martedì 14 settembre 2010

Quale integrazione?


I problemi posti dagli immigrati sono, per la scuola italiana, molto più gravi di quanto non possa apparire al primo sguardo. I tentativi di prevenirli, nonostante la buona volontà del ministro e degli insegnanti, si scontrano con una realtà molto complessa che i vari sostenitori entusiasti delle cosiddette società multietniche non vedono. La parola «integrazione», di cui fanno (...) (...) sfoggio i politici, è priva di contenuto reale. Le culture non si integrano. Ad un certo punto scatterà, e non dipende dal numero, la sopraffazione dell’una sull’altra. Dipende dalla sua forza, dalla sua vitalità, dall’entusiasmo di chi ne è portatore. Quella italiana è perdente perché sono gli immigrati che si impadroniscono del nostro territorio e questo basta a farli sentire conquistatori.

Il motivo per cui la «scuola», l’istituzione che dovrebbe aiutare tutti, italiani e stranieri, ad apprendere il «vivere italiano», non può riuscire in questo compito, consiste prima di tutto nella molteplicità dei bisogni di ogni allievo. Per un bambino straniero prima di tutto la lingua. Quella di cui ha percepito i suoni fin da prima di nascere (sente la voce della mamma nell’utero) non è la stessa che sente quando entra nella classe. Il disorientamento di chi non capisce quello che sente dire, non è soltanto cognitivo e strumentale, ma psicologico. La lingua è la caratteristica di specie che la natura ha affidato totalmente all’innesco sociale e culturale, alla presenza di altri esseri umani che parlano: l’individuo sordo alla nascita non parla perché non sente parlare. Oggi poi sappiamo con precisione che anche con l’intervento cocleare, se eseguito dopo i tre anni d’età, chi è nato sordo sente i suoni ma non apprende a parlare. Dunque il deficit causato da una lingua diversa è molto complesso e incide sulla capacità dell’elaborazione del pensiero, sulla sicurezza della personalità stessa.

Per quanto riguarda i ragazzi italiani, la presenza in una classe anche di pochi stranieri, e il 30% è moltissimo, rende più lento e faticoso l’insegnamento, ma soprattutto crea un ambiente in cui le differenze di sensibilità per il cibo, per le credenze religiose, per il comportamento sessuale, perfino per la gestualità, per la mimica, diventano «segnali» difficili da interpretare e ai quali non si sa come reagire. Non esistono soluzioni «buone». In Spagna la scuola pubblica è ormai frequentata soltanto dagli immigrati, mentre gli spagnoli frequentano le scuole private (a pagamento). Non si tratta di non voler stare insieme agli immigrati, ma del fatto che il livello dell’insegnamento si è adeguato necessariamente al minimo. L’Italia sta seguendo la stessa strada.

Insomma, l’immigrazione è oggi il più grave problema, sia nella scuola sia fuori, e non sono né le percentuali, né gli incitamenti e le belle parole dei politici o degli ecclesiastici a poter cambiare la situazione. Non è colpa degli immigrati; ma non è neanche colpa degli italiani, i quali ormai si stanno in qualche modo avviando - ne è testimonianza il fatto che fanno pochi figli - verso la fine di qualsiasi speranza per il futuro della propria nazione. Se ne può trovare la prova nell’incredibile sfoggio di nomi che si richiamano all’Italia, al Futuro, alla Nazione, che improvvisamente hanno cominciato a fare i politici. Loro sanno bene che sono le uniche cose nelle quali gli italiani vorrebbero ancora credere e per le quali li voterebbero con entusiasmo. Si tratta, però, di una cinica frode. Sono stati i politici a condannare a morte gli italiani: l’immigrazione ne è soltanto il principale strumento.

1 commenti:

Nessie ha detto...

Ben detto! E' una frode. E' proprio da quando si fa sfoggio di tricolori, sfoggio della parola "Italia" e "futuro" nelle varie fondazioni e gruppi parlamentari, che ci stiamo condannando a non avere più alcun futuro.
A partire da una scuola non più nostra e da una lingua italiana che nessuno parla più.