domenica 7 giugno 2009

Sua pallidezza

Il segretario del Pd al seggio: prima vota lui, poi fa votare la figlia dribblando i fotografi, Mobilitati i coordinatori: "Sarebbe il colmo se Berlusconi vincesse per la nostra astensione". L'attesa di Franceschini: "Io ce l'ho messa tutta" di Giovanna Casadio

ROMA - "Sono segretario da 105 giorni, ho fatto tutto quello che ho potuto, ho speso ogni mia energia: ora vediamo i risultati". Dario Franceschini si siede esausto in piazza Santa Maria in Trastevere dopo l'ultimo veloce comizio, a mezzanotte meno dieci di venerdì. In corner, prima del silenzio elettorale, alla festa organizzata da David Sassoli. Non fa pronostici. Neppure ieri. Gli hanno mandato mail: "Tu meriteresti la fatica di un voto: ma se poi nel Pd tornate solo ad azzuffarvi?". Molte ore della giornata, il segretario le ha passate al telefono con i coordinatori locali del partito: "Convincete la nostra gente ad andare a votare, sarebbe il colmo se regalassimo una stravittoria a Berlusconi per la delusione e la stanchezza dei nostri". È questa la sua preoccupazione: l'astensione degli elettori di centrosinistra. La ammette, uscendo dal seggio. E fa una cosa insolita in questi tempi di democrazia del "primo piano": vota lui alle sei del pomeriggio nella scuola Settembrini, vicino a Fontana di Trevi, sotto i flash dei fotografi e inseguito dalle telecamere, poi si allontana. Ritorna dopo mezz'ora con le figlie, per accompagnare la più grande Caterina, ventenne, alle urne senza più paparazzi in giro. Mentre Maria Elena, tredici anni, è reduce da un corso di "agility dog", per insegnare al bastardino che hanno da qualche mese a districarsi nei percorsi a ostacoli. Anche lì, papà presente. Un pomeriggio da padre a tempo pieno, e però Franceschini fa scudo. Dopo il putiferio scatenato da quella sua frase sul Cavaliere-cattivo esempio di moralità e perciò educatore inaffidabile - contro la quale, in difesa del padre, sono scesi in campo i cinque rampolli di Berlusconi - figli e figlie meglio tenerli fuori. Il Pd, dunque. In un mese e mezzo di campagna elettorale il cattolico-democratico Franceschini - che si è ritrovato a guidare il fragile partito dei Democratici dopo il trauma delle dimissioni di Veltroni - ha toccato piazze, mercati, stazioni ferroviarie, quartieri popolari di tutta Italia. Nelle ultime ventiquattr'ore era stato a Ferrara, a casa sua, la città dove, appena eletto segretario, ha voluto giurare sulla Costituzione del padre partigiano. Quindi a Trieste, e poi a Reggio Calabria. Ritorno a Roma per registrare l'ultimo appello in Rai. E infine Trastevere. "Mi sono svegliato alle 10,30. Finalmente", racconta entrando ieri a votare. Si ferma a guardare bene lista del Pd affissa alla parete della scuola, tra i disegni dei bimbi della materna: "Non è che sono indeciso, eh... ", ironizza. È per via dei nomi di preferenza. Gli chiedono previsioni sul partito: "Non ho mai dato numeri, figuriamoci se li do adesso, che è anche il giorno in cui non si parla". Ma con gli amici più stretti, i Giacomelli, i Garofani, Piero Martino e Beppe Fioroni, i numeri li hanno fatti, eccome. Andrebbe bene se il Pd non scendesse sotto il 26-27%. Rispetto ai sondaggi catastrofici dei giorni dell'addio di Veltroni, sarebbe un'inversione di tendenza. Dario, il "ragazzo di Zac", classe 1958, sa di giocarsi il tutto per tutto. Cominceranno subito le manovre per il primo congresso dei Democratici previsto in autunno. Franceschini potrebbe ricandidarsi se, avendo mostrato di risalire la china, potesse contare su solide alleanze interne. "Il mio dolore - ragionava nei giorni scorsi - è la nostra litigiosità. Però in queste settimane è praticamente scomparsa. Mi chiedono se mi sono sentito solo? Non lo sono stato affatto, perché si sono impegnati tutti ma proprio tutti". D'Alema, moltissimo. Come Bindi, Letta, Bersani, Veltroni, Marini, tutti gli ex Popolari, Gentiloni, Rutelli. Anche Prodi dopo un lungo silenzio è tornato in campo con un appello online. Nessuno ha sgarrato. Domani non si sa, però per un mese e mezzo i democratici hanno fatto gioco di squadra.

Esatto, signor pallidezza. Lei ce l'ha messa tutta in campagna elettorale. Ma la colpa è tutta sua se io oggi il mio voto lo do a Berlusconi e per una volta lascio indietro il "mio" partito. Avrebbe potuto fare una campagna elettorale migliore... non tanto per i "destri" come me, quanto per i suoi sinistri. E non è stato capace di dirne o farne una buona ultimamente. Si nasconda da qualche parte perchè se la disfatta del Pd è bella consistente, la colpa è ANCHE sua.

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