lunedì 29 marzo 2010

La mite tirannia obamiana

Più regole per tutti. Con la riforma di Obama l'America si avvia verso una "mite tirannia" di Michael A. Ledeen

Più di un anno fa, a meno di un mese dall’Investitura obamiana, scrissi del pericolo del sorgere, in America, della tirannia; citavo lo scenario da incubo tratteggiato da Tocqueville, in cui il popolo americano abbandonava spontaneamente la propria libertà sedotto da una dittatura morbida, in apparenza simile a una democrazia. Ero nel giusto in merito alle intenzioni di Obama, però sbagliavo quanto alla reazione del popolo americano, fattore fondamentale nella battaglia che ci ritroviamo a sostenere. Tocqueville presagiva una lenta morte della libertà. Ciò che paventava era una graduale espansione del potere del governo centrale, che si sarebbe immischiato in ogni settore della nostra vita, e aveva paura che avremmo accolto volentieri tutto questo, illudendoci che saremmo stati in grado di tenere la situazione sotto controllo. Ogni giorno saltano fuori regole restrittive in materie di secondaria importanza, e l’intera società ne risente. Non è abbastanza da portare la gente a ribellarsi, ma ogni volta si deve sopportare una nuova imposizione, e prima o poi arriverà il punto in cui si perderà la capacità di esercitare la propria libera volontà. In questo modo si spezza gradualmente lo spirito, si perde determinazione... La tirannia che Tocqueville previde per noi ha ben poco in comune con le feroci dittature dello scorso secolo, o con quelle contemporanee in Corea del nord, Iran o Arabia saudita. “La natura del dispotismo nell’era della democrazia non sarà né crudele né feroce, ma subdola e invadente”. La visione e persino il linguaggio anticipavano “1984” di Orwell, o “Il mondo nuovo” di Huxley. Tocqueville descriveva la nuova tirannia come “un immenso potere tutelare”, il cui compito era regolare ogni aspetto delle nostre vite. Copre la superficie della società con un’intricata rete di regole complicate, minuziose e uniformi, impenetrabili per le menti più originali e dinamiche, che non riescono ad emergere dalla massa. Tocqueville non credeva che saremmo stati sottomessi con la forza: saremmo stati sedotti. Previde il crollo della democrazia in America come il risultato finale di due evoluzioni parallele, che alla fine ci avrebbero reso docili servitori di un onnipresente potere burocratico: la corruzione del nostro carattere, e la necessità di un vasto “welfare state”. La sua visione da incubo è stata brillantemente e terribilmente esatta. Quel potere è assoluto, minuzioso, regolare, previdente e mite. Se il suo scopo fosse quello di preparare gli uomini all’età adulta, assomiglierebbe alla patria potestà; il problema è che il suo scopo è quello di mantenerci in un’infinita adolescenza: è ben contento che la gente gioisca, a patto che non pensi ad altro che gioire. E’ per quella felicità che il governo lavora con indiscutibile impegno; il fatto è che pretende di essere l’unico agente e l’unico arbitro di quella felicità. Si fa carico della sicurezza dei cittadini, prevede e soddisfa le loro esigenze, si preoccupa dei loro svaghi, governa le loro principali preoccupazioni, dirige le loro aziende, regola la discendenza della proprietà, suddivide le loro eredità: cosa rimane, oltre che risparmiar loro anche la fatica di pensare e il pericolo di vivere? Tocqueville aveva ragione, ed è esattamente quel che è accaduto nel suo vecchio continente. L’Europa è caduta sotto quella precisa sorta di tirannia, e i nostri aspiranti tiranni credono di poter fare lo stesso anche qui. Ma non ci sono riusciti, le cose non sono andate come si erano aspettati. Invece di abbracciare la tirannia, il popolo americano, imprevedibilmente, si è rivoltato. Per usare la metafora di Tocqueville, gli americani si sono comportati come un bambino capriccioso che si rifiuta di fare quel che gli dicono. A quel punto gli aspiranti tiranni hanno deciso di sculacciarci, per farci comportare come si conviene. Sono stati costretti a ricorrere a un colpo di stato, un vero e proprio abuso di potere. Di qui il Demon Pass (in realtà “deem and pass”, procedura parlamentare, contestata dai repubblicani, che la speaker della Camera Nancy Pelosi ha impiegato per approvare la riforma sanitaria – ndr). Di qui le memorabili battute di chi complottava: “Dobbiamo approvarla (la riforma sanitaria, ndt) per scoprire quel che contiene” (Pelosi), “Non ci sono regole. Questo è il Congresso degli Stati Uniti” (Hastings). Non era questo il modo in cui si pensava ciò sarebbe accaduto. Si credeva che ce ne restassimo tranquilli. Invece abbiamo reagito, e l’esito di questa grande battaglia – quella che presagii più di un anno fa – è in forse. Gli aspiranti tiranni potrebbero prevalere; dopo tutto, hanno dalla loro l’enorme potenza dello Stato. Ma noi abbiamo il numero, e una visione superiore. Gli americani possono essere assai duri in battaglie del genere. Chiedetelo a Re Giorgio.

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