giovedì 9 settembre 2010

Unione europea


Inutile che ci giriamo intorno. Dobbiamo avere il coraggio di dirlo chiaramente: le lobby industriali hanno vinto e noi, che abbiamo lottato per avere una legge europea, adeguata al terzo millennio, abbiamo perso. D'altronde, di solito, è chi ha i cordoni della borsa in mano che vince le battaglie. Certo, nessuno era così ingenuo da pretendere che la sperimentazione animale fosse abolita, quando, ancora buona parte di rossetti e cremine antirughe vengono spalmati per mesi sulle cornee di ratti e conigli, prima di affrontare la suprema prova di labbra e guance umani. Certo, nessuno si aspettava stravolgimenti epocali, da una legge che, come la stragrande maggioranza di quelle europee dice e non dice, consiglia ma non sancisce e soprattutto indica, ma subito dopo, deroga. Chi si aspettava la sterzata decisiva o è ignorante in materia o è un illuso.

Faccio due chiacchiere al telefono con il Dr. Tettamanti, uno dei responsabili scientifici della Lega antivivisezionista e caro amico per le tante battaglie combattute assieme dalla stessa parte. Ciò che ci accomuna, ancora una volta, è la delusione, è la vergogna di vedere scritto su un testo redatto un quarto di secolo dopo (la legge in revisione era del 1986), che è lecito sperimentare ancora sui primati, che è lecito infliggere il dolore più devastante laddove necessario (sic), che è lecito sottoporre ad altri esperimenti chi è già sopravvissuto al gelido bancone di marmo, che è lecito evitare l'anestesia. Tutto questo, come se un quarto di secolo fosse passato inutilmente, come se personaggi di altissima levatura scientifica nel mondo non avessero affermato che è ormai tempo di abbandonare ratti, cani e anfibi, per passare a modelli sostitutivi eticamente più accettabili, ma soprattutto meno fuorvianti per la stessa salute umana.

A Strasburgo, ieri mattina, si è assistito alla vergogna di chi, in dieci minuti, ha licenziato una legge medievale, perché «c'è differenza tra la dignità degli animali e quella degli esseri umani», perché «ci sono gerarchie che vanno osservate», perché «non sono giusti i controlli che ostacolano la ricerca», perché «non dobbiamo nuocere agli interessi dell'industria». A Strasburgo, alle 12 di ieri, gli europarlamentari erano quasi tutti affamati, non come lupi, ma come uomini rapaci, in attesa delle sontuose portate con le quali l'industria farmaceutica e chimica avrebbe satollato ben presto i loro ventri senza fondo. Dieci minuti e via. Niente rinvii (chiesto dalla nostra Sonia Alfano), niente emendamenti (per nulla estremisti) proposti dai Verdi, chissenefrega delle quasi 100.000 firme contro quel testo di legge, degli appelli di ministri (Brambilla, Frattini), di scienziati di caratura mondiale (Veronesi) di personaggi del mondo culturale ed editoriale (Feltri, Tamaro, Maraini, Zeffirelli) e di tutti quelli che non riesco a citare per mere ragioni di memoria, di spazio e di rabbia, che mi offusca un po' la mente.

Ma come ho scritto appena sopra, lecita è la vergogna, ma non la tragedia. La partita è ancora lunga e si sposta sui terreni nazionali e un'altra battaglia, sulla quale sono ottimista, è già all'orizzonte. Diceva Bernard Shaw che «non si deve valutare se un esperimento sull'animale è giustificato o meno, semplicemente dimostrando che è di una qualche utilità. La distinzione non è tra esperimenti utili ed inutili, ma tra comportamenti barbari e civili. La sperimentazione su animali è un male sociale perché anche se comportasse un avanzamento del sapere umano, lo otterrebbe a spese dell'umanità delle persone». Crediamogli.

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