mercoledì 15 settembre 2010

Libertà religiosa? Non per tutti


I liberal amano il Corano. E’ questo il messaggio arrivato prima del giorno scelto dal reverendo Terry Jones per bruciare una copia del libro sacro in commemorazione del nono anniversario degli attacchi dell’11 settembre. Il reverendo Jones voleva profanare pubblicamente la bibbia dei musulmani per attirare l’attenzione sulla violenta barbarie dell’Islam radicale. Il rogo di qualsiasi libro, in special modo di libri religiosi, è un’azione ingenua e sacrilega. Soltanto persone intellettualmente e moralmente primitive affrontano un confronto di idee distruggendo i libri dei loro avversari. Nazisti, comunisti, fondamentalisti islamici... la deprecabile usanza è diffusa e comune. Purtroppo, non è nuova. Eppure, il rogo del Corano pianificato e poi annullato dal reverendo Jones ha portato alla ribalta l’ipocrisia liberal. Il presidente Obama l’ha denunciato con violenza, affermando che si tratta di un atto antiamericano.

“Se il reverendo mi sta sentendo – ha detto Obama – spero capisca che quello che si propone di fare è del tutto contrario ai nostri valori, ai valori dell’America. E’ contrario al fatto che questo paese è stato fondato sui principi di libertà e tolleranza religiosa”. Questo atteggiamento è stato ripreso da importanti esponenti dell’amministrazione. Il procuratore generale Eric H. Holder Junior ha condannato l’iniziativa di Jones come “pericolosa” e “idiota”. Il generale David H. Petraeus ha ammonito che avrebbe messo in pericolo le truppe Usa in Afghanistan, infiammando senza ragione le tensioni a sfondo religioso, e avrebbe fornito ai talebani un grosso argomento di propaganda. Il segretario di Stato Hillary Clinton ha definito il rogo del Corano “irrispettoso” e “vergognoso”. Ha poi chiesto ai media di ignorare l’avvenimento, venendo così a caldeggiare un gesto di censura della stampa.

Per anni, i liberal hanno dato lezioni agli americani sul fatto che smitizzare i simboli della nazione fosse un diritto sancito dalla Costituzione. Sin dalla guerra del Vietnam, dare alle fiamme le bandiere a stelle e strisce è stata una delle caratteristiche delle manifestazioni pacifiste e delle proteste universitarie. Niente rappresenta meglio la libertà del nostro paese e i sacrifici patiti dalla nazione che la stars and stripes. In milioni sono morti per essa. Perciò, se il primo emendamento copre un atto a tal punto sacrilego, certamente copre anche il rogo del Corano. La legge della Sharia non vige in America – almeno, non ancora. I musulmani non sono cittadini di prima classe, non hanno titolo a particolari privilegi. Il Corano non è al di sopra della Old Glory.

Obama è in errore. Non c’è niente di antiamericano nei piani del reverendo Jones. Dare alle fiamme simboli sacri – che siano la bandiera, la Costituzione o il Corano – è americano quanto la torta di mele. Siamo nell’America post-1960, l’America creata dalla sinistra rivoluzionaria: una società senza vergogna né tabù, neanche quello di dissacrare i simboli fondamentali di un credo religioso. Il cristianesimo è stato sotto assedio per anni. Le bibbie sono state date alle fiamme dagli atei nelle università. I contribuenti sono stati costretti a finanziare “creazioni artistiche” nelle quali un crocefisso e immerso nell’urina o l’immagine della Vergine Maria è coperta di concime, alcune commedie descrivono Gesù come un omosessuale. E quando i cristiani protestano, sono demonizzati dalle elite liberal come reazionari e bigotti che non sanno apprezzare un’autentica “espressione artistica”. I laici di sinistra difendono la sacralità del Corano, ma non la Bibbia – la base della civiltà occidentale. Esortano a rispettare l’Islam, ma non la cristianità. Per loro, Maometto non si tocca; Gesù, invece, sì.

“Spero che ascolti i suoi angeli più assennati e comprenda che si tratta di un gesto distruttivo”, ha detto Obama del reverendo Jones. Ma una tale logica non è stata mai applicata alla moschea di Ground Zero. Nessuna iniziativa ha diviso i musulmani americani dal resto del paese quanto quella di costruire un grande centro culturale islamico con annessa moschea vicino al luogo dove quasi tremila americani vennero uccisi l’11 settembre. Quell’atrocità terroristica venne perpetrata da 19 dirottatori musulmani, nel nome del radicalismo islamico. L’ecclesiastico a capo della moschea, l’imam Feisal Abdul Rauf, è un militante musulmano. Un difensore di Hamas. Uno che ha esortato gli stati arabi a intraprendere una strategia di lungo respiro per distruggere Israele. Uno che loda i “principi ispiratori” del regime islamico fascista di Teheran. Uno che sostiene la legge della Sharia, e cerca di imporre la sua teocrazia totalitaria all’America. Uno che ha biasimato “l’imperialismo americano” per gli attacchi dell’11 settembre – intendendo che ce la siamo meritata.

Il reverendo Jones rivendica il fatto che i sostenitori della moschea si sono detti d’accordo a spostarla, in cambio della sua rinuncia a dare alle fiamme il Corano. Se la moschea fosse rimasta, avrebbe fornito un simbolo di trionfo a tutti i fondamentalisti islamici del mondo. Li avrebbe imbaldanziti, dando loro nuove energie per continuare la jihad globale, e specialmente in Iraq e in Afghanistan. Un tale trionfo propagandistico avrebbe fatto esplodere il reclutamento nelle fila dei terroristi. Avrebbe potenzialmente messo in pericolo la vita delle truppe Usa. Ma tutto ciò non dà fastidio né a Obama né al generale Petraeus. Chi critica la moschea deve stare zitto, lo richiede il politically-correct.

In breve, nonostante la moschea sia “distruttiva”, “pericolosa” e senza dubbio “irrispettosa” per tutti gli americani – specialmente per quelli morti l’11 settembre e per i loro familiari – dalla classe dirigente liberal arriva un sostegno senza riserve alla Cordoba House del signor Rauf. Il suo “diritto alla libera espressione religiosa” è l’unica cosa che conta. Per il reverendo Jones, però, le cose sono diverse. Il militante cristiano è stato crocefisso sull’altare dell’opinione pubblica. Questo doppio standard rivela il baratro in cui è disposto a sprofondare il progressismo multiculturale pur di accondiscendere alle pretese islamiche. Lentamente ma inesorabilmente, l’America viene costretta ad adattarsi alla sensibilità musulmana. Come in Europa, le nostre elite laiche sono senza alcun potere contro l’aggressione culturale islamica. Non sono soltanto ipocriti, sono codardi.

Jeffrey T. Kuhner è opinionista del Washington Times e presidente del “think tank” di Washington “Edmund Burke Institute” - © Copyright 2010 The Washington Times, LLC.

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