mercoledì 15 settembre 2010

Non uno ma tanti...

Anche l'islam ha tanti reverendi Jones di Vittorio Emanuele Parsi

Ma quanti «reverendi Jones» ci sono nel mondo islamico e quanto grande è il loro seguito? La sconsiderata minaccia di questo oscuro pastore di un’ancor più sconosciuta chiesa evangelica della Florida, peraltro neppure attuata, di bruciare il Corano ha offerto il pretesto per l’ennesima strage di cristiani nel subcontinente indiano. Tutto ampiamente e drammaticamente previsto, ma oggi, mentre contiamo le vittime innocenti di una violenza inaccettabile, è impossibile fare a meno di sottolineare che, se bruciare i libri è esecrabile, ammazzare persone innocenti è peggio. Perentorie, in tal senso, le parole del vescovo di Jammur & Kashmir nell’intervista rilasciata a La Stampa di ieri, «non si può giustificare con una proposta offensiva la soppressione di vite innocenti», e neppure di quella del «colpevole» autore della proposta, mi sentirei di aggiungere. Non dovrebbe mai essere dimenticato del resto che, per quanto non sia condivisibile dar fuoco ai simboli e alle effigi che non ci piacciono, una simile pratica rientra pur sempre nella libertà d’espressione, la quale nelle democrazie gode della massima tutela, perché se la prima vacilla trascina nella sua caduta anche le seconde. Non per caso, una trentina d’anni fa, la Corte Suprema riconobbe il diritto di bruciare la bandiera degli Stati Uniti come un esercizio, per quanto detestabile, di tale libertà, dichiarando incostituzionali le norme che ben 48 Stati dell’Unione su 50 avevano adottato a difesa del vessillo a stelle e strisce. È del tutto evidente che «l’amor di Patria» e il «timor di Dio» sono sentimenti in sé rispettabili e sacri per i rispettivi credenti, ma sarebbe una deroga inammissibile al principio della libertà di espressione pretendere che ciò che per gli uni o gli altri è «sacro e inviolabile» venisse sottratto all’esercizio di una delle principali libertà, sia pure in forme, lo ripetiamo, assai discutibili.

La «prevedibilità» della violenza scatenata in India contro cristiani colpevoli solo di essere tali, non toglie niente alla sua inaccettabilità e pretestuosità. È solo l’ennesima manifestazione della dilagante e crescente intolleranza nell’Islam, una vera e propria malattia che sta soffocando le società dove l’Islam è religione maggioritaria, e che rischia di restringere gli spazi di libertà anche nelle nostre società. Che siano le vignette danesi, le provocazioni di un idiota o più sofisticate polemiche culturali, quando un qualunque imam leva la voce per scatenare la violenza è sicuro di trovare seguito e, troppo spesso, anche la connivenza delle autorità (basti pensare ai cristiani impiccati in Pakistan per blasfemia dopo «regolare processo»). Come ha sottolineato ieri Angelo Panebianco con l’abituale franchezza sul Corriere, «la “loro” malattia dovrebbe essere, ma non è, il nostro primo argomento di discussione».

Nei giorni scorsi i media sono stati accusati di aver «creato il mostro», facendo del reverendo Jones un personaggio planetario. La verità è che l’attenzione che i media occidentali hanno dedicato a Jones semplicemente obbedisce a un vecchio adagio della professione: «un cane che morde un uomo non fa notizia, un uomo che morde un cane è una notizia». Proprio perché viviamo in società laiche e liberali, ci fa specie e desta il nostro sdegno ogni deriva della versione del sentimento religioso oggi prevalente in Occidente. Secoli di guerre civili di religione intra-occidentali ci hanno dolorosamente vaccinato rispetto ai rischi dell’uso politico e violento delle religioni e insegnato i vantaggi della tolleranza.

Diversamente stanno le cose in gran parte del mondo islamico, nel quale l’utilizzo politico del movente religioso gode di un successo tanto maggiore quanto più è estremo e dove anche i media, troppo spesso, giocano un ruolo diverso. Non è un caso che, a scatenare i professionisti della violenza religiosa in Kashmir sia stata la diffusione di immagini della «profanazione» del Corano da parte dell’iraniana Press Tv, cioè della televisione di un Paese la cui legislazione considera normale la lapidazione delle adultere...

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