venerdì 5 marzo 2010

Milano

Via Padova, Milano

Qui in via Padova, a Milano, sembra tirare un’aria “normale”. In alcuni scorci ricorda molto la zona romana dell’Esquilino. Sì, forse è vero, di “italianità” non ce ne è molta ma, del resto, è anche questo il prezzo da pagare in nome dell’integrazione. «Stai attento perché non tutto si vede dall’esterno: e tu sei “uno di fuori”, non vivi tutti i giorni la realtà di questa zona». Un residente (extracomunitario, per di più clandestino) mi accompagna in una passeggiata per me surreale in quelle strade di Milano delle quali quotidianamente stiamo leggendo in questi giorni sulla carta stampata. Via Padova, via Clitumno (una traversa della prima) e dintorni costituiscono, di fatto, una di quelle zone del capoluogo meneghino dove incontrare un italiano diventa quasi impossibile. «Molti italiani hanno lasciato questa zona di Milano appena hanno visto qualche straniero, però noi non abbiamo assolutamente nulla per imporre quello che voi chiamate “il controllo della zona”». Alcuni milanesi, però, hanno anche afferrato l’affare affittando appartamenti o loculi impresentabili a prezzi esorbitanti proprio a cittadini stranieri. La realtà, veniamo a sapere, è che nella zona di via Padova in questo momento è in corso un vero e proprio scontro tra gang per il controllo della zona e non solo dal punto di vista dello spaccio di sostanze stupefacenti: in ballo ci sarebbero il controllo ed il racket verso gli esercizi commerciali, la gestione degli appartamenti (spesso fatiscenti) e dei posti letto, la gestione della prostituzione (percentualmente però non rilevante rispetto agli “affari” che si sviluppano nell’intera area del capoluogo lombardo). «Io se vedo la polizia scappo, cerco di nascondermi – precisa il mio interlocutore – ma solo perché non sono in regola, sono clandestino e lavoro a nero. Ma c’è anche chi scappa perché ha commesso reati veri; anzi qualche volta non scappa neppure: loro sono quasi più forti della polizia». E “loro” sono appunto i capibanda, i vertici delle bande organizzate che dettano legge (o tentano di farlo) e si scontrano per la predominanza nel controllo della zona. Due episodi eclatanti in meno di due settimane (con due morti, «ma qui succede di tutto, i coltelli e le risse ci sono sempre, ogni giorno» puntualizza il mio interlocutore) sono comunque troppi anche per una zona di Milano che, come hanno di recente sostenuto anche fonti di stampa ecclesiastiche milanesi, è «un lembo di città non governato», in cui i problemi vengono «sacrificati alla ricerca del consenso elettorale». Un lembo di città nel quale ci si sente subito osservati, quasi controllati, come il classico “straniero” in quanto sconosciuto agli astanti e quindi potenzialmente “pericoloso”: mi sento scrutato e lo confesso al mio accompagnatore. Sarà anche per questo che lui, salutandomi, si raccomanda di non citare mai il suo (impronunciabile) nome: «io qui devo continuare a viverci» precisa allontanandosi ed ammiccando un sorriso quasi controvoglia.

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