mercoledì 28 gennaio 2009

Carceri

Caliendo: "In carcere nel loro Paese" di Stefano Zurlo

Milano - Due accordi con Bucarest e Tirana. E molta buona volontà. Ma, per il momento, i detenuti restano qua. Nelle carceri italiane. Giacomo Caliendo, sottosegretario alla giustizia, allarga le braccia: «Stiamo lavorando. Ma ci vorrà tempo».

Gli stupratori di Guidonia sconteranno le pene in Romania? «È il nostro obiettivo».

In concreto? «Qualche settimana fa i ministri Alfano e Maroni hanno raggiunto un accordo in tal senso con Bucarest».

Che cosa prevede l’intesa? «Il progetto è ambizioso: i romeni verranno trasferiti nelle prigioni del loro Paese. Ma ci sono dei ma».

Quali? «Anzitutto dobbiamo chiarire che stiamo parlando sempre e solo di pene definitive».

Quindi, tornando a Guidonia, se ne parlerà dopo il processo, anzi, dopo l’eventuale sentenza definitiva della Cassazione? «Esatto».

Ma per arrivare in Cassazione ci vogliono anni. «Non è possibile fare diversamente. Prima si arriva ad un verdetto irrevocabile, poi si può pensare al rimpatrio».

In sostanza, se va bene, il branco di Guidonia trascorrerà nelle prigioni romene l’ultimo periodo della pena? «Sì. Ma c’è un altro intoppo».

Quale? «La strada è tracciata, ma siamo solo agli inizi e, a quanto mi risulta, in ogni caso la sentenza italiana deve passare al vaglio della giustizia romena. Non dico che rifaranno i processi, ma certo ci sarà una sorta di riesame della situazione. Il passaggio di consegne non è e non sarà mai automatico».

Insomma, ci dobbiamo rassegnare? «No, ripeto, stiamo cercando l’intesa con i nostri partner in Europa, ma il cammino non è facile. In ogni caso, potremo valutare la situazione fra qualche mese, siamo in una fase di rodaggio».

D’accordo. Ma in Europa non c’è solo la Romania. «La strada degli accordi bilaterali era già stata imboccata dal precedente governo Berlusconi e in particolare dall’allora guardasigilli Castelli che aveva raggiunto un’intesa con l’Albania».

Il risultato? «Anche qua, va da sé, parliamo di pene definitive».

In pratica, cosa è accaduto? «Mi risulta che fino a oggi pochi detenuti siano stati spediti a Tirana per scontare la pena. Pure, era previsto che l’Italia finanziasse la costruzione di un nuovo carcere in Albania, ma a quanto mi dicono, Tirana l’ha riempito di detenuti locali».

Fuori dall’Europa? «I problemi si complicano. Rimaniamo con i piedi per terra: per ora occupiamoci di Romania e Albania».

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