martedì 14 settembre 2010

Turchia islamica


Esattamente trent’anni fa la Turchia sperimentava il terzo colpo di stato della sua storia repubblicana, attuato dai vertici militari con una cadenza quasi certosina: 1960, 1971 e 1980. Ce ne fu anche un quarto, nel 1997, ribattezzato colpo di stato “post-moderno” perché conclusosi senza sospendere la Costituzione. Invece il 12 settembre del 2010 la Turchia è riuscita a realizzare in modo pacifico una storica riforma costituzionale del suo potere giudiziario. Nell’arco di trent’anni la Turchia ha compiuto un’inversione di marcia dalla democrazia sotto sorveglianza armata dell’esercito a quella di una democrazia protesa all’Europa e alla partecipazione popolare. Ma può rivelarsi ingannevole considerare il referendum come la certificazione di questa svolta. Dal punto di vista squisitamente formale, l’approvazione del referendum introduce il principio democratico all’interno degli organi supremi della giustizia, dalla corte costituzionale al consiglio superiore della magistratura. Così anche il parlamento e il governo sono coinvolti nell’elezione dei supremi giudici. Ma scendendo dal piedistallo del diritto astratto al terreno della realtà concreta la situazione cambia al punto tale da ribaltarsi.

Fino a pochi giorni prima del referendum era in corso un aspro scontro tra il ministro della Giustizia e l’Associazione dei Giudici e dei Procuratori (Yarsav). Secondo i giudici il ministero avrebbe commesso gravissime violazioni nel principio di uguaglianza per nominare oltre 300 nuovi giudici nelle corti di primo grado. Una volta interpellato, il Consiglio di Stato ha confermato la denuncia dello Yarsav, ma il ministro, Sadullah Ergin, che è anche uno dei fondatori dell’attuale partito di governo Akp, ha ignorato questa sentenza, accusando lo Yarsav di boicottare sistematicamente i candidati del ministero. Con l’approvazione del referendum si è scatenata la corsa alle elezioni. Il governo e lo Yarsav hanno già stilato le loro liste di candidati per formare il nuovo Consiglio Supremo dei Giudici e dei Procuratori (Hsyk). Dietro al principio democratico ed elettorale si apre un’arena dove collidono interessi opposti.

Sarà difficile per i giudici resistere alla concentrazione di potere del governo di Erdogan, che così non rischierà più di avere una spada di Damocle togata pendere sul suo capo. Successe nell’estate 2008, quando la corte costituzionale stava per mettere al bando l’intero partito Akp in quanto accusato di attentato ai principi secolari della repubblica. Erdogan e il governo si salvarono per un solo voto di scarto. Fu una lezione durissima con cui il premier comprese la pericolosità di una magistratura fuori controllo. Ora questa minaccia è sventata per sempre – insieme a sentenze difformi dalla volontà politica del governo. E’ il caso della sentenza costituzionale del 2008 che cassava la riduzione, ardentemente voluta dal governo, dei divieti ad indossare il velo islamico, solo su capelli e sotto il mento, per le ragazze nelle università statali.

Quale svolta, allora? Sicuramente una svolta politica, chiara tutti. Ma c’è anche una svolta culturale meno appariscente ma altrettanto decisiva. La più solida concentrazione di potere politico dai tempi di Ataturk è fortemente intrisa di uno spirito musulmano che tende ad espandersi in ogni spazio sociale. Il panorama cosmopolita e modernizzato di Istanbul è sempre più un’oasi circondata dalla marea islamica che cresce in tutto il paese. Proprio pochi giorni prima del referendum, la Turchia ha celebrato una maestosa Eid al-Fitr, la fine del Ramadan. Ecco, questo fa capire il giusto rapporto tra settanta milioni di muslim turchi e il loro sistema politico dominato, ormai, da un unico partito apertamente filo-islamico.

Nota di costume: nel giorno del referendum Zaman, uno dei principali quotidiani turchi con tante e grandi firme, pubblica una caustica recensione contro un libro di Michael Curtis, defunto studioso inglese di questioni mediorientali. La recensione è una rovente critica contro i pregiudizi occidentali intorno al presunto dispotismo orientale. Va bene, però non bisogna dimenticare che Zaman è un giornale fedelmente devoto all’insegnamento di Fetullah Gulen, un fervente predicatore islamico che vive in auto-esilio in Pennsylvania, negli Usa. La Turchia ha una democrazia sempre più simile a quelle occidentali. Ma il suo popolo non è per niente occidentale. Lo scriveva Curtis nel suo libro quando citava i maestri del pensiero politico moderno: è il popolo che fa lo Stato e non viceversa.

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