"Anche noi pensavamo di esserci affidati a un waqf islamico e, invece, ci siamo trovati in mano ad un'associazione a delinquere, che sfrutta il nome dell'islam per altri fini". Non usa mezzi termini S.C., uno dei membri fondatori della moschea di Brescia che dopo l'articolo sul Sole 24 Ore di ieri sul caso di Milano, si fa avanti raccontando la sua esperienza nei minimi dettagli con il "Waqf al islami in Italia". Il waqf è un istituto molto diffuso nei paesi islamici che può essere paragonato a una fondazione: il suo scopo è la gestione dei beni legati a opere religiose. L'esperienza di S.C. ci apre uno scenario drammatico e non solo per la trasparenza e chiarezza dei fondi che i fedeli musulmani versano aspettandosi moschee degne per accoglierli. Ma va oltre. I soldi sono solo il primo mezzo. la vera e propria guerra interna in atto da alcuni anni è per il controllo delle moschee sul territorio italiano. Tra Ucoii (Unione comunità islamiche in Italia) per mezzo del Waqf al islami in Italia e associazioni o centri islamici che vogliono rimanere indipendenti. «C'è di mezzo a questa conflittualità – spiega Ali Schuelz, ex membro dell'Ucoii ma attualmente membro fondatore dell'associazione culturale Ibn Khaldun di Milano – una questione d'indipendenza delle moschee da una parte e la voglia di predominio dei fratelli musulmani attraverso l'Ucoii dall'altra. Che vogliono controllare il territorio attraverso le moschee per avere un peso politico maggiore di rappresentanza per un'eventuale trattazione di un'intesa con lo stato. In realtà noi vogliano indipendenza economica perché questo significa anche indipendenza politica e ideologica. Una cosa molto difficile, perché a tutt'oggi le interferenze arrivano da tutte le parti anche da paesi esteri, e questo sfavorisce molto, quello che poi dovrebbe essere l'islam italiano che deve essere indipendente culturalmente, politicamente e finanziariamente». «Abbiamo raccolto per anni i soldi dalla nostra comunità in prospettiva di acquistare un immobile da adibire a moschea – racconta S.C. – ma poi per varie cause un membro del nostro direttivo è venuto a contatto con il membro del "Waqf al islami in Italia", convincendoci che era il waqf islamico. A questo waqf sono stati intestati per intero tutti i soldi raccolti. Non meno di 700mila euro. Inoltre da questi 700mila euro sono usciti 200mila euro in nero, e noi non sappiamo come e perché. Noi pensavamo realmente di imbatterci in un waqf , e che questo fosse un modo per salvaguardare l'immobile, la moschea per i fedeli, e invece ora l'unica cosa che sappiamo è che i nostri soldi sono intestati ad una semplice associazione che fa riferimento ai fratelli musulmani siriani, che usa questo suo potere per controllare le nostre idee, le nostre posizioni. È un controllo vero e proprio: chi si ribella perde potere decisionale. Il vero potere delle moschee sotto il waqf è nelle mani di 4-5 persone che controllano il waqf, che possono gestire questi soldi come vogliono e a loro discrezione. Non c'è nessuna garanzia». Nel waqf ci puoi entrare ma dal waqf non puoi uscire. Una volta intestati i soldi non c'è modo per poterliavere indietro anche se adesso più di qualcuno si sta attrezzando, come lo stesso Mohamed Asafa, unico ad aver adito le vie legali contro il waqf. «Noi ci stiamo attrezzando per tutelarci da questa trappola – dice S.C. –: ormai la comunità si è svegliata».Cerca di abbassare i toni Maher Kabakebji, il legale del waqf al Islami in Italia. «Non voglio entrare nella polemica né aggiungere altro a quello già detto sul nostro waqf» dice Kabakebji. Possiamo dire finalmente che il waqf al islami in Italia non è in realtà un waqf così com'è inteso nella sharia, ma è una semplice associazione? «Siamo in Italia – ribatte il legale del waqf – il nostro intento era ed è quello di