martedì 7 luglio 2009

Piero Fassino

L'intervista. L'ex segretario dei Ds: "D'Alema si dice uno statista e ha paura della Serracchiani? Veda semmai di capire perché ha perso 140 mila voti". Fassino attacca Massimo: "Anche tu tra gli sconfitti". "Ingiusto scaricare su Franceschini l'esito del voto" di Giovanna Casadio

ROMA - "Non c'è nessuno che vuole fare la guerra a chicchessia, nessuno che vuole cancellare qualcosa o qualcuno". Un buon proponimento, onorevole Fassino, smentito dai fatti. Perché se D'Alema attacca a muso duro dall'altra parte Franceschini, da lei sostenuto, e Debora Serracchiani, hanno definito l'ex ministro degli Esteri, un uomo d'apparato che niente ha da spartire con il progetto del Pd. Le pare poco? "So bene che D'Alema è una personalità politica che ha dato molto alla sinistra ma a lui e ai tanti che hanno la nostra storia e esperienza, ricordo un proverbio cinese: quando la mano indica la luna non si guarda il dito. La Serracchiani avrà detto anche delle parole inopportune e irriverenti, ma è questa la sostanza? Questo è il dito, la luna è la domanda di innovazione". Avanti di questo passo, vi delegittimate a vicenda. "Non abbiamo infatti nessun interesse a un congresso agitato da tensioni e veleni, che avrebbero proprio questa conseguenza: di inasprire i rapporti tra di noi, di impedire una discussione sui problemi veri e di allontanare i cittadini dal nostro partito". Ma chi ci guadagna da questo dibattito "nuovi" contro "vecchi"? Oltretutto lei, dice D'Alema, è anche più vecchio... "Beh, più vecchio è eccessivo. Comunque io rifiuto queste categorie, non le ho mai usate e non le uso. Sono sincero: quell'espressione di Franceschini è stata infelice, e tuttavia se devo andare a vedere tutte le espressioni infelici dei dirigenti del centrosinistra riempio una biblioteca. Nuovo/vecchio è un falso dilemma. Però chi ha accumulato esperienza, ha il dovere di guardare oltre, di capire che c'è una domanda di innovazione, apertura, ricambio, di protagonismo che dobbiamo essere capaci di raccogliere. D'Alema si è definito uno statista, e ha paura della Serracchiani? Veda piuttosto cosa c'è di positivo in quelle sollecitazioni, se Debora ha preso 140 mila voti. E' o no qualcosa con cui fare i conti?". Ma a volere un partito solido, degli iscritti, sono Bersani e D'Alema, che definiscono assurda la regola di eleggere il segretario con le primarie. E lei? "Altro falso dilemma. Non è vero che da una parte c'è il partito vero e dall'altra chi persegue l'illusione di un indistinto movimento. Io coordino la mozione di Franceschini e voglio anch'io un partito con una larga base associativa d'iscritti, che abbia radicamento sociale, un'attività quotidiana, che non sia una somma di comitati elettorali, che abbia una visione, un progetto, un'ambizione culturale e politica, che formi una classe dirigente, che non rinunci alla sua funzione pedagogica. Dico anzi che è tanto più urgente farlo questo partito perché la sua fragilità è stata la maggiore debolezza dei primi venti mesi del Pd. Non capisco poi, perché un partito con solide radici debba avere paura delle primarie, quando ogni volta che le abbiamo promosse sono state accolte come un fatto di apertura". Il Pd non deve fare i conti con le sconfitte elettorali? "Certamente, e fino a oggi un'analisi approfondita non c'è ancora stata. Nel voto politico del 2008 il Pd parlava a un terzo degli italiani, ora a un quarto. Lo smottamento elettorale non ha risparmiato nemmeno le nostre roccaforti". A maggior ragione questo gruppo dirigente democratico deve andarsene a casa, e il partito cambiare rotta? "Ma questo voto ci riguarda tutti, anche D'Alema: non ha detto di aver fatto 120 iniziative elettorali per le europee e le amministrative? E allora c'è pure lui. Scaricare su Franceschini un esito elettorale che difficilmente poteva esser diverso, è ingiusto. Nei 4 mesi in cui ha guidato il partito Dario ha tenuto la barra ferma: sulla laicità, sull'alleanza progressista con i socialisti a Strasburgo, cosa non scontata. E fino a quando escort e veline non sono state protagoniste della scena pubblica, le nostre proposte hanno scandito il confronto politico". Ecco appunto, di fronte al discredito sulla vita privata/pubblica del premier, c'è bisogno di una dura opposizione. "Chi lo nega, ma evitiamo di accettare la caricatura secondo cui ci sarebbe chi è intransigente e chi è morbido. Per esperienza posso dire che l'opposizione non ha bisogno di aggettivi, o si fa o non si fa, e noi vogliamo farla". Non si sente isolato, lei che è stato l'ultimo segretario dei Ds, ad appoggiare Franceschini, dal momento gran parte dei suoi compagni stanno con Bersani? "Non mi sento in solitudine perché molti altri ex Ds condividono questa scelta. Quando nel 2007 scegliemmo Veltroni segretario del Pd, schierai tutti i Ds a suo sostegno, Scelta che mi fu rimproverata, vedendovi l'antico mito dell'unità. Ma la lunga storia del principale partito della sinistra italiana andava chiusa senza lacerazioni che peraltro avrebbero reso più gracile il neonato Pd. Adesso ho fatto una scelta nell'esclusivo interesse del Pd. Se anch'io mi fossi schierato con Bersani saremmo tornati alla dialettica delle vecchie appartenenze tra ex Ds e ex Dl. Vorrei un partito di uomini liberi, che non hanno paura di dirsi le cose senza che venga meno la stima, il rispetto e per alcuni di noi anche l'affetto che deriva da una vita insieme".

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