ANKARA — «Sono 50 anni che siamo in attesa di entrare nell'Unione europea. E ora vorremmo una risposta chiara. Vi sono leader che dicono una cosa e poi si correggono, e magari in altre sedi sostengono di non averla detta. È diventato comico, e noi siamo stanchi di comiche». Parla a bassa voce, quasi a voler celare il fastidio, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, che si prepara a partire per L'Aquila, per il G8 e la sua propaggine allargata, con la determinazione di chi vuol far valere le ragioni e le aspirazioni del suo Paese. «Mi chiedete se accetterei un'associazione privilegiata? No, mai. Chiediamo l'adesione piena e basta!», ha detto nell'intervista esclusiva concessa al nostro giornale. All'incontro era presente il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli. È sera, e sul volto di Erdogan sono disegnati i segni di una dura giornata di lavoro. Ci riceve nella sede del partito dove, dietro la sua scrivania, troneggia l'immagine di Mustafa Kemal Atatürk, il grande leader laico che ha cambiato la storia del Paese e di tutta la regione. Un leader indiscusso, che un tempo il futuro presidente del partito islamico moderato della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) non esitava a criticare. Ma ora, con la consapevolezza delle responsabilità, sembra a volte chiederne silenziosamente i consigli. Ai lati del dipinto, le bandiere della Turchia e quella con la lampadina del suo partito Akp. Lampadina stampata sugli astucci di cioccolatini, che il premier offre ai suoi ospiti.
Signor primo ministro, lei parteciperà alla seconda giornata di lavori del G8 e avrà, per decisione della presidenza italiana, un tavolo tutto europeo, con rappresentanti di Paesi che la sostengono, come Italia, Gran Bretagna, Spagna e la Svezia (presidente di turno dell'Ue), e Paesi che sono contrari, come la Germania, ma soprattutto la Francia. Ci tolga una curiosità: ma perché Sarkozy è così duro con voi? «Difficile comprendere. Vedete, io ho ottimi rapporti personali con tutti i miei colleghi. Anche con il presidente Sarkozy. Quando la Francia aveva la presidenza dell'Ue, il collega Sarkozy nei tête-à-tête mi diceva: "State tranquilli. Apriremo 30 capitoli, su altri 5 vedremo dopo". Poi andava in Svezia e faceva dichiarazioni durissime. Poi, quando ci rivedevamo, correggeva».
L'Italia, invece, vi ha sempre sostenuto con scelte bipartisan, sia con i governi di centrosinistra che con quelli di centrodestra. «È vero, è così. Il problema è non diffondere messaggi conflittuali. Chiediamo chiarezza e coerenza. Certo, anche noi abbiamo le nostre colpe. Non abbiamo saputo spiegare chi siamo e non abbiamo saputo comunicare quel che stavamo e stiamo facendo. E così in alcuni leader si sono radicate idee sbagliate: che non avevano e non hanno nulla a che fare con la nostra realtà».
Ma può spiegarci perché nell'Unione europea molti hanno paura della Turchia? «Ve l'ho appena detto».
Un sondaggio, diffuso ieri dal vostro istituto di ricerca, dice che, nonostante le difficoltà e qualche disaffezione, il 51,9 per cento dei turchi è ancora favorevole all'ingresso del vostro Paese nell'Ue, mentre i contrari sono il 29,5 per cento. Pensavamo peggio. «Dovreste pensare che nel 2005, quando abbiamo cominciato i negoziati, il 75 per cento del nostro popolo era favorevole. Poi, a forza di no, di forse, di distinguo, siamo arrivati a questo punto. Basterebbe che la cancelliera Merkel e il presidente Sarkozy dicessero: "Bene, se la Turchia soddisfa tutte le condizioni richieste, saremo pronti ad accoglierla". Basterebbe questo per tornare a percentuali quasi plebiscitarie».
Vi è stato chiesto di modificare l'articolo 301 del codice penale, che punisce con il carcere chi offende "l'identità turca". Accusa che era stata rivolta al premio Nobel Pamuk. «E noi l'abbiamo modificato. Dico di più. Abbiamo consultato e studiato i codici penali di Italia, Germania e Spagna. Posso dirvi che il nostro articolo 301 è migliore del vostro. Nessuno è finito in carcere».
Ma non sarebbe ora, signor Erdogan, di fare i conti con la vostra storia? Pensiamo agli armeni, vittime di quello che molti storici considerano un genocidio. «Non esiste un solo documento che lo provi. Uno solo. E poi: pensate che 40.000 armeni continuerebbero a vivere in Turchia? Sono gli armeni in altri Paesi che diffondono notizie e interpretazioni non corrispondenti alla realtà».
Lei ha parlato di un passato fascista, in Turchia, che non ha rispettato le minoranze. «Sì, mi riferivo ad errori commessi nel passato contro gli ebrei, i greci, i cristiani».
Negli ultimi tempi sono riaffiorati contrasti con i militari. C'è una proposta di legge, alla firma del presidente Gül, che prevede tribunali civili anche per i soldati. La firmerà il capo dello Stato? «La domanda non è giusta. Non si può parlare di contrasti con le Forze armate. I militari, come la polizia e le forze di sicurezza, fanno parte della nostra società. Ora, un conto è processare, in un tribunale civile, un soldato che ha commesso reati civili. Ma nessuno intende processare militari che abbiano commesso reati connessi con la loro missione».
In Iraq la situazione è migliorata. Non vi sono più le pressioni nel Nord, nel Kurdistan, che tanto vi preoccupavano. Con l'Iran avete buoni rapporti. Non temete il suo potenziale nucleare? «Noi siamo assolutamente contrari alle armi di distruzione di massa, però ci poniamo una domanda: è giusto condannare soltanto alcuni Paesi che le detengono o starebbero attrezzandosi a dotarsene? Io penso che tutti i Paesi dovrebbero essere liberati dalle armi di distruzione di massa. Tutti».
È quanto sosteneva il presidente Obama nei suoi scritti giovanili. «Appunto. E le notizie che arrivano da Mosca sull'accordo tra Usa e Russia per la riduzione delle testate sono incoraggianti».
Lei ha la passione per il calcio. Lo ha anche praticato. Tifa per il Fenerbahçe, ma il suo compagno di partito, il presidente della repubblica Abdullah Gül, tifa per il Besiktas. E il Besiktas ha vinto il campionato. Mi sembra che, quest'anno, lei condivida le sofferenze sportive di Berlusconi e del suo Milan. «In Italia Milan, Inter e Juventus sono icone del calcio. Da noi ce ne sono altrettante. È bello vincere, ma è anche bello riprovarci, se l'anno prima le cose non sono andate bene».
A proposito del presidente Berlusconi. Che idea si è fatto delle vicende private nelle quali è coinvolto? «Berlusconi è un collega, un amico, è uno di famiglia. Perciò entrare nelle sue vicende private non è né corretto né leale».
Antonio Ferrari
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