L’uomo che è stato interrogato dalla Procura di Napoli, ieri pomeriggio, non era un cittadino qualsiasi: era il perpetuo amico delle toghe, l’ex magistrato a vita, il difensore di ogni pubblico ministero dello Stivale, il politico giustizialista secondo il quale l’inquirente più squilibrato deve comunque «andare avanti» e ovviamente «senza guardare in faccia a nessuno». Non era un uomo: era un testimonial di categoria e, anche alla luce di passate vicende, senz’altro il cittadino più protetto del Paese. Altrimenti non gli avrebbero riservato un’accoglienza così sontuosa: giornalisti e fotografi, ieri, sono stati allontanati dall’ingresso della procura grazie a una disposizione ad horas del procuratore generale, provvedimento personalizzato e senza precedenti che ha sollevato ovvie proteste da parte di taccuini e telecamere. Sono stati i cronisti a far notare che l’altro giorno, in occasione dell'interrogatorio di Italo Bocchino, che è solamente vice-capogruppo del Pdl, le cose erano state ben diverse: era mancato solo che i giornalisti fossero fatti entrare direttamente nella stanza dell'interrogatorio. Mentre ora, a protezione, mancavano solo i dobermann: e Di Pietro sembrava lui, quello dei bei tempi; parliamo dell’uomo che aveva «annusato» l'inchiesta napoletana un anno e mezzo prima che fosse resa nota; è l’uomo che a Brescia evitò ogni processo a suo danno (prestiti, Mercedes, case eccetera) incassando una serie di «non luoghi a procedere» che per qualsiasi altro cittadino, statistiche alla mano, si sarebbero tradotti in automatici rinvii a giudizio; è l’uomo che in Tribunale, ambiente suo, vince ogni querela anche se scritta in molisano; è l’uomo che nel periodo di Mani pulite entrava nei negozi preceduto dai mitra spianati della scorta, l’uomo il cui figlio Cristiano, da 22enne, ottenne di fare l’esame di maturità completamente da solo, per «motivi di sicurezza». Il cittadino più protetto d’Italia, ufficialmente, è stato ascoltato a proposito di quella che in precedenza aveva definito «una grandissima puttanata»: la fuga di notizie, cioè, che a partire dal 29 luglio 2007 l’aveva già messo al corrente che il provveditore delle Opere pubbliche della Campania, Mario Mautone, uomo suo, era indagato a Napoli. Chi era stata la talpa? Querelato e snobbato, il Giornale gliel’aveva chiesto per settimane. Una faccenda «ambigua», scrissero gli investigatori. Ripetiamola per la centesima volta, anche per tutti quei giornali che non l’hanno scritta mai: la Dia ha scritto di circostanza «inquietante» perché Di Pietro e suo figlio, e un po’ tutta l’Italia dei Valori, improvvisamente, smisero di parlare a Mautone come se fosse appestato, cioè indagato; Di Pietro disse che aveva trasferito Mautone a Roma «perché sapevo dell’indagine», poi ha corretto e ha specificato che dell’indagine aveva appreso da agenzie di stampa: e non era vero neanche questo. Poi più nulla, zero, silenzio: sino a una non-spiegazione fornita sulle colonne di Libero per una questione appunto definita «una puttanata mostruosa». Ora chissà se l’arcano sarà stato svelato: non è detto che i magistrati già non sapessero come certe notizie siano uscite dal loro ufficio. Di Pietro, comunque, è stato interrogato per quasi quattro ore, verbalizzazione compresa: ed è uscito con l’aria pur sfatta di chi l’indagine la stava conducendo, più che subendo. È mestiere. Aveva raccontato che si era recato spontaneamente in procura per rendere delle dichiarazioni (mascheratura del fatto che i magistrati avevano convocato lui) e alla fine dell'interrogatorio si è offerto ai giornalisti con lo stile inceppato e burocratico che è tipico dei suoi momenti difficili: «Ho messo in condizione la procura di ricostruire le ragioni per cui Mautone è stato trasferito insieme a decine di funzionari». Traduzione: ha risposto alle domande. Poi: «Non solo io, ma anche altri ministri abbiamo ritenuto di trasferire questi funzionari». E qui è come ai tempi delle inchieste bresciane: ha chiamato in corresponsabiltà più gente possibile (come fece col Pool di Milano, ai tempi) così da relativizzare il proprio ruolo. Poi i giornalisti gli hanno ripetutamente chiesto di Cristiano, il figliolo, il consigliere provinciale che raccomandava i suoi amici al provveditore Mautone. E c’è da tradurre anche qui: «Non vogliamo ci sia alcuna riserva per parenti, figli compresi, e esponenti di partito», ha detto Di Pietro. Significa, se vi fidate, che Cristiano è indagato. «I magistrati non mi hanno detto null’altro, di quello che lo riguarda». Significa: è indagato, ma non sarò io a dirvelo. Provvediamo noi. Povero ragazzo.
