martedì 2 marzo 2010

Perle di farefuturo...

... ossia, elogiare le "nuove italiane". Insomma, le stesse "nuove italiane" di questo articolo QUI che a proprio comodo una volta fanno riferimento alla sharia e la volta dopo fanno riferimento alla "carta dei valori" o alla costituzione italiana.

È l'ora di costruire ponti... per il nostro futuro di Tonia Garofano

Layla, Smahane, Lubna e Randa. Quattro giovanissime musulmane, quattro ragazze di seconda generazione nate in Italia o qui arrivate da piccolissime. Quattro donne che decidono di mettersi in gioco, di diventare protagoniste «di un'attualità sempre più incentrata sulla multiculturalità». «Questo blog nasce dalla convinzione che i giovani siano il futuro di questo paese, un futuro che deve essere costruito in primis da noi stessi, attraverso quella che secondo noi può essere un'arma vincente: la comunicazione, e quindi il dialogo e il confronto. Buona lettura!». È il post di benvenuto sul blog, Gli altri siamo noi, che insieme curano dal 2008 sul sito web del giornale La Stampa. Un blog per sperimentare, per confrontarsi, per farsi conoscere. Un blog che lascia trasparire tutta la voglia delle quattro giovani scrittrici di essere presenti nella società, di far ascoltare la loro voce, di capire e farsi capire. Un blog che racconta storie di immigrazione, integrazione, cittadinanza, islam attraverso gli occhi, le voci e le parole di quattro figlie di immigrati che si sentono italiane a tutti gli effetti. Nonostante il nome, che evoca origini straniere, nonostante i tratti somatici, che rivelano provenienze lontane, nonostante la religione, che fa temere un impossibile punto d’incontro nella società. Un blog che parla di libri, di cucina, di arte, di viaggi, di America, ma che sa affrontare, con leggerezza e precisione, temi scottanti, temo attuali, temi controversi. «Sono nata in Trentino e, giuro, ne conosco il dialetto; ho il passaporto italiano; la bandiera nazionale Italiana, il Tricolore, è la mia bandiera. Ecco i primi tasselli della mia "italianità". […] Forse è inutile girarci intorno, il problema è sempre lo stesso: la mia fede. Sono musulmana, o forse è meglio dire islamica, visto che ultimamente questo termine va tanto di moda. Mio padre non mi maltratta e sono libera di vestire come voglio, mia madre è cattolica e non è stata costretta a convertirsi o a non andare più in Chiesa. Frequento l'università e pago le tasse puntualmente. Mi impegno in iniziative in cui credo per dare un contributo alla mia società. Mia, si lo ripeto, ne sono convinta. […] Sono musulmana, integrabile, integrata come volete voi, sicuramente fiera della propria identità, composta sia dall'essere italiana che nel credere in Allah e nel suo Profeta Muhammad. Nessun dubbio, è una realtà, che esistano le moschee o i minareti, che porti il velo o meno, questa sono. È un fatto da accettare, mettetevi il cuore in pace», precisa perentoria Layla. E in un altro post aggiunge: «Il principio per cui è cittadino solo chi è nato in Italia è una concezione completamente sbagliata. Anche se non si ha il passaporto italiano, piaccia o no, si è portatori di diritti. Gli stranieri […] portano con sé una cultura, una tradizione ed anche una religione. Hanno il diritto di pregare nella propria lingua, il diritto di vestirsi come preferiscono (nei limiti della decenza) e la libertà di creare luoghi di ritrovo in cui condividere con altri la stessa religione o cultura». Le quattro giovani blogger toccano temi di fede, di islam, di simboli: non sono tutte velate, ma considerano il velo un atto di fede, una scelta religiosa: «Un atto di fede e di amore verso Dio. Quel Dio che io ritengo unico. Una scelta personale, libera, che rende serene con se stesse e con gli altri. Questo personalmente significa indossare il Hijab per libera scelta. Molti associano l'essere libera, per una donna musulmana, allo "svelarsi", eppure ritengo che per molte donne musulmane, in Europa, la libertà è rappresentata dal poterlo indossare. Con questo non intendo ignorare i numerosi casi di donne che portandolo non esprimono la propria libertà ma il volere, anzi, l'imposizione di qualcun altro. Condivido l'opinione di Tariq Ramadan, intellettuale ginevrino, scrittore e professore universitario, il quale, in numerose interviste ha dichiarato: "imporre il velo a una donna è contro l'Islam, vietarglielo è una violazione dei diritti dell'uomo"», osserva Layla. E Smahane prosegue: «Se non ricordo male, al punto 26 della Carta dei valori, il documento approvato dal ministro dell’Interno nel 2007, si legge: "In Italia non si pongono restrizioni all'abbigliamento della persona, purché liberamente scelto e non lesivo della sua dignità. Non