lunedì 26 gennaio 2009

Precisazioni?

La politica inganna l'opionione pubblica sul caso dello stupratore di capodanno. Il violentatore non se l'è cavata. La custodia cautelare non è affatto l'anticipazione del futuro «castigo» che il «colpevole » meriterà.

È crudele che la politica inganni l'opinione pubblica alimentando nei cittadini l'equivoco alla base delle polemiche sugli arresti domiciliari chiesti dalla Procura di Roma per il violentatore di una ragazza a Capodanno, come se costui l'avesse fatta franca per il solo fatto di essere oggi agli arresti a casa invece che in carcere. Nell'ordinamento vigente, infatti, la custodia cautelare non è affatto l'anticipazione del futuro «castigo» che il «colpevole» meriterà per il delitto commesso, non è un antipasto della punizione, non è il modo di risarcire la parte lesa per il male patito e la collettività per l'infrazione alle regole. La punizione per il dolore arrecato alla vittima, la pena equa per il delitto commesso, la sanzione che potrà disattendere le giustificazioni «buoniste» abbozzate dall'indagato (ero drogato, non ero in me, sono pentito), vanno chieste alla sentenza del processo, non adesso, alla carcerazione del giovane. La custodia cautelare in carcere, invece, è solo uno strumento utilizzabile dai magistrati, per un limitato periodo di tempo e se ve ne sia motivo ricavato da specifici elementi, per tutelare la genuinità delle indagini dal pericolo di inquinamento delle prove, per neutralizzare il pericolo che l'indagato fugga, per contenere il rischio che ricommetta il reato. Tre esigenze cautelari che, nel caso dell'indagato romano (reo confesso, incensurato, facilmente controllabile nell'abitazione dei genitori) il pm ha valutato soddisfatte già dagli arresti in casa in attesa del processo. Soluzione che, ad esempio, potrebbe invece non essere percorribile per un italiano con precedenti penali specifici; o per lo straniero sospettato di uno stupro, che potrebbe restare in carcere a motivo non di un discrimine etnico, ma dell'assenza di un domicilio certo che lascerebbe permanere il pericolo di irreperibilità e quindi di reiterazione del reato. Tutto ciò la politica sa benissimo, ma si guarda bene dallo spiegarlo ai cittadini. Anzi continua a smarrirli e disorientarli, per esempio alimentando l'illusione per cui, se «è la legge sbagliata», allora «la si cambierà» in modo che per reati gravi come lo stupro la carcerazione prima del processo «sia obbligatoria»: è una presa in giro, giacché chi la propone sa bene che la Consulta ha più volte rimarcato che contrasterebbe con i principi costituzionali qualunque norma che stabilisse per alcuni reati l'automatica applicazione della custodia cautelare in carcere, ribadendo invece che in base a quei principi deve essere sempre lasciato al giudice uno spazio di valutazione dell'indagato-concreto nel caso-concreto. Ma l'assurdità e al tempo stesso la contraddizione più clamorose arrivano da quella politica che, negli arresti domiciliari all'indagato per stupro, censura l'assenza di «pene esemplari senza pietà » (come da destra il ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna), o si duole che «così passi un messaggio di non gravità dello stupro» (come da sinistra la sua collega del Pd, il ministro-ombra Vittoria Franco). Assurdo, perché il compito dei magistrati non è lanciare «messaggi» sui «fenomeni», e nemmeno produrre «esemplarità», ma giudicare singole persone in casi concreti. E contraddittorio, perché una magistratura che lanciasse «messaggi», o producesse «esempi», farebbe non il proprio lavoro ma supplenza della politica o della sociologia: cioè proprio quello che la politica critica, e a ragione, quando è la politica a subire quella «messaggistica» o quegli aneliti di «esemplarità» che talvolta affiorano nelle pieghe di provvedimenti giudiziari confusi, sovrabbondanti, sproporzionati. Più utile forse del rituale invio di ispettori ministeriali alla Procura di turno, forse sarebbe dare concretezza ai tante volte annunciati, e altrettante volte rimandati o tenuti a bagnomaria, interventi pratici per velocizzare la celebrazione dei processi. Anche nel caso dello stupro romano, infatti, è su questo terreno che si giudicherà davvero la capacità dello Stato di dare una reale risposta alla ragazza violentata: non sulla manciata in più o in meno di giorni in carcere preventivo per il suo violentatore adesso, ma sulla rapidità di approdare al dibattimento, di celebrarne con le ordinarie garanzie il giudizio, e di assicurare l'effettività della pena definitiva.

Luigi Ferrarella

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