sabato 6 giugno 2009

Sulla campagna elettorale

Un bilancio poco esaltante

Èstata una campagna elettorale europea solo formalmente; in realtà, anche troppo italiana. Ruvida fino a risultare greve. Autolesionistica e logorante nella sua tendenza all’esagerazione polemica. Segnata dalla volontà berlusconiana di fare un pieno di voti anche personali, tale da blindarlo nella maggioranza, prima ancora che a Strasburgo; e dal tentativo del centrosinistra di approfittare delle sue vicende familiari per delegittimarlo moralmente, logorarlo, e frenarne le ambizioni trionfali. L’esito di questo duello dai contorni un po’ patologici sarà deciso fra oggi pomeriggio e domani sera, quando si saprà chi ha vinto e chi ha perso anche nelle amministrazioni di alcune città. Fin d’ora, però, il bilancio non appare esaltante. La distanza non solo dai temi dell’Europa ma da uno scontro civile comporterà un prezzo. Il riferimento non è tanto alla pioggia di querele annunciate da Berlusconi nelle ultime ore contro i giornali, italiani e stranieri, che hanno pubblicato le foto proibite scattate mesi fa in una delle sue ville sarde. Il logoramento prodotto dal fango di queste settimane è provato dall’annuncio fatto ieri dal premier: una campagna per indurre la stampa estera a raccontare un’Italia meno caricaturale di quella che, secondo Berlusconi, viene descritta. Evidentemente, il premier avverte che la sua immagine può essersi scalfita a livello internazionale. E vuole rimediare, sapendo che fra appena un mese l’Italia e lui personalmente saranno sovraesposti dal G8 all’Aquila. Su questo sfondo, la vittoria probabile del centrodestra sarebbe un balsamo, non un antidoto. E comunque, bisognerà vedere quali rapporti di forza emergeranno: non solo fra maggioranza ed opposizione, ma all’interno dei due schieramenti. L’idea del «derby padano» rivela una competizione feroce fra Pdl e Lega; e forse un gioco delle parti fra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, tesi a convincere gli elettori che la partita si gioca solo nel centrodestra: un tentativo di presentare l’opposizione come una comprimaria. Conta di mobilitare i sostenitori berlusconiani, solitamente un po’ abulici alle consultazioni europee. Il voto è anche amministrativo, e questo dovrebbe garantire una partecipazione maggiore almeno in alcune città. Ma Bossi ha già detto che in caso di ballottaggi chiederà di disertare le urne per boicottare il referendum del 21 giugno: produrrebbe un bipartitismo che la Lega giudica una minaccia alla propria sopravvivenza. Per quanto «referendario», Berlusconi asseconderà l’alleato. Tutte le sue mosse degli ultimi giorni sembrano di tipo preventivo e insieme distensivo. L’offerta pubblica della presidenza del Veneto al Carroccio conta più della correzione di rotta delle ore successive. D’altronde, se ne parla da oltre un anno. Fotografa un rapporto di forza che ha mutato i numeri e la qualità dell’alleanza di centrodestra nella principale regione del Nordest. Soprattutto, ha l’aria di un obolo alla stabilità del governo: il tentativo di mettere al sicuro la legislatura da eventuali scosse centrifughe. Berlusconi sa che il pericolo può venire soprattutto dalle file della maggioranza. La crisi del Pdl in Sicilia è un segnale allarmante, per palazzo Chigi. Sicuramente il capo del governo riuscirà a rimettere insieme i cocci dopo le europee. L’implosione della giunta regionale, però, è in sé un indizio negativo. Rivela le tensioni in una coalizione priva di avversari esterni. L’opposizione è consapevole di essere al massimo «un argine al padrone assoluto», come ripete Dario Franceschini. Sia il segretario del Pd che l’Idv di Antonio Di Pietro possono sperare più su uno sfaldamento del centrodestra che sulla propria forza. Vivono in trincea, non all’attacco. Franceschini deve dimostrare che il Pd può sopravvivere alle proprie contraddizioni e alla spregiudicatezza di Di Pietro; e definire un’identità per ora ambigua anche nella collocazione dentro la galassia del socialismo europeo. L’incognita è l’astensionismo, con il pericolo di vedere evaporare le giunte di sinistra, ultimo retaggio dell’Unione prodiana; e modello superstite di un sistema di alleanze che il Pd dovrà riplasmare. Sia per il governo che per i suoi avversari, insomma, comincia una fase difficile. L’Europa e gli intrecci internazionali, sottovalutati se non ignorati, presenteranno il conto molto presto: e con gli interessi.

Massimo Franco

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