fare un waqf che cosi com'è inteso in Italia non c'è, ma siamo pronti e sempre aperti all'evoluzione e dalla nostra parte c'è la volontà di avvicinarsi e studiare la formazione di un ente più possibilmente che si avvicini al waqf e sempre in concordanza con le autorità». Una fondazione per esempio? «E perché no?» accenna con disponibilità. «Il problema è che quando questi signori vengono ai centri islamici e alle associazioni – ribadisce Mohamed Asafa della casa della cultura islamica di Milano – si presentano come il Waqf, che colpisce e dà fiducia, poiché in realtà la sua esistenza è un bene ed è una garanzia per i fedeli musulmani, ma la realtà è ben diverse, perché il Waqf al islami in Italia è solo un nome di un'associazione, è come se io chiamo la mia associazione ministero dell'interno e poi pretendo di avere gli stessi poteri del ministero dell'interno e mi presento come tale ai cittadini. È qui che sta l'inganno». Insomma almeno possiamo chiarire finalmente che il nostro waqf all'italiana in realtà è un'associazione occulta: per chi non ha fatto in tempo a saperlo, non rimangono che le vie legali per poter riprendere gli immobili e gestire in modo indipendente ciò che per anni hanno ambito a fare.
domenica 21 marzo 2010
L'indipendenza di chi?
"Con il falso WAFQ a rischio soldi e indipendenza"
"Anche noi pensavamo di esserci affidati a un waqf islamico e, invece, ci siamo trovati in mano ad un'associazione a delinquere, che sfrutta il nome dell'islam per altri fini". Non usa mezzi termini S.C., uno dei membri fondatori della moschea di Brescia che dopo l'articolo sul Sole 24 Ore di ieri sul caso di Milano, si fa avanti raccontando la sua esperienza nei minimi dettagli con il "Waqf al islami in Italia". Il waqf è un istituto molto diffuso nei paesi islamici che può essere paragonato a una fondazione: il suo scopo è la gestione dei beni legati a opere religiose. L'esperienza di S.C. ci apre uno scenario drammatico e non solo per la trasparenza e chiarezza dei fondi che i fedeli musulmani versano aspettandosi moschee degne per accoglierli. Ma va oltre. I soldi sono solo il primo mezzo. la vera e propria guerra interna in atto da alcuni anni è per il controllo delle moschee sul territorio italiano. Tra Ucoii (Unione comunità islamiche in Italia) per mezzo del Waqf al islami in Italia e associazioni o centri islamici che vogliono rimanere indipendenti. «C'è di mezzo a questa conflittualità – spiega Ali Schuelz, ex membro dell'Ucoii ma attualmente membro fondatore dell'associazione culturale Ibn Khaldun di Milano – una questione d'indipendenza delle moschee da una parte e la voglia di predominio dei fratelli musulmani attraverso l'Ucoii dall'altra. Che vogliono controllare il territorio attraverso le moschee per avere un peso politico maggiore di rappresentanza per un'eventuale trattazione di un'intesa con lo stato. In realtà noi vogliano indipendenza economica perché questo significa anche indipendenza politica e ideologica. Una cosa molto difficile, perché a tutt'oggi le interferenze arrivano da tutte le parti anche da paesi esteri, e questo sfavorisce molto, quello che poi dovrebbe essere l'islam italiano che deve essere indipendente culturalmente, politicamente e finanziariamente». «Abbiamo raccolto per anni i soldi dalla nostra comunità in prospettiva di acquistare un immobile da adibire a moschea – racconta S.C. – ma poi per varie cause un membro del nostro direttivo è venuto a contatto con il membro del "Waqf al islami in Italia", convincendoci che era il waqf islamico. A questo waqf sono stati intestati per intero tutti i soldi raccolti. Non meno di 700mila euro. Inoltre da questi 700mila euro sono usciti 200mila euro in nero, e noi non sappiamo come e perché. Noi pensavamo realmente di imbatterci in un waqf , e che questo fosse un modo per salvaguardare