sono accettabili forme di vestiario che coprono il volto perché ciò impedisce il riconoscimento della persona e la ostacola nell'entrare in rapporto con gli altri". Sono pienamente d’accordo al divieto del burqa per ovvi motivi di sicurezza, da non confondere però con il discorso dell’emancipazione femminile che secondo me poco c’entra. Sono cresciuta in una famiglia islamica che mi ha insegnato a non giudicare gli altri per le loro scelte, qualsiasi esse possano essere, mia madre ha scelto di non portare il velo e così anche noi figlie, la stessa scelta che ha portato tante donne islamiche a indossarlo, il velo è un atto di fede che va rispettato come tale, non si può con una semplice e stupida equazione associare velo, islam e sottomissione». Sono musulmane osservanti, ma non condannano i matrimoni misti: «La paura generata dalla cattiva propaganda alle unioni miste ha come principali motivi la differenza culturale e spesso religiosa. […] Sarebbe ipocrita dichiarare che non vi sono casi in cui la religione, se estremizzata, o l'imporre la propria cultura sorpassando quel confine che delimita il rispetto dell'altro, siano problematiche reali ed attuali ma il far luce sugli aspetti positivi e sull'effettiva realtà italiana fatta di statistiche e casi reali è sicuramente un investimento nel proporre un'integrazione che nasce anche dall'amore, il quale spesso e volentieri avvicina le culture e le intreccia generandone di nuove, noi figli», si legge sul blog. A conferma della tesi, Layla racconta la sua storia: la storia di figlia di una coppia mista. «Sono figlia di una coppia mista: mia mamma è italiana cattolica, mio padre siriano musulmano. Entrambi hanno mantenuto la loro religione insegnando ai figli la fede e le loro culture. I problemi che possono esserci sono quelli di una normale famiglia e non di certo legati alla religione o alla cultura di origine. Non mi sento di operare una "esponsabile messa in guardia alle donne italiane dallo sposare arabi e/o musulmani" perché reputo che prima di un matrimonio ci debba essere una profonda conoscenza reciproca. La religione da insegnare ai propri figli, ma anche la lingua e la cultura sono scelte che devono essere maturate coscientemente da entrambi prima di un matrimonio, non abbandonandosi solo all'amore ma riflettendo seriamente sul progetto di una vita insieme. In questo modo […] i figli non subiranno crisi di identità ma impareranno a rispettare e conoscere entrambe le culture dei propri genitori. Non è la ricetta del matrimonio perfetto ma una reale constatazione di quanto le religioni, se vissute e insegnate nel rispetto reciproco, all'interno della propria famiglia, arricchiscono, invece di separare». In occasione dell’omicidio di Sanaa, le pagine virtuali di Gli altri siamo noi hanno raccontato il dolore indignato per una morte ingiustificabile: «Mi sembra quasi superfluo specificare la mia posizione sul così tristemente detto “caso Sanaa”: il padre è un assassino e non ha nessuna attenuante, ha ammazzato sua figlia e deve essere fatta giustizia», osserva Liala. Ma al suo dolore per Sanaa si aggiunge la sofferenza per la propria fede, che vede bistrattata, non capita, colpevolizzata: «L'unico punto in comune è l'imputato, [Islam] processato quotidianamente senza che esista una difesa. Un imputato sempre più scomodo, in un’Italia che ha paura, che confonde politica, televisione e quotidianità, abbandonando la via della ricerca personale, senza aprire un libro per informarsi direttamente. A cosa serve? Basta accendere la tv! […] Troppi aspetti lontani tra loro sono stati affiancati e messi in un unico calderone, che purtroppo rischia di far traboccare quella goccia, che dovremmo temere. Una goccia che una volta straripata farà scoppiare la rabbia di coloro che veramente lavorano per l'integrazione, di coloro che amano questo paese e ne rispettano le leggi, lavorando, pagando le tasse e facendo studiare i figli. La rabbia di vedere la propria religione sbattuta in prima pagina, senza ritegno, senza conoscerla, senza rispetto. Un rispetto, a mio avviso dovuto, senza se e senza ma. Dovremmo temere questa reazione, considerandola un punto di scontro forse senza ritorno, che potrebbe distruggere i passi portati avanti in questi anni, verso il dialogo, la mediazione, l'integrazione e la cooperazione. Siamo sicuri di volere questo futuro?».

3 commenti:

Andrea ha detto...

" È l'ora di costruire ponti... "

ma poi buttatevece de sotto

Elly ha detto...

Quoto, ovviamente.

Tito ha detto...

Sarebbe bello che quello che dice questa Layla si applicasse anche nei paesi da dove provengono loro. I diritti li dovrebbe avere anche chi, cattolico, va in Arabia od in Yemen etc.