domenica 26 settembre 2010

Il discorso...


Difesa, accusa, appello. Tre livelli sui quali Gianfranco Fini imposta il videomessaggio e gioca la sua partita, forse quella più importante: sul piano personale, in relazione all’affaire Montecarlo; sul piano politico tratteggiando il solco lungo il quale a suo dire bisogna camminare d’ora in poi. Come? Fermando una volta per tutte i veleni, concentrandosi sulle cose da fare per il Paese. Nessuna rottura, dunque, perché Fini le elezioni anticipate non le vuole, forse perché le teme. Piuttosto, il suo è un invito al Cav. a deporre le armi. Per tutto il giorno il timing del videomessaggio tiene banco nei palazzi della politica e sulle agenzie di stampa, come un metronomo che dà il tempo. E il livello dell’attesa si fa spasmodico. Previsto per la mattinata, il videomessaggio slitta di ora in ora. Le agenzie spiegano che Fini lo sta ultimando, limando, quasi come fosse ‘il discorso della montagna’. In realtà, ogni parola viene ‘pesata’ specie dopo le dichiarazioni del ministro di Santa Lucia e dell’avvocato-ex senatore leghista Ellaro il quale dice che chi ha comprato quell’appartamento è un suo facoltoso cliente, non Giancarlo Tulliani. Poi alle 19,20 finalmente su Youtube compare Fini che racconta la sua verità. Sulla casa di Montecarlo dice, tra l'altro, che l’11 luglio 2008 “la casa è stata venduta alla società Printemps segnalatami da Giancarlo Tulliani” e ammette con una sorta di candore disarmante che lui non sa chi è il vero proprietario. E che se “dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la presidenza della Camera. Non per personali responsabilità – che non ci sono – bensì perché la mia etica pubblica me lo imporrebbe”.

Passaggi scanditi con abilità dalla terza carica dello Stato, mediaticamente efficaci, ma che se si guardano in controluce, evidenziano una contraddizione di fondo. Perché trattandosi di società off-shore è alquanto difficile riuscire a stabilire con certezza assoluta chi veramente risulti il proprietario finale dell’immobile monegasco. Altro punto: Fini in sostanza ammette che l’obiezione sulle ragioni per le quali An abbia venduto un immobile a una società con sede nei paradisi fiscali è "sensata": “E’ stato scritto: ma perché venderla ad una società off shore, cioè residente a Santa Lucia, un cosiddetto paradiso fiscale? Obiezione sensata, ma a Montecarlo le off shore sono la regola e non l'eccezione”. Una giustificazione che, francamente, appare alquanto debole se non sbrigativa. Nella ricostruzione dei fatti che il presidente della Camera scandisce riportando date e cifre della vendita, si può leggere il tentativo di minimizzare la questione. Soprattutto quando afferma che si trattava di un’abitazione di piccola metratura e in condizioni quasi “fatiscenti e del tutto inutilizzabile”, riportando il tutto a fatto personale sul quale si è scatenato il putiferio trasformandolo in “un affare di Stato”. Ma la casa è stata donata al partito (An) del quale Fini è stato per decenni il leader e questo dato non può essere derubricato alla sfera privata. Tanto più che su questa vicenda c’è un’inchiesta della magistratura i cui esiti lo stesso Fini ha ripetuto più volte di attendere con serenità e fiducia.

Alla difesa segue l’accusa. Fini non cita mai direttamente Berlusconi ma in alcuni passaggi del suo discorso è possibile cogliere un riferimento. Lo si capisce ad esempio quando dopo aver spiegato la vicenda dell’appartamento dice: “E sia ben chiaro, personalmente non ho nè denaro, nè barche nè ville intestate a società off shore, a differenza di altri che hanno usato, e usano, queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e per pagare meno tasse. Ho sbagliato? Con il senno di poi mi devo rimproverare una certa ingenuità. Ma, sia ben chiaro: non è stato commesso alcun tipo di reato, non è stato arrecato alcun danno a nessuno. E, sia ancor più chiaro, in questa vicenda non è coinvolta l'amministrazione della cosa pubblica o il denaro del contribuente. Non ci sono appalti o tangenti, non c’è corruzione né concussione". A questo si aggiunge il j’accuse contro le “tante, troppe pagine oscure” di questa storia. “Un affare privato è diventato un affare di Stato per la ossessiva campagna politico-mediatica di delegittimazione della mia persona: la campagna si è avvalsa di illazioni, insinuazioni, calunnie propalate da giornali di centrodestra e alimentate da personaggi torbidi e squalificati. Non penso ai nostri servizi di intelligence, la cui lealtà istituzionale è fuori discussione, al pari della stima che nutro nei confronti del Sottosegretario Letta e del Prefetto De Gennaro”.

Fini punta l’indice in un’altra direzione: “'Penso alla trama da film giallo di terz’ordine che ha visto spuntare su siti dominicani la lettera di un ministro di Santa Lucia, diffusa da un giornalista ecuadoregno, rilanciata in Italia da un sito di gossip a seguito delle improbabili segnalazioni di attenti lettori. Penso a faccendieri professionisti, a spasso nel Centro America da settimane (a proposito, chi paga le spese?) per trovare la prova regina della mia presunta colpa”. Non manca poi una “lezione” sulla libertà di informazione che – ripete – “è il caposaldo di una società aperta e democratica. Ma proprio per questo, giornali e televisioni non possono diventare strumenti di parte, usati non per dare notizie e fornire commenti ma per colpire a qualunque costo l’avversario politico”.

Peccato che il presidente della Camera applichi il principio (sacrosanto) solo al suo caso e non abbia invece speso una parola sulla campagna mediatico-politico scatenata da Repubblica e per tre mesi, sulle presunte amanti del premier Berlusconi. Allora no, non era il buio della democrazia, oggi evidentemente sì. Il terzo livello del videomessaggio è politico. E qui Fini non accelera, anzi frena. Niente rottura totale e definitiva col Cav. seppure i rapporti tra i due sono ai minimi storici ormai da tempo. No, Fini non chiude, ma tiene aperta la porta del dialogo dimostrando così di voler scongiurare, il più a lungo possibile, il rischio del voto anticipato. Per questo invita chi “ha irresponsabilmente alimentato questo gioco al massacro si fermi, fermiamoci tutti prima che sia troppo tardi. Fermiamoci pensando al futuro del paese”. Quindi propone la ripresa del “confronto: duro come è giusto che sia, ma civile e corretto. Gli italiani si attendano che la legislatura continui per affrontare i problemi e rendere migliore la loro vita”.

Ma anche qui il presidente della Camera non dice che se il punto cruciale è e resta la necessità di condurre la legislatura a scadenza naturale “per il bene del Paese”, qualche mese fa è stato proprio lui insieme ai suoi uomini a smontare pezzo per pezzo ciò che il governo ha fatto, mettendo a repentaglio la stabilità dell'esecutivo e la durata della legislatura.

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