l'immobile, la moschea per i fedeli, e invece ora l'unica cosa che sappiamo è che i nostri soldi sono intestati ad una semplice associazione che fa riferimento ai fratelli musulmani siriani, che usa questo suo potere per controllare le nostre idee, le nostre posizioni. È un controllo vero e proprio: chi si ribella perde potere decisionale. Il vero potere delle moschee sotto il waqf è nelle mani di 4-5 persone che controllano il waqf, che possono gestire questi soldi come vogliono e a loro discrezione. Non c'è nessuna garanzia». Nel waqf ci puoi entrare ma dal waqf non puoi uscire. Una volta intestati i soldi non c'è modo per poterliavere indietro anche se adesso più di qualcuno si sta attrezzando, come lo stesso Mohamed Asafa, unico ad aver adito le vie legali contro il waqf. «Noi ci stiamo attrezzando per tutelarci da questa trappola – dice S.C. –: ormai la comunità si è svegliata».Cerca di abbassare i toni Maher Kabakebji, il legale del waqf al Islami in Italia. «Non voglio entrare nella polemica né aggiungere altro a quello già detto sul nostro waqf» dice Kabakebji. Possiamo dire finalmente che il waqf al islami in Italia non è in realtà un waqf così com'è inteso nella sharia, ma è una semplice associazione? «Siamo in Italia – ribatte il legale del waqf – il nostro intento era ed è quello di fare un waqf che cosi com'è inteso in Italia non c'è, ma siamo pronti e sempre aperti all'evoluzione e dalla nostra parte c'è la volontà di avvicinarsi e studiare la formazione di un ente più possibilmente che si avvicini al waqf e sempre in concordanza con le autorità». Una fondazione per esempio? «E perché no?» accenna con disponibilità. «Il problema è che quando questi signori vengono ai centri islamici e alle associazioni – ribadisce Mohamed Asafa della casa della cultura islamica di Milano – si presentano come il Waqf, che colpisce e dà fiducia, poiché in realtà la sua esistenza è un bene ed è una garanzia per i fedeli musulmani, ma la realtà è ben diverse, perché il Waqf al islami in Italia è solo un nome di un'associazione, è come se io chiamo la mia associazione ministero dell'interno e poi pretendo di avere gli stessi poteri del ministero dell'interno e mi presento come tale ai cittadini. È qui che sta l'inganno». Insomma almeno possiamo chiarire finalmente che il nostro waqf all'italiana in realtà è un'associazione occulta: per chi non ha fatto in tempo a saperlo, non rimangono che le vie legali per poter riprendere gli immobili e gestire in modo indipendente ciò che per anni hanno ambito a fare.
"Anche noi pensavamo di esserci affidati a un waqf islamico e, invece, ci siamo trovati in mano ad un'associazione a delinquere, che sfrutta il nome dell'islam per altri fini". Non usa mezzi termini S.C., uno dei membri fondatori della moschea di Brescia che dopo l'articolo sul Sole 24 Ore di ieri sul caso di Milano, si fa avanti raccontando la sua esperienza nei minimi dettagli con il "Waqf al islami in Italia". Il waqf è un istituto molto diffuso nei paesi islamici che può essere paragonato a una fondazione: il suo scopo è la gestione dei beni legati a opere religiose. L'esperienza di S.C. ci apre uno scenario drammatico e non solo per la trasparenza e chiarezza dei fondi che i fedeli musulmani versano aspettandosi moschee degne per accoglierli. Ma va oltre. I soldi sono solo il primo mezzo. la vera e propria guerra interna in atto da alcuni anni è per il controllo delle moschee sul territorio italiano. Tra Ucoii (Unione comunità islamiche in Italia) per mezzo del Waqf al islami in Italia e associazioni o centri islamici che vogliono rimanere indipendenti. «C'è di mezzo a questa conflittualità – spiega Ali Schuelz, ex membro dell'Ucoii ma attualmente membro fondatore dell'associazione culturale Ibn Khaldun di Milano – una questione d'indipendenza delle moschee da una parte e la voglia di predominio dei fratelli musulmani attraverso l'Ucoii dall'altra. Che vogliono controllare il territorio attraverso le moschee per avere un peso politico maggiore di rappresentanza per un'eventuale trattazione di un'intesa con lo stato. In realtà noi vogliano indipendenza economica perché questo significa anche indipendenza politica e ideologica. Una cosa molto difficile, perché a tutt'oggi le interferenze arrivano da tutte le parti anche da paesi esteri, e questo sfavorisce molto, quello che poi dovrebbe essere l'islam italiano che deve essere indipendente culturalmente, politicamente e finanziariamente». «Abbiamo raccolto per anni i soldi dalla nostra comunità in prospettiva di acquistare un immobile da adibire a moschea – racconta S.C. – ma poi per varie cause un membro del nostro direttivo è venuto a contatto con il membro del "Waqf al islami in Italia", convincendoci che era il waqf islamico. A questo waqf sono stati intestati per intero tutti i soldi raccolti. Non meno di 700mila euro. Inoltre da questi 700mila euro sono usciti 200mila euro in nero, e noi non sappiamo come e perché. Noi pensavamo realmente di imbatterci in un waqf , e che questo fosse un modo per salvaguardare l'immobile, la moschea per i fedeli, e invece ora l'unica cosa che sappiamo è che i nostri soldi sono intestati ad una semplice associazione che fa riferimento ai fratelli musulmani siriani, che usa questo suo potere per controllare le nostre idee, le nostre posizioni. È un controllo vero e proprio: chi si ribella perde potere decisionale. Il vero potere delle moschee sotto il waqf è nelle mani di 4-5 persone che controllano il waqf, che possono gestire questi soldi come vogliono e a loro discrezione. Non c'è nessuna garanzia». Nel waqf ci puoi entrare ma dal waqf non puoi uscire. Una volta intestati i soldi non c'è modo per poterliavere indietro anche se adesso più di qualcuno si sta attrezzando, come lo stesso Mohamed Asafa, unico ad aver adito le vie legali contro il waqf. «Noi ci stiamo attrezzando per tutelarci da questa trappola – dice S.C. –: ormai la comunità si è svegliata».Cerca di abbassare i toni Maher Kabakebji, il legale del waqf al Islami in Italia. «Non voglio entrare nella polemica né aggiungere altro a quello già detto sul nostro waqf» dice Kabakebji. Possiamo dire finalmente che il waqf al islami in Italia non è in realtà un waqf così com'è inteso nella sharia, ma è una semplice associazione? «Siamo in Italia – ribatte il legale del waqf – il nostro intento era ed è quello di fare un waqf che cosi com'è inteso in Italia non c'è, ma siamo pronti e sempre aperti all'evoluzione e dalla nostra parte c'è la volontà di avvicinarsi e studiare la formazione di un ente più possibilmente che si avvicini al waqf e sempre in concordanza con le autorità». Una fondazione per esempio? «E perché no?» accenna con disponibilità. «Il problema è che quando questi signori vengono ai centri islamici e alle associazioni – ribadisce Mohamed Asafa della casa della cultura islamica di Milano – si presentano come il Waqf, che colpisce e dà fiducia, poiché in realtà la sua esistenza è un bene ed è una garanzia per i fedeli musulmani, ma la realtà è ben diverse, perché il Waqf al islami in Italia è solo un nome di un'associazione, è come se io chiamo la mia associazione ministero dell'interno e poi pretendo di avere gli stessi poteri del ministero dell'interno e mi presento come tale ai cittadini. È qui che sta l'inganno». Insomma almeno possiamo chiarire finalmente che il nostro waqf all'italiana in realtà è un'associazione occulta: per chi non ha fatto in tempo a saperlo, non rimangono che le vie legali per poter riprendere gli immobili e gestire in modo indipendente ciò che per anni hanno ambito a fare.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento