mercoledì 24 marzo 2010

Le distanze inconciliabili

Pronto il nuovo testo della legge. "Sulla cittadinanza tra Fini e il Pdl ci sono distanze inconciliabili" Intervista a Isabella Bertolini di Lucia Bigozzi

Cittadinanza veloce anche per i bambini stranieri nati in Italia. Gianfranco Fini da giorni è tornato a battere il tasto su uno dei temi che considera prioritari nell’agenda politica della maggioranza. E sul quale, dopo il voto, è pronto ad aprire nel Pdl un capitolo di quel “chiarimento” che ormai tutti – aennini e forzisti - ritengono necessario. Da Milano il presidente della Camera dice che se non fosse per le coppie di immigrati, il tasso di natalità dell’Italia sarebbe “da allarme rosso”. Un percorso sulla cittadinanza è necessario, si può discutere sui sette, dieci o i dodici anni ma non lo si può fare per i bambini, è il ragionamento di Fini, per il quale non è possibile “negare ai dei ragazzi che si sentono orgogliosamente italiani di avere la cittadinanza” perché “il concetto di patria oggi va pensato in una logica multiculturale e multietnica”. “Distanze inconciliabili” con la maggioranza del Pdl risponde da Roma Isabella Bertolini che in commissione Affari Costituzionali da mesi lavora al tema cercando una mediazione (poi non riuscita) tra le quindici proposte di legge depositate (da maggioranza e opposizione) e che tra qualche settimana porterà in discussione un testo del quale è relatore che fissa un percorso molto netto per arrivare alla cittadinanza “che non è un bancomat, nè un escamotage per i ricongiungimenti familiari o per ottenere il permesso di soggiorno”. La questione dei minori, invece, resta ancora aperta.

Onorevole Bertolini perché parla di “posizioni inconciliabili” con Fini? Credo che quella di Fini sia una grande forzatura. La maggioranza del Pdl e la Lega hanno posizioni molti distanti dalla sua e da ciò che vorrebbe la sinistra. In realtà, questa idea di dare la cittadinanza a chi nasce qui e ai bambini che in Italia arrivano piccolissimi apre dei rischi.

In che senso? La nostra idea di legge si fonda sulla cittadinanza di qualità. La cittadinanza non è un fatto automatico, ma un atto di volontà e, soprattutto, arriva al termine di un percorso di integrazione che va verificato. Non può essere il punto di partenza come invece sostengono Fini e la sinistra. Per questo, abbiamo deciso di non ridurre il numero degli anni previsti dall’attuale legge per ottenere lo status, cioè dieci, ma di renderli certi. Se dovesse passare una legge che estende a una platea molto vasta l’accesso al riconoscimento, noi avremmo effetti considerevoli perfino sul nostro tessuto socio-economico.

Ad esempio? In base alla norma attuale, un minore che diventa cittadino italiano ha il diritto a ricongiungersi con la sua famiglia, cioè padre, madre, fratelli anche minorenni che possono raggiungerlo in Italia. Da una stima elaborata dal Viminale, si calcola che nel nostro paese potrebbero arrivare in un lasso di tempo abbastanza ristretto un milione e mezzo di persone in più. Credo che su questo si imponga una riflessione molto seria.

Eppure gli immigrati che vivono regolarmente in Italia contribuiscono anche a colmare il deficit di natalità che l’Italia sconta da anni. E Fini su questo aspetto ha lanciato l’allarme. Penso sia importante anzitutto attuare politiche di sostegno per le famglie italiane in modo da invertire questa tendenza demografica e lo si deve fare, ad esempio, con il quoziente familiare e altre misure ad hoc sulle quali il governo sta lavorando. La Francia lo ha già fatto e ha ottenuto risultati importanti.

Secondo lei in che modo si fa una buona integrazione? Avviene attraverso altri percorsi: la convivenza civile, il dimostrare di amare l’Italia, imparare la nostra lingua, inserirsi nel tