sabato 6 giugno 2009

Incubi e deliri

Se gli europei dicessero: Yes,we can

Un anno fa, di questi giorni, Barack Obama e Hillary Clinton si contendevano la candidatura alla Presidenza nel mezzo della più intensa e incerta campagna elettorale che si ricordi. Oggi l’America si presenta con volto, parole, atti, stile di governo, profondamente mutati: legalità costituzionale, risparmio energetico, apertura al mondo islamico, nuove relazioni con Cuba, bando alla tortura, avvio di riforme sociali. Futile arroganza, uso della paura, miopia hanno ceduto il passo a serietà, calma, ascolto, sguardo lungo. È scattato il meccanismo essenziale della democrazia: cambiare in modo pacifico una politica e un governo di cui il popolo è scontento. Potrebbe accadere in Europa? Potremmo, tra un anno, riconoscere nell’elezione europea del 2009 una svolta nella storia del continente? Non lo impediscono nessuna maledizione divina e nessuna disposizione costituzionale. Proviamo a immaginare. Appena insediatosi, in una mozione votata da tutti i suoi gruppi, il nuovo Parlamento dichiara che di fronte alla crisi, al disgregamento del mercato unico, al mutare degli equilibri mondiali, alla palese impotenza dei Paesi europei singolarmente presi, allo spreco di risorse insito nella frammentazione della spesa, un mutamento di rotta s’impone. Il Parlamento decide due mosse. Primo, rivendica a se stesso la scelta del presidente della Commissione (e dei commissari). Poiché anche nell'Unione, come in ogni democrazia parlamentare, mai l'esecutivo potrebbe insediarsi senza un voto di fiducia, sappiano i primi ministri e il Consiglio europeo che — come per qualsiasi capo o re degli Stati membri — un annuncio non concordato con i rappresentanti eletti dal popolo verrà bocciato. Secondo, il Parlamento chiede un’immediata e radicale riforma del bilancio dell’Unione e quindi delle politiche comuni: spesa flessibile e discrezionale, nessuna rigida ripartizione per destinazioni nazionali, vere fonti di entrata europea, nuove risorse per attuare le politiche comuni previste dai Trattati e finora impedite dal Consiglio. Le due mosse sconvolgono il modus operandi dell’Unione e ne bloccano il funzionamento: cessazione dei pagamenti e delle procedure, proteste dei destinatari della spesa, dimostrazioni di piazza. Il Parlamento non cede. Alla fine, dopo mesi di paralisi i governi, il Consiglio (il cartello dei non-volenti, l’immenso tavolo dove i ministri nazionali recitano le dichiarazioni preparate dai loro funzionari) capiscono che il gioco è cambiato, si rassegnano al costituirsi di un potere nuovo in Europa. Una paralisi totale di alcuni mesi è più intollerabile (ma meno dannosa) dell’emiparesi in cui l'Europa languiva da decenni. Qualche Paese che non ci sta decide di uscire dall’Unione, ottenendo di conservare i diritti acquisiti. Non ci vorrebbe più di un anno. Non sarebbe una svolta storica più grande dell’unificazione politica dell’Italia o della Germania nel 19˚ secolo, o, nel 20˚, della rivoluzione d’Ottobre, dell’emancipazione coloniale e del crollo dell’impero sovietico. Se non accadrà, sarà solo per la pigrizia e l’indifferenza degli europei stessi. Pochissimi ritengono che accadrà. Neanche io lo penso. Ma penso che questa eventualità sia auspicabile, che potrebbe accadere e forse un giorno accadrà, che i cittadini europei dovrebbero convincersene. E spero che persone con vocazione alla politica costruiscano le proprie fortune su di essa, così come in passato altri l’hanno costruita sulla conquista dell’unità d’Italia, o del suffragio universale, o dell’abolizione della schiavitù. Yes, we can.

Tommaso Padoa-Schioppa

0 commenti: