ROMA - «Confusione, imperizia, errori. Una conflittualità interna ereditata da scontri ventennali nel Pci-Pds-Ds... Il passato ognuno lo giudichi come crede. Ora abbiamo davanti a noi mesi decisivi per uscire dalle difficoltà e puntare al riscatto. C'è un'occasione preziosa e Walter Veltroni deve sfruttarla. Dovrà esercitare la leadership per forgiare l'identità del Pd, per parlare a un Paese che attraversa il deserto della grande crisi». È sul tema dell'economia che si giocherà il destino del Pd, secondo Francesco Rutelli: «E per mobilitare l'opinione pubblica dovremo offrire una ricetta capace di mordere, non come la petizione "Salva l'Italia" per la quale abbiamo sprecato mesi a raccogliere le firme». Non ha incarichi nel partito, Rutelli, «ma ciò non significa che assista disinteressato alle sorti dei democratici. Il Pd vive una fase molto delicata e ha bisogno di una robusta cura ricostituente. Per questo d'ora in avanti dirò con libertà quello che penso, darò una mano con proposte che spero siano ascoltate. Anche per spazzare il campo da immagini caricaturali sul mio conto, sulle voci di disegni ostili al partito: nessuno immagina il ritorno ai Ds e alla Margherita. Il passato resterà passato, sebbene alcuni aspetti del presente diano la sensazione di ritorni all'antico. Piuttosto, concentriamoci sui prossimi mesi, che saranno decisivi».
E qual è il nesso tra la crisi economica e la crisi del Pd? «La crisi economica è un'occasione troppo importante perché sia sprecata. Finora al Pd è mancata un'identità, che non si può costruire — come accadeva un tempo — usando l'ideologia o facendo un patchwork di idee ereditate dai partiti fondatori. Oggi l'identità e anche il consenso si formano nella battaglia politica, come dimostra Silvio Berlusconi. E la situazione economica ci offre la possibilità di rilanciarci. In direzione Veltroni ha avanzato un progetto coraggioso, in particolare sulle questioni del lavoro. Serve un'azione determinata, a fronte di un governo immobile e che ha varato un piano di stimolo all'economia impalpabile».
Voi sfidate il governo? «Per la prima volta dal voto, la maggioranza si mostra divisa. Si evidenziano linee diverse tra Forza Italia e An, e tra il Pdl e la Lega. Forse le crepe sono frutto della troppa sicurezza, del fatto che non si sentono insidiati dall'opposizione. Il punto è che il Pd è andato alle urne con un solo alleato. E nel tempo l'alleato si è rivelato un acerrimo avversario. Il suo leader...».
Si riferisce ad Antonio Di Pietro... «... Il suo leader ha usato il profilo monocratico del suo partito per metterci in difficoltà. Paradossalmente, dopo aver criticato per anni il carattere monarchico del berlusconismo, ci siamo accompagnati a un partito-proprietario, basato su un forte populismo. Oggi emergono tutti i limiti dell'Idv, che conosce una fase di grave difficoltà. Non mi riferisco ai problemi giudiziari, parlo di politica. Ebbene, oggi noi possiamo liberarci da questo attacco».
Non sarà tardi, visto che i sondaggi vi danno al 23%? «Non bisogna nevrotizzarsi, non sono voti, segnalano difficoltà di cui siamo consapevoli. Semmai il rischio maggiore per il Pd è la demotivazione della base, che può tradursi in un pesante astensionismo nelle urne».
E le urne si avvicinano, a giugno ci sono Amministrative ed Europee: cosa accadrebbe se il Pd scendesse sotto il 30%? «È vero che Ds e Margherita, quando si sono uniti nel voto, non sono mai scesi sotto il 30%. Il fatto è che in una fase post-ideologica l'eredità non può essere una rendita. Ecco perché serve una ripartenza del Pd: con proposte concrete e con il progetto di Veltroni, che va implementato».
Dunque se il progetto di Veltroni non funzionasse... «Viviamo nell'età della leadership. Con le primarie abbiamo dato al segretario un mandato forte. Ha un potere che nè io nè Piero Fassino abbiamo avuto quando eravamo i leader dei Dl e dei Ds. Insomma, Walter ha una responsabilità speciale».
Ma se è sempre invischiato in lotte di potere interne... «Veltroni è il leader. Ha un mandato e l'autorità. La eserciti».
La si esercita attaccando i telequiz, o criticando il governo perché non va alla cerimonia di insediamento di Obama? «Battute se ne fanno, quando si parla. Contano altre cose. E io mi concentrerei sui temi economici e sociali, rilanciando al governo la richiesta di un punto di Pil per una manovra anti-ciclica: occupazione, meno tasse sul lavoro, aiuto alle piccole imprese, famiglia, liberalizzazione. Qui dovremo raccogliere le firme, mobilitare i militanti. Mi aspetto che Veltroni lo faccia».
Ciò vuol dire che se a giugno vince, vince lui. E se perde... «Perde il Pd, non Veltroni. Nel senso che, certo, sarebbe sua la responsabilità. Ma in caso di sconfitta non basterebbe solo cambiare una persona. Sarebbe un evento traumatico, una botta: vorrebbe dire che il partito non riesce a decollare».
Intanto non riuscite neanche ad avere una visione comune sulla politica estera. «Sulla politica economica e su quella estera c'è sintonia. Massimo D'Alema è stato un titolare della Farnesina molto apprezzato. In effetti sul Medio-Oriente ci sono storiche divergenze con lui. Io, che da sindaco di Roma offri all'Anp la sede italiana, penso a Israele come a una grande democrazia in un piccolo Paese, minacciata da Teheran, attaccata da Hezbollah e Hamas, bersagliata dal terrorismo fondamentalista. Non possiamo essere equidistanti tra Israele e Hamas».
Ma a Roma l'altro giorno un pezzo di sinistra ha mostrato tratti anti semiti. «Ci sono frange, ma sono fortemente minoritarie rispetto ad altri Paesi europei. Piuttosto, della manifestazione mi ha colpito la preghiera dei musulmani davanti al Colosseo, in un corteo con vari esponenti politici. Se penso alle polemiche sulla laicità, se penso al putiferio che si scatena a sinistra appena un prete parla di aborto o di famiglia... C'è una certa asimmetria, diciamo».
Le stesse polemiche che si scatenano a sinistra appena si sente parlare di riforma della giustizia. «Sulla giustizia si sono registrati degli avvicinamenti con la maggioranza. Penso all'interessante lettera del presidente della Camera pubblicata dal Corriere, ma anche all'approccio positivo del ministro della Giustizia con l'opposizione. Sì, stavolta forse è la volta buona: perché non si discute più di leggi ad personam ma di come far funzionare il sistema al servizio dei cittadini».
Non la preoccupano le resistenze dei magistrati? «Fatta salva l'autonomia dell'ordine giudiziario, le riforme le fa il Parlamento, che non dev'essere condizionato dall'esterno».
Il Pd si è convinto al dialogo dopo esser stato colpito dalla questione morale? «Tutti i fatti di corruzione e disonestà che vanno perseguiti con intransigenza. Lasciamo lavorare i magistrati. Per ora abbiamo letto sui giornali atti di indagini con tonnellate di intercettazioni, dove comparivano molte parole e pochi delitti».
Alcune «parole» hanno colpito anche lei nell'inchiesta di Napoli sul «caso Romeo». «Comparivano terze persone che parlavano di me. Per questo sono andato e ho chiarito tutto e subito con i magistrati».
Tra le «terze persone» c'è il deputato Renzo Lusetti, a lei molto vicino: in quali rapporti siete ora? «Più che definirlo esuberante non posso. Rispetto a quello che è apparso sui giornali, dico solo che — dopo un mese — tutto conferma la mia correttezza».
In quei giorni però da Veltroni non è giunta la stessa solidarietà riservata poi a Di Pietro. «La solidarietà si esprime a chi si trova in difficoltà. Non c'era dunque motivo che mi venisse data. Piuttosto bisognava darla all'onorevole Margiotta, per il quale era stato chiesto addirittura l'arresto, che poi la stessa magistratura revocò. L'Idv in Parlamento votò per togliergli la libertà. Quello fu un atto politicamente enorme, lì il Pd avrebbe dovuto dare una risposta fiera ma non la diede».
Francesco Verderami
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