lunedì 27 settembre 2010

Punti di vista


Dopo l’11 Settembre il mondo arabo e musulmano è diventato protagonista assoluto delle cronache occidentali, com’era già successo in passato ogni volta che l’Europa ha patito la pressione dell’imperialismo islamico. Di quel mondo, che poi sono più mondi, abbiamo scrutato fin nel dettaglio i mali oscuri, il fondamentalismo religioso, le tirannie, il modo a volte ripugnante di trattare le donne, i gay, i giovani, gli apostati e le minoranze che non possono difendersi. Sempre di più, nei Paesi occidentali si è diffusa la paura verso la potenza generativa del mondo musulmano, nei confronti degli immigrati che giungono nei “paesi ricchi” talvolta cercando una difficile integrazione altre volte imponendoci il loro stile di vita. Reclusi con il loro assenso nei ghetti metropolitani, i nuovi arrivati non hanno turbato le coscienze dei benpensanti che, anzi, difendono questa separazione col brevetto del multiculturalismo. Dell’Islam si è scritto e detto di tutto, spesso confondendo artatamente le questioni legate alla nostra sicurezza con l’immagine del musulmano – kalashnikov in una mano e Corano nell’altra, come se nell’esistenza di questi popoli ci fosse spazio soltanto per l’odio e la violenza. Non dovremmo esagerare con la “grande minaccia” perché l’Orientalismo, una certa rappresentazione forzosa del mondo musulmano, ideologizzata quanto mediatizzata, è come un macigno che seppellisce ogni altra questione culturale, politica e strategica del futuro. La guerra ad Al Qaeda non è finita, e forse un giorno non troppo lontano l’Europa conoscerà – come ha giù sperimentato episodicamente – la sollevazione dei giovani arabi che odiano o provano risentimento verso la cultura e la storia dei Paesi che li ospitano; ma non vanno sottovalutate le condizioni degradanti in cui si trovano a vivere, tra povertà e clandestinità, mentre di fronte a loro scintilla illusoria e a portata di mano quella “grande opportunità” che le democrazie occidentali non riescono più a garantire neppure ai loro figli.

La futurologia è a volte un esercizio senza prospettive perché si stacca dalla storia passando sul piano enigmatico del vaticinio; ciò nonostante bisogna chiedersi come cambierà il mondo da qui alla metà del XXI secolo. Siamo proprio sicuri che tutto si ridurrà a un copione già scritto? Un Islam straripante che non si fermerà a Vienna o in Andalusia ma diventerà la principale religione europea, scalzando il Cristianesimo; la lunga decadenza dell’Occidente pronto a ricorrere continuamente alle armi per difendere la propria essenza e le sue ricchezze; l’emergere di nuove potenze come la Cina, il Brasile o l’India, che in realtà sono già emerse da tempo. Scenari di cui si legge abitualmente anche se le cose potrebbero andare diversamente, ecco tutto. Primo. Verrà il momento in cui anche nel mondo arabo e musulmano sorgerà una classe media “pop” simile a quella dominante nelle democrazie occidentali. La borghesia global è una cerchia di persone, non proprio ristretta, che condivide le stesse esigenze di benessere, lavoro, progresso. Un gruppo umano tendenzialmente pacifico. Quando i tassi demografici delle famiglie arabe e musulmane inizieranno a scendere, si ridurrà anche il peso delle grandi migrazioni. Le donne avranno più tempo per istruirsi e conquistare i propri diritti, riequilibrando la loro posizione all’interno di una società ancora profondamente patriarcale. I giovani si ribelleranno a forme di autoritarismo che oggi non sarebbe esagerato definire medievali.

La rivoluzione verde la faranno, se ci riusciranno, proprio i cittadini del mondo arabo, trovando una originale sintesi fra modernità, fede e sviluppo economico. Il grande capitale internazionale insieme alle idee di democrazia e libertà occidentali dovrebbero favorire, se non altro per interesse, questi processi già in corso. La globalizzazione non è ancora finita e se c’è un paese che l’ha capito più di altri è la Turchia di Erdogan, l’esempio più vicino a una “democrazia islamica” che può venire in mente. Ankara sta assumendo un profilo geopolitico sempre più autonomo, allontanandosi dall’Europa per badare ai suoi interessi post-imperiali, dai Balcani al Caucaso, passando per Gaza. L’episodio della Flottilla da questo punto di vista appare emblematico anche se, in fin dei conti, meglio l'espansionismo di Erdogan che il nucleare di Ahmadinejad. Secondo. L’Islam non può corrompere e corrodere lo “spirito occidentale” semplicemente perché l’Occidente non si trova sull’orlo dell’abisso o all’ultima fermata della sua civiltà. La Polonia, per fare un esempio, è uscita dal disastro di Katyn senza incrinare di un millimetro la propria stabilità democratica ed è attualmente uno dei membri UE con i tassi di crescita più alti. Giovane, cattolica, “atlantica” nonostante il tradimento del Presidente Obama sullo scudo spaziale, Varsavia ha tutte le carte in regola per entrare nel club delle capitali che contano.

Anche gli Stati Uniti vengono dipinti spesso come un Paese allo sbando, in declino, sul viale del tramonto. In realtà gli Usa sono diventati solo di recente una superpotenza. Prima della Seconda Guerra mondiale gli americani non si curavano troppo di come andassero le cose oltreoceano, tranne quando i loro interessi venivano minacciati; dopo aver sconfitto il Nazifascismo, la Guerra Fredda impedì all’America di trionfare. A pensarci bene è solo dagli anni Novanta che gli Stati Uniti sono diventati “la” superpotenza che conosciamo, in grado di dettare le leggi dell’economia e del sistema monetario e finanziario, dotarsi di una forza militare senza rivali, grazie agli enormi passi avanti fatti nel campo delle scienze e della tecnologia. Nonostante le cicliche e distruttive crisi di rigetto, la democrazia capitalista gode di buona salute se paragonata ad altri posti della Terra ed è ancora un modello in grado di affascinare chi è a corto di libertà.

Terzo. Il mondo cambia così velocemente che si fatica a distinguere i nuovi dai vecchi avversari. Fino a qualche tempo fa la Russia sembrava cadere a pezzi, oggi invece è di nuovo rispettata, se non temuta, nonostante tassi di natalità e condizioni di vita da far spavento. Una progressiva apertura democratica del Paese, insieme al vantaggio di essere il ‘granaio energetico’ dell’Europa, potrebbero ridare a Mosca le aspirazioni egemoniche di un tempo, almeno nella sua attuale sfera di influenza (una partnership con Algeri sull'energia sarebbe il colpo di grazia per Bruxelles). Si parla tanto della Cina, l’altro grande gigante demografico, una sorta di versione alla Blade Runner della globalizzazione, ma anche Pechino corre dei rischi per colpa della sovrappopolazione, dell’urbanesimo selvaggio, della miopia verso la questione ambientale, delle tensioni centrifughe a carattere etnico o religioso che potrebbero minare la sua integrità territoriale. Nascosto nelle pieghe dei corsi e ricorsi storici c’è piuttosto il Giappone. Anni fa il toyotismo sembrava aver seppellito il sistema industriale occidentale, oggi il “pacifico” impero del Sol Levante ha una delle più grandi marine militari del mondo... L’Islam non deve trasformarsi in una fissazione. Nel 2050 l’America potrebbe confrontarsi e ingaggiare potenze che attualmente le sono amiche. Qualcuno ha evocato un attacco congiunto in grado di paralizzare e distruggere i satelliti che determinano la superiorità americana nelle comunicazioni e quindi la loro forza militare. Sarà fantascienza ma esercitarsi su scenari del genere ci aiuta per un attimo a ridimensionare il pericolo di Bin Laden, consegnando "gli Islam" al giusto posto che gli spetta nella storia, senza tante esagerazioni.

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