Il malcontento tedesco. La crisi del debito in Grecia ha spezzato in due l'Unione Europea di Paul Taylor
La crisi del debito greca cambierà il modo in cui funziona l’euro-zona, ma probabilmente non nella direzione che i “Padri fondatori” della valuta unitaria avevano sperato. Quando negoziarono il Trattato di Maastricht all'inizio degli anni Novanta, Helmut Kohl, François Mitterrand e Jacques Delors credettero che l'unione monetaria europea avrebbe condotto inevitabilmente verso un'unione politica più stretta, con un maggior controllo federale. Ma i difetti scoperti con i problemi fiscali della Grecia sembrano rafforzare un sistema a due velocità in cui “i grandi”, guidati dalla Germania, esercitano più controllo sui “piccoli” e capricciosi ribelli come la Grecia. È possibile, anche se meno probabile, che i fattori di politica interna impediscano a Berlino di contribuire al salvataggio di un membro della zona euro in difficoltà, lasciando alla Grecia la possibilità di rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale per il finanziamento delle emergenze. E' anche immaginabile che un paese incapace o poco disposto a fare i sacrifici stabiliti da Bruxelles, Berlino o Washington possa rivelarsi inadempiente o cercare di rimodulare i suoi debiti. Questo non dovrebbe condurre necessariamente gli stati inadempienti a lasciare la zona euro, nonché a un crollo immediato della singola valuta. Ma provocherebbe una reazione a catena legata ai problemi di solvibilità delle banche che richiedono soluzioni d’emergenza verso cui l'Unione Europea è mal preparata. A Bruxelles, prevedibilmente, si discute sulla esigenza di un controllo economico a breve termine, suoi nuovi poteri di sorveglianza per la Commissione Europea e il relativo ufficio di statistica e forse sulla creazione di un ente europeo che sia in grado di erogare prestiti come ultima risorsa. José Manuel Barroso, il presidente della commissione, la scorsa settimana ha proposto di dare all'esecutivo Ue nuovi poteri per suggerire programmi economici di revisione per i singoli Paesi, oltre che per nominare e indicare i ritardatari lanciando degli avvertimenti in caso di risposta inadeguata. Ma la Germania, la più grande economia europea, ha fatto capire con chiarezza che non vuole un esame accurato della UE sulle proprie politiche in materia di esportazioni, cioè a dire di quelle politiche che generano i grandi surplus di valuta corrente che secondo gli economisti sono parzialmente responsabili dell'allargamento degli squilibri nella zona euro. Il Primo Ministro belga Yves Leterme vorrebbe invece un'agenzia “del debito” europea in grado di emettere delle obbligazioni che permettano a tutti i paesi della zona euro di ottenere dei prestiti allo stesso costo. Questa soluzione appare come una falsa partenza agli occhi dei tedeschi e ugualmente inaccettabile per gli Olandesi e i Finlandesi. Grandi trasferimenti fiscali all'interno dell’Unione Europea o nel gruppo dei 16 dell'eurozona sembrano impossibili a causa delle restrizioni del dopo-crisi. Economisti come Daniel Gros del Center for European Policy Studies e Thomas Mayer di Deutsche Bank hanno proposto un fondo monetario europeo che designi e faccia funzionare, attraverso l'FMI, programmi di assistenza per i paesi dell'eurozona in difficoltà. Ma è duro immaginare come idee ambiziose come questa possano essere realizzate senza cambiamenti del trattato, approvato all'unanimità dai 27 stati Ue. Dopo anni di agonia sembra difficile immaginare l’ipotesi di ottenere la ratifica del Trattato di Lisbona, che ha emendato gli accordi originali dell'Ue. Una zona euro a due velocità è diventata realtà dal 2004, quando la disciplina Ue sul budget fu sospesa e riscritta per evitare sanzioni contro Francia e Germania, che avevano ripetutamente sforato il limite di deficit. La crisi greca ha rinforzato questa tendenza, indipendentemente dal fatto che Atene possa essere mollata dai suoi partners. La Grecia è stata messa sotto la tutela fiscale della Ue, ma nessun intrusione del genere è stata imposta alla Francia che, per esempio, ha un deficit doppio rispetto al limite fissato dalla Ue nel 3% del PIL. Ogni protezione finanziaria per la Grecia molto probabilmente sarebbe una disposizione ad-hoc, con la Germania a battere il colpo, mettendo de facto Berlino nella posizione di essere il creditore di ultima istanza dell'Europa. Questa eurozona a due velocità causerà risentimento e aggraverà la sfiducia fra i grandi e i piccoli stati, fra il nord e il sud del Vecchio Continente. E’ questo il modo in cui funziona il potere nel mondo reale, ma l'Unione è stata creata per lavorare diversamente. L'opposizione politica interna o la corte costituzionale tedesca possono ancora rendere impossibile a Berlino di partecipare al salvataggio. Un paese dell’eurozona incapace di trovare fondi a basso costo sui mercati dovrebbe a quel punto affrontare la scelta di rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale, dichiarandosi inadempiente, o cercando di rinegoziare il suo debito. I leader dell’eurozona hanno reso una sorta di tabù l’idea di introdurre dei garanti esterni che finirebbero per trasmettere il messaggio che la “famiglia” è incapace di fare fronte ai suoi problemi. Il default, anche quello di una piccola economia come la Grecia, potrebbe quindi causare una catena di insolvenze delle banche e colpire l'euro. Ecco perché le istituzioni politiche e finanziarie tedesche probabilmente tenderebbero ad appoggiare il “bailout”, malgrado la rabbia dell’opinione pubblica. Un evento del genere potrebbe scioccare l’Unione Europea nel suo processo verso una integrazione più ravvicinata. Ma più probabilmente spingerebbe i Paesi che tengono particolarmente a un regime di disciplina fiscale, come la Germania e l’Olanda, a ritirarsi ulteriormente in politiche destinate a favorire l’interesse nazionale. L'opzione più improbabile è che un Paese possa uscire dalla zona euro. Il prezzo sarebbe enorme e non c’è una seria discussione su questa soluzione in Grecia o in altri euro-stati sotto pressione – ma solo nei Paesi e tra le persone che si sono opposte da sempre all'unione monetaria o hanno previsto che potesse concludersi in lacrime.
Tratto da The New York Times - Traduzione di Danilo Montefiori e Bernardino Ferrero
mercoledì 10 marzo 2010
Unione europea
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