tommaso, si forse senza dubbio sarà una incognita Obama ma in tanti dicono che non sarà poi così diverso da Bush, quindi non capisco come tutti possano pensarlo come un "risolutore" dei mali della terra.Per quanto riguarda la popolarità, bhe, può solo ringraziare le lobby e i media che lo hanno molto molto aiutato. Vedremo come se la caverà. Io sono scettica.
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