martedì 9 marzo 2010

Imparare da Geert Wilders

" La vittoria di Wilders può fermare l’invasione islamica" di Angelo Pezzana

Che in Europa, entro la metà del secolo, come dire fra quarant’anni, la popolazione musulmana possa alterare completamente il nostro modo di vivere, così come lo abbiamo conosciuto finora, è un argomento ignorato dai nostri mezzi di comunicazione di massa. Non fanno inchieste i giornali, per la televisione è un tabù politicamente scorretto da affrontare, le case editrici più importanti si guardano bene dal tradurre quei libri che potrebbero far diventare aperta discussione quel che invece si vuol mantenere nascosto. Non stupisce quindi più di tanto il trattamento riservato a Geert Wilders, il politico olandese che con coraggio ha iniziato a dire apertamente quello che i suoi concittadini si auguravano di sentire da un membro del parlamento. Perchè è in Olanda che l’Europa si è svegliata dal lungo sonno, anche se da qualche anno di segnali ce ne sono stati parecchi, ma invisibili per chi si rifiutava di vederli. Neppure il referendum svizzero, che ha impedito la costruzione di altri minareti, è servito da campanello di allarme. Geert Wilders ha dunque, improvvisamente, riassunto in sè, evidenziando con la sua azione politica, ciò che non si doveva dire. Gli olandesi si sono accorti che fra breve il loro paese, erede di una lunga tradizione di tolleranza, di rispetto verso tutte le minoranze, di accoglienza per chi fuggiva da paesi repressivi, si trova oggi di fronte ad una invasione islamica che usa gli strumenti della democrazia per impadronirsi dello stato che li ha accolti, per sostituire lo stato di diritto con la sharia, come peraltro il Corano prescrive come dovere di ogni buon musulmano. Geert Wilders, e il suo partito, hanno dato voce a questa consapevolezza, troppo per un’Europa che ha abdicato, cosciente o no, ai propri valori democratici, confondendoli con l’accettazione cieca di immigrati il cui obiettivo dichiarato è quello è quello di abbattere le nostre leggi per sostituirle con le loro. Ma ad ogni elezione i consensi per Geert Wilders sono aumentati, fino a diventare nelle ultime municipali il primo partito, ed il terzo a livello nazionale. Facile la previsione che alle prossime elezioni politiche di giugno nessun governo potrà essere formato senza tenere conto dei suoi voti. Ecco allora l’inizio delle demonizzazione, Geert Wilders diventa un razzista, l’aggettivo xenofobo compare sempre accanto al suo nome, qualcuno arriva addirittura a dargli dell’antisemita, mentre è vero il contario, è uno degli amici più sinceri di Israele, dove ha vissuto per un paio di anni in un kibbutz, i giornali scrivono che odia i musulmani, cosa non vera, ma conviene dirlo, e per nascondere il suo vero programma si dice che è lui a rappresentare l’estrema destra, mentre la sua posizione è quella autenticamente liberale, nel senso chi si propone da salvaguardare la società liberale olandese così come è stata costruita attraverso i secoli. Certo, non ha peli sulla lingua, d’altronde è lui l’erede di Pym Fortuyn, che per primo chiese lo stop all’immigrazione islamica quando si rese conto del pericolo che rappresentava per la democrazia olandese. Wilders non è stato ancora ucciso, come avvenne per Fortuyn: allora i partiti olandesi, nel tentativo di eliminarlo dalla scena politica, l’hanno messo sotto accusa per "incitamento all’odio sociale", l’esatto capovolgimento della realtà, come hanno dimostrato l’assassinio di Theo Van Gogh, i vari tentativi di eliminare Hirshi Ali, le aggressioni quotidiane a chiunque abbia uno stile di vita condannato dalla legge islamica. Accuse che sono rimbalzate in Italia, dove i media, tranne i soliti tre o quattro di centro destra, disinformano a reti unificate, nel tentativo, riuscito finora, dal Sole24Ore al Manifesto, di diffamarne l’immagine, seguiti a ruota dai Tg, tutti in coro a presentarlo come il demonio prossimo venturo. Fino a quando anche l’Italia aprirà gli occhi, in qualche modo si informerà , e capirà quale futuro ci aspetta. Le previsioni ci sono già tutte, cifre e date. Ma per ora occorre ancora andarsele a cercare. Quel che non è certo è se si farà in tempo a cambiare direzione.

"Ecco quel che la destra italiana può imparare dall’olandese Wilders"

Se la Padania rigetta la curva juventina e decide, sdoganando Balotelli, che esistono “negri italiani”, anche il giornalismo deve decidersi a considerare Geert Wilders qualcosa di più di un teppista dalla retorica infuocata, un byproduct del razzismo afrikaner, la cattiva coscienza dell’egoismo olandese, l’islamofobo a prescindere. Analizzando e sgrassando dello strutto xenofobo il messaggio complessivo di questo bravo retore ambizioso al pari del suo ciuffo, che punta a essere l’egemone di paure e speranze olandesi, ne vien fuori una difesa, molto patriottica e pure molto liberale e perché no libertaria, di un modello sociale, uno stile di vita, un’etica pubblica con le basi piantate solidamente sul più ampio ventaglio possibile dei diritti civili. Wilders, nella sua posa che pare iconoclasta e che invece è quanto di più conservatrice e libertaria si possa immaginare, ce l’ha con l’islamico non per questioni di fede, ma perché vuole velare di intolleranza i polder. E il bunker dove l’ultraminacciato Wilders vive, pare un burqa di cemento colato attorno al recinto stanco della sua libertà. Un militante dei diritti civili, buon erede dei Fortuyn e dei Van Gogh, che si ritrova a farsi idolo persino di qualche nazistello scemo che fa finta di non ascoltare chi, nei suoi comizi, fa professione ampia di fede nella storia libertaria dei diritti civili. Da difendere con le armi, certo, e perché no. Roba che dovrebbe mandare in solluchero i gay e gli ultralaici, accanto ai militanti più decisi del patriottismo occidentale, roba che vorremmo vedere, chessò, la Luxuria chiedere di arruolarsi nella scorta di Wilders, e il Grillini (ma perlomeno Priori di Gaylib) prender le sue difese nei processi britannici in cui è accusato di istigazione all’odio. Ma non succede, perché la nostra sinistra è affascinata dal mito infetto del multiculturalismo, che in Olanda celebra il funerale delle sue possibilità e la nemesi in multi comunitarismo, e la nostra destra troppo spesso fa confusione, quando si parla di islam e “invasione” degli immigrati. Ha ragione, certo, quando sfoggia il comprensibile orgoglio nella difesa del nostro modello sociale, occidentale perché no, in quanto garantisce più diritti e libertà che altrove, ma subito pasticcia perché vi vuole immischiare questioni legate alle radici religiose, alla forza pregnante del cattolicesimo nella storia europea, il che autorizza qualche islamista complessato a sentirsi espulso da ogni ipotesi di cittadinanza, a delirare di guerre sante, e, qualche volta, a volgere gli insulti in tritolo. Ma no, Wilders è l’ospite inatteso non di Galimberti ma della nostra coscienza civica rammollita, del nostro senso di patria appassito tra la retorica lepantina e la prassi di sbracamento multiculturalista. Non è necessario porsi la solita questione scema se ci serve un Wilders italiano. Non lo rappresenta però la Lega, ancorata a modelli comunitari ancestrali che un liberale normale aborrisce. Non lo rappresenta però il Pdl, la cui anima libertaria-patriottica, quella pronta a issare bandiera di pacifica e risorgimentale ostilità verso ogni rigurgito di sanfedismo di croce o mezzaluna, è compressa da un cristianesimo da take away: libertino a volte, libertario mai. Se serve un Wilders italiano non lo so, certo è che serve nello spazio politico il coraggio di buttare a terra, mattone per mattone, il costrutto multiculturalista, l’ipotesi malata per cui la buona integrazione si fa parlando con le comunità di immigrati – e quindi autorizzando a congelare il loro comunitarismo – e non con i singoli individui, o al più le singole famiglie, che intendono aprirsi davvero al percorso possibile della cittadinanza, come i Balotelli che gustano anche i padani. Se fa troppo Wilders non è dato saperlo, ma in quest’asfissia del nostro Risorgimento, nel suo accartocciamento populista, progressista o reazionario, quanto manca all’Italia un patriottismo libertario.

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