lunedì 27 settembre 2010

Islam d'amore


Sono passati dieci anni. Una lunga parentesi di silenzio, di oblio per Erica, la bambina che aveva avuto il coraggio di sfidare non solo suo padre ma anche le convenzioni dell’Islam rifiutandosi di accettare la separazione dalla madre imposta da un tribunale del Kuwait. Erica scappò di casa il 16 gennaio del 2000, una fuga mirata, rifugiandosi nelle sale austere dell’ambasciata italiana a Kuwait City dove l’ambasciatore Capece Galeota venne travolto da questa ragazzina, dalla sua storia e da un incidente diplomatico che scomodò le diplomazie di tre paesi: Italia, Kuwait ed Egitto. Il 9 agosto un aereo della presidenza del Consiglio la riportò in Italia, un «rapimento» per motivi umanitari su cui c’era l’accordo del Kuwait. Oggi quei giorni sono lontani, ma la fuga di questa ragazzina, di sua sorella e di sua madre non è ancora finita. Mi emoziono quando sento la voce di Stefania, la mamma, al telefono.

L’ho cercata per tanto tempo ma era come se lei e le bambine fossero state inghiottite dal nulla. Nessuna traccia di loro a Banchette di Ivrea, nella casa dei nonni, due persone speciali che hanno combattuto a fianco della figlia e delle nipoti. Possibile che dopo dieci anni la paura non abbia ancora lasciato spazio a una vita normale? Mi ricordo la prima volta che vidi nell’ambasciata di Kuwait City. La faccia da adolescente smunta dal non mangiare, una protesta silenziosa che l’ha portata alle soglie dell’anoressia, quegli occhi decisi, neri, profondi di chi sai che non mollerà. E Stefania, la mamma, avvolta da abiti che non lasciavano intravedere neanche un lembo di pelle, come l’Islam impone, La figlia più piccola, Marta, di otto anni, abbarbicata al collo, decisa a tutto pur di non separarsi dalle figlie. Oggi quella determinazione la ritrovo in una voce che racconta senza vittimismo quel che è stato la loro vita, da allora. «Vorrei che non si parlasse più di noi, vorrei essere dimenticata».

Forza e paura si mescolano in questa voce che parla da un luogo protetto. E nonostante tutto, nonostante questi dieci anni passati a dimenticare, le due ragazze sono serene. Erica ha compiuto a febbraio scorso 23 anni, si sta per laureare ed è bellissima come allora, con quei profondi occhi neri che parlano delle sue origini, mentre Marta ha compiuto da poco 18 anni e dell’odissea vissuta insieme alla mamma e alla sorella, ricorda poco. Qualche bagliore del passato, qualche faccia come quella di Stefano de Leo, consigliere dell’ambasciatore, figura chiave nella risoluzione della vicenda. «Ma per il resto non ricorda nulla meglio così», dice Stefania. Per Erica è diverso e i frammenti di quello che è stato hanno formato la donna forte che è oggi, decisa a essere quello che vuole e non quello che altri avevano deciso per lei. Il padre Hesham Aboulnaga non lo vede da allora. Ha perso la patria potestà su di loro, si è risposato, ha un’altra figlia, vive in Egitto. Non ha accettato la scelta delle figlie e chissà se un giorno ci sarà un incontro su nuovi basi che parlano di affetto e non di costrizioni. Non è stata facile per queste tre donne che mai hanno ricevuto una lira di alimenti. Ma la libertà era più importante. «Dobbiamo andare tutte avanti», dice Stefania che adesso ha un compagno che la ama. «Per fortuna ho un’altra vita e con me le ragazze». Lo aveva promesso quando il 9 agosto di dieci anni fa era tornata in Italia. E così è stato, le tre donne da allora hanno vissuto in diversi posti, ma non si sono mai separate, neanche adesso che Erica è una donna in gamba con una perfetta conoscenza dell’inglese e la voglia di farsi strada nella vita. Una vita blindata che è iniziata con la fuga ma che è continuata anche dopo, quando Stefania ha prima voluto mettere al servizio di tutte le donne la sua esperienza, scrivendo un libro («L’Infedele») e poi ha deciso di aprire un blog per raccontare la parte più buia e integralista dell’Islam, le comunità di convertiti in Italia, la condizione delle donne. Un blog molto frequentato che le ha causato non pochi problemi. «Sono state insultata, minacciata, soprattutto dopo che Maria Giovanna Maglie ha raccontato di questo mio angolo virtuale. Da allora il blog è aperto ai commenti ma io mi sono presa un momento di pausa». Questo non è bastato comunque a farla tornare ad essere una donna libera dalla paura. «Mi raccomando non scrivere niente che possa farci trovare». E come un mantra questa frase, una cisti dolorosa nella normalità conquistata a caro prezzo. Anni in cui tranne che per il lancio del libro non ha mai accettato un invito in televisione.

Una rapida visita ai blog che parlano di Islam e si capisce il perché Stefania abbia paura. Gli insulti e il disprezzo su di lei si riversano dai post in rete. Impossibile quindi mettere radici. In dieci anni sono stati diversi i traslochi. «Ma Erica e Marta sono sempre state bene perchè erano insieme e con me». Anche il disturbo alimentare dell’adolescenza è solo un ricordo per Erica che in questi anni ha dovuto rinunciare anche a tutti quegli strumenti di comunicazione comuni per i teen ager, come Msn e Facebook. «Non ha nessun contatto con l’Islam», racconta Stefania, «come se fosse stata sempre qui in Italia, si è adattata subito». D’altronde la vita che faceva in Kuwait era ben diversa da quella delle coetanee italiane. «Solo scuola e casa». Dieci anni difficili ma pieni di calore. In pochi hanno teso una mano, ma Stefania è orgogliosa: «Non abbiamo bisogno di niente». La stessa frase di dieci anni fa quando l’unica cosa che chiedeva era avere con se le figlie. Le ha avute. E’ iniziata la loro storia, che non è stata una fiaba, ma ha il sapore della libertà.

1 commenti:

Kizzy ha detto...

L'ho letto ieri su 'La Stampa' e mi stupisco che questo giornale abbia fatto un articolo così... e mi stupisco anche che Stefania abbia accettato di farsi intervistare (con le dovute precauzioni).