venerdì 16 gennaio 2009
Moralisti
Trattamento di favore di Filippo Facci
L’uomo che è stato interrogato dalla Procura di Napoli, ieri pomeriggio, non era un cittadino qualsiasi: era il perpetuo amico delle toghe, l’ex magistrato a vita, il difensore di ogni pubblico ministero dello Stivale, il politico giustizialista secondo il quale l’inquirente più squilibrato deve comunque «andare avanti» e ovviamente «senza guardare in faccia a nessuno». Non era un uomo: era un testimonial di categoria e, anche alla luce di passate vicende, senz’altro il cittadino più protetto del Paese. Altrimenti non gli avrebbero riservato un’accoglienza così sontuosa: giornalisti e fotografi, ieri, sono stati allontanati dall’ingresso della procura grazie a una disposizione ad horas del procuratore generale, provvedimento personalizzato e senza precedenti che ha sollevato ovvie proteste da parte di taccuini e telecamere. Sono stati i cronisti a far notare che l’altro giorno, in occasione dell'interrogatorio di Italo Bocchino, che è solamente vice-capogruppo del Pdl, le cose erano state ben diverse: era mancato solo che i giornalisti fossero fatti entrare direttamente nella stanza dell'interrogatorio. Mentre ora, a protezione, mancavano solo i dobermann: e Di Pietro sembrava lui, quello dei bei tempi; parliamo dell’uomo che aveva «annusato» l'inchiesta napoletana un anno e mezzo prima che fosse resa nota; è l’uomo che a Brescia evitò ogni processo a suo danno (prestiti, Mercedes, case eccetera) incassando una serie di «non luoghi a procedere» che per qualsiasi altro cittadino, statistiche alla mano, si sarebbero tradotti in automatici rinvii a giudizio; è l’uomo che in Tribunale, ambiente suo, vince ogni querela anche se scritta in molisano; è l’uomo che nel periodo di Mani pulite entrava nei negozi preceduto dai mitra spianati della scorta, l’uomo il cui figlio Cristiano, da 22enne, ottenne di fare l’esame di maturità completamente da solo, per «motivi di sicurezza». Il cittadino più protetto d’Italia, ufficialmente, è stato ascoltato a proposito di quella che in precedenza aveva definito «una grandissima puttanata»: la fuga di notizie, cioè, che a partire dal 29 luglio 2007 l’aveva già messo al corrente che il provveditore delle Opere pubbliche della Campania, Mario Mautone, uomo suo, era indagato a Napoli. Chi era stata la talpa? Querelato e snobbato, il Giornale gliel’aveva chiesto per settimane. Una faccenda «ambigua», scrissero gli investigatori. Ripetiamola per la centesima volta, anche per tutti quei giornali che non l’hanno scritta mai: la Dia ha scritto di circostanza «inquietante» perché Di Pietro e suo figlio, e un po’ tutta l’Italia dei Valori, improvvisamente, smisero di parlare a Mautone come se fosse appestato, cioè indagato; Di Pietro disse che aveva trasferito Mautone a Roma «perché sapevo dell’indagine», poi ha corretto e ha specificato che dell’indagine aveva appreso da agenzie di stampa: e non era vero neanche questo. Poi più nulla, zero, silenzio: sino a una non-spiegazione fornita sulle colonne di Libero per una questione appunto definita «una puttanata mostruosa». Ora chissà se l’arcano sarà stato svelato: non è detto che i magistrati già non sapessero come certe notizie siano uscite dal loro ufficio. Di Pietro, comunque, è stato interrogato per quasi quattro ore, verbalizzazione compresa: ed è uscito con l’aria pur sfatta di chi l’indagine la stava conducendo, più che subendo. È mestiere. Aveva raccontato che si era recato spontaneamente in procura per rendere delle dichiarazioni (mascheratura del fatto che i magistrati avevano convocato lui) e alla fine dell'interrogatorio si è offerto ai giornalisti con lo stile inceppato e burocratico che è tipico dei suoi momenti difficili: «Ho messo in condizione la procura di ricostruire le ragioni per cui Mautone è stato trasferito insieme a decine di funzionari». Traduzione: ha risposto alle domande. Poi: «Non solo io, ma anche altri ministri abbiamo ritenuto di trasferire questi funzionari». E qui è come ai tempi delle inchieste bresciane: ha chiamato in corresponsabiltà più gente possibile (come fece col Pool di Milano, ai tempi) così da relativizzare il proprio ruolo. Poi i giornalisti gli hanno ripetutamente chiesto di Cristiano, il figliolo, il consigliere provinciale che raccomandava i suoi amici al provveditore Mautone. E c’è da tradurre anche qui: «Non vogliamo ci sia alcuna riserva per parenti, figli compresi, e esponenti di partito», ha detto Di Pietro. Significa, se vi fidate, che Cristiano è indagato. «I magistrati non mi hanno detto null’altro, di quello che lo riguarda». Significa: è indagato, ma non sarò io a dirvelo. Provvediamo noi. Povero ragazzo.
L’uomo che è stato interrogato dalla Procura di Napoli, ieri pomeriggio, non era un cittadino qualsiasi: era il perpetuo amico delle toghe, l’ex magistrato a vita, il difensore di ogni pubblico ministero dello Stivale, il politico giustizialista secondo il quale l’inquirente più squilibrato deve comunque «andare avanti» e ovviamente «senza guardare in faccia a nessuno». Non era un uomo: era un testimonial di categoria e, anche alla luce di passate vicende, senz’altro il cittadino più protetto del Paese. Altrimenti non gli avrebbero riservato un’accoglienza così sontuosa: giornalisti e fotografi, ieri, sono stati allontanati dall’ingresso della procura grazie a una disposizione ad horas del procuratore generale, provvedimento personalizzato e senza precedenti che ha sollevato ovvie proteste da parte di taccuini e telecamere. Sono stati i cronisti a far notare che l’altro giorno, in occasione dell'interrogatorio di Italo Bocchino, che è solamente vice-capogruppo del Pdl, le cose erano state ben diverse: era mancato solo che i giornalisti fossero fatti entrare direttamente nella stanza dell'interrogatorio. Mentre ora, a protezione, mancavano solo i dobermann: e Di Pietro sembrava lui, quello dei bei tempi; parliamo dell’uomo che aveva «annusato» l'inchiesta napoletana un anno e mezzo prima che fosse resa nota; è l’uomo che a Brescia evitò ogni processo a suo danno (prestiti, Mercedes, case eccetera) incassando una serie di «non luoghi a procedere» che per qualsiasi altro cittadino, statistiche alla mano, si sarebbero tradotti in automatici rinvii a giudizio; è l’uomo che in Tribunale, ambiente suo, vince ogni querela anche se scritta in molisano; è l’uomo che nel periodo di Mani pulite entrava nei negozi preceduto dai mitra spianati della scorta, l’uomo il cui figlio Cristiano, da 22enne, ottenne di fare l’esame di maturità completamente da solo, per «motivi di sicurezza». Il cittadino più protetto d’Italia, ufficialmente, è stato ascoltato a proposito di quella che in precedenza aveva definito «una grandissima puttanata»: la fuga di notizie, cioè, che a partire dal 29 luglio 2007 l’aveva già messo al corrente che il provveditore delle Opere pubbliche della Campania, Mario Mautone, uomo suo, era indagato a Napoli. Chi era stata la talpa? Querelato e snobbato, il Giornale gliel’aveva chiesto per settimane. Una faccenda «ambigua», scrissero gli investigatori. Ripetiamola per la centesima volta, anche per tutti quei giornali che non l’hanno scritta mai: la Dia ha scritto di circostanza «inquietante» perché Di Pietro e suo figlio, e un po’ tutta l’Italia dei Valori, improvvisamente, smisero di parlare a Mautone come se fosse appestato, cioè indagato; Di Pietro disse che aveva trasferito Mautone a Roma «perché sapevo dell’indagine», poi ha corretto e ha specificato che dell’indagine aveva appreso da agenzie di stampa: e non era vero neanche questo. Poi più nulla, zero, silenzio: sino a una non-spiegazione fornita sulle colonne di Libero per una questione appunto definita «una puttanata mostruosa». Ora chissà se l’arcano sarà stato svelato: non è detto che i magistrati già non sapessero come certe notizie siano uscite dal loro ufficio. Di Pietro, comunque, è stato interrogato per quasi quattro ore, verbalizzazione compresa: ed è uscito con l’aria pur sfatta di chi l’indagine la stava conducendo, più che subendo. È mestiere. Aveva raccontato che si era recato spontaneamente in procura per rendere delle dichiarazioni (mascheratura del fatto che i magistrati avevano convocato lui) e alla fine dell'interrogatorio si è offerto ai giornalisti con lo stile inceppato e burocratico che è tipico dei suoi momenti difficili: «Ho messo in condizione la procura di ricostruire le ragioni per cui Mautone è stato trasferito insieme a decine di funzionari». Traduzione: ha risposto alle domande. Poi: «Non solo io, ma anche altri ministri abbiamo ritenuto di trasferire questi funzionari». E qui è come ai tempi delle inchieste bresciane: ha chiamato in corresponsabiltà più gente possibile (come fece col Pool di Milano, ai tempi) così da relativizzare il proprio ruolo. Poi i giornalisti gli hanno ripetutamente chiesto di Cristiano, il figliolo, il consigliere provinciale che raccomandava i suoi amici al provveditore Mautone. E c’è da tradurre anche qui: «Non vogliamo ci sia alcuna riserva per parenti, figli compresi, e esponenti di partito», ha detto Di Pietro. Significa, se vi fidate, che Cristiano è indagato. «I magistrati non mi hanno detto null’altro, di quello che lo riguarda». Significa: è indagato, ma non sarò io a dirvelo. Provvediamo noi. Povero ragazzo.
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