giovedì 2 settembre 2010
La Cgil
Il nuovo «business» della Cgil? Basta metalmeccanici ecco rom e serbi di Marco Zucchetti
Arriva un momento in cui ogni attore avverte l’irresistibile pulsione a cambiare palcoscenico. La noia chiama nuove scene, nuove esibizioni. E soprattutto una nuova platea. Per la Cgil, il sindacato più intransigente della storia repubblicana, la tendenza è in atto da parecchi anni, ma in questi ultimi tempi lo strappo si fa sempre più netto: basta metalmeccanici, basta proletari di casa nostra, basta scala mobile, salari pesanti, orario flessibile. Si taglia con i protagonisti e le parole d’ordine del passato. Ora si predica a orecchie diverse: quelle dei rom e degli stranieri.
Forse sarà stato per bisogno, oppure per buon esempio, come cantava De Andrè, ma ormai la Cgil ha deciso: le chiavi inglesi - pardon, italiane - non sono più di moda. Gli operai hanno voltato le spalle al sindacato e alla sinistra, votando in massa la Lega Nord? E i sindacalisti voltano le spalle agli operai. Si arrangino, se c’è la crisi e il lavoro è a rischio. Loro hanno cose più interessanti da fare, battaglie di ampio respiro e appurata nobiltà per i diritti delle popolazioni nomadi. Ed è in questa strategia di terzomondismo buonista che sabato 4 settembre, alle 14.30, il sindacato di Epifani sarà in piazza Farnese a Roma per urlare sotto le finestre dell’ambasciata francese tutta l’indignazione del popolo italiano dopo le espulsioni dei rom. Con buona pace di chi, pagando ogni anno la quota della tessera, magari preferirebbe veder impiegate energie e sforzi in battaglie meno donchisciottesche ma più concrete. Per esempio - ma è solo un’idea, eh - quelle tradizionalmente sindacali per chi in Italia vive e lavora - fesso lui - senza essere né abusivo né fuorilegge.
Ma d’altronde la deriva della Cgil è evidente da anni. Sempre meno sindacato, sempre più movimento politico, associazione anti-governativa, accolita tra il radical e il no-global sempre pronta ad alzare la voce per chiunque: gay, trans, nomadi, carcerati, tossicodipendenti, clandestini. Ah sì, ogni tanto anche per i lavoratori italiani, ma con moderazione, soprattutto se al governo c’è la sinistra. Meglio le fiaccolate contro gli sgomberi, per «il diritto alla casa di rom e sinti», per il loro «reinserimento nel mondo del lavoro». Così il responsabile delle Politiche dell’immigrazione Pietro Soldini impazza, folleggia tra cortei e striscioni come un capopopolo. È la globalizzazione cromatica del sindacato, che dal blu delle tute e dal rosso delle insegne è approdato all’arcobaleno delle bandiere pacifiste.
E se per caso, tra un sit-in e un girotondo, si trova il tempo di parlare un po’ di industria e occupazione, tranquilli che lo si farà con un bastimento carico carico di pregiudizi, da una blindatissima trincea ideologica. Per esempio, nel caso Fiat, non devono essere piaciute troppo alla Cgil le parole di Zoran Mihajlovic, il numero uno degli autonomi serbi di Samostalni, che pochi giorni fa aveva definito l’azienda italiana «corretta» poiché sta procedendo alle assunzioni. Risposta sbagliata compagno, gli avrà spiegato ieri il segretario generale della Fiom Maurizio Landini durante l’incontro «educativo» avuto a Roma con i colleghi balcanici. Giusto per chiarire che forse a Kragujevac si usa ammettere quando i «padroni» si comportano bene, ma in Italia no. Qui la lotta è dura e senza paura. E ogni tanto anche senza vergogna. Ma quello magari ai serbi non è il caso di farlo sapere, eh?
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