domenica 25 gennaio 2009

Lampedusa

Lampedusa ostaggio dei clandestini. Questa volta facciamo come Zapatero di Maria Giovanna Maglie

La giornata non è finita, ed è inutile dirsi che tutto va bene, perché non è così: a Lampedusa la situazione dei clandestini è precipitata, gli effetti nefasti della sceneggiata messa in scena ieri sono ancora tutti da verificare, e i responsabili hanno nomi e cognomi, a partire da quello del primo cittadino, che non ha esitato a usare gli immigrati per ricattare il governo.Gli abitanti di questa isola sono esasperati e hanno ragione, così è stato facile manipolarli. A sera un gruppo di extracomunitari si è rifiutato di tornare nel centro di accoglienza e ha saccheggiato un bar, il «Mille e una notte». Bottiglie di liquore vuote e coltelli presi dalla cucina, insomma armati seriamente e seriamente pericolosi, minacciano di togliersi la vita per ottenere di non essere rimpatriati. All’appello su milletrecento ne mancano più di cento. L’arbitrio e la violenza ancora una volta vengono spacciati per difesa della libertà e per pratica antirazzista. Da qui, dall’isola violata, appare in tutta la sua cruda chiarezza l’urgenza di uno scatto di reni, di una risposta forte, anche a dispetto del consenso momentaneo. I clandestini da Lampedusa se ne devono andare, a Lampedusa non ne devono più sbarcare, a costo di seguire l’esempio del socialista spagnolo José Luis Zapatero, che fa sparare sulle navi al largo, o del governo olandese che, semplicemente e brutalmente, dal primo di gennaio non consente l’ingresso a bulgari e romeni. Con i governi dei Paesi di origine, con il tunisino Ben Ali e ancora di più con il libico Gheddafi, ci vogliono toni duri nel trattare le prossime condizioni. Se i barconi della speranza, che finisce quasi sempre in tragedia, partono dalle loro coste, è perché il commercio umano viene consentito e perfino appoggiato, visto il denaro che rende.Naturalmente la ricostruzione della giornata di protesta è più complicata e più grave di quanto sia stato ripetuto dai telegiornali. Dal centro di accoglienza non sono usciti spontaneamente, li hanno chiamati, gridando ai megafoni «Libertà libertà» e «Venite fuori», un gruppo di abitanti, che facevano parte della marcia, quelli che il sindaco chiama «il mio popolo», in mezzo ai quali non è difficile riconoscere provocatori di professione, pacifisti un tanto al chilo, rappresentanti di associazioni e organizzazioni non governative che dell’assistenzialismo hanno fatto opulento business. Tanto hanno fatto che gli immigrati hanno forzato i cancelli e si sono messi in corteo. Difficile non pensare che non fosse tutto preordinato. Hanno raggiunto la piazza del Municipio assieme al resto del gruppo di dimostranti che teneva in mano schede elettorali da riconsegnare per protesta, contro l’apertura del nuovo centro di identificazione degli immigrati. La nuova struttura è finalmente un passo verso la decisione irrinunciabile di una politica di espulsione. Gli extracomunitari giustificatamente la vivono come un pericolo tremendo e chiedono di poter lasciare il centro, essere trasferiti nei Cpt di Brindisi, per poi poter raggiungere le loro famiglie, ammesso che ne abbiano veramente, in Francia, Germania e Nord Italia. Quel che è più sospetto è che al nuovo centro si oppongano anche il sindaco, Bernardino De Rubeis, eletto nelle liste del Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo e che addirittura l’ex sindaco, Totò Martello, sia il leader del comitato che si oppone alla realizzazione. La polizia? Gli ordini ieri evidentemente erano di grande morbidezza, e si vedrà anche nei prossimi giorni quanto questa morbidezza, che si applichi agli islamici che bruciano bandiere di Israele e pregano rivolti alla Mecca davanti al Duomo di Milano a stranieri che rubano e stuprano in tutta Italia o a clandestini che pretendono di protestare contro il Paese che li ha accolti anche se non sarebbe stato tenuto a farlo sia una scelta sbagliata e pavida. Lampedusa non corre il rischio di diventare Alcatraz, è già Alcatraz, solo che i veri prigionieri sono gli abitanti. Lampedusa è piccola ed è soffocata dagli sbarchi, dal fetore della miseria, dal senso di impotenza. Da troppi anni la vita quotidiana è segnata dagli arrivi e dai morti. Sulla spiaggia ai bambini che giocano è quasi indifferente inciampare in qualche cadavere. Il Centro di prima accoglienza supera ciclicamente il livello di guardia. Tuttavia è dall’isola piagata che deve partire la soluzione. Per questa ragione ha fatto bene il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che ha deciso di trattenere qui tutti gli immigrati sbarcati nelle ultime settimane, in attesa dell’identificazione e del rimpatrio coatto. La scelta è stata subito duramente contestata dal sindaco, che si è messo a lanciare un appello al giorno. Lo hanno raccolto naturalmente esponenti della disastrata opposizione, e una delegazione del Pd, capeggiata da Dario Franceschini, si è precipitato sull’isola da indignato speciale, per bollare la politica del governo con tre parole: «Fallimento, imbroglio e vergogna». «Quello che ho visto - ha detto Franceschini - ha a che fare con il più elementare rispetto dei diritti umani. Il Cpt è una vergogna e l’affollamento della struttura non è frutto di sbarchi imprevisti ma di una scelta ideologica del governo di destra e del ministro Maroni». Il ministro ha ribadito la fermezza nel contrasto all’immigrazione clandestina «nell’interesse anche dei cittadini di Lampedusa, perché questo può essere un deterrente per coloro che vogliono partire». Il Consiglio dei ministri gli ha dato ragione, ha approvato il centro di identificazione ed espulsione, e la costituzione di un comitato interministeriale per definire iniziative future a favore dell’isola. A questo punto è stata organizzata la protesta «spontanea», a uso e consumo dei soliti fessi che da noi sono sempre pronti a spargere una lacrimuccia per il povero extracomunitario, ma che di fronte all’aggressione delle frontiere restano orgogliosamente indifferenti. Possibile che finisca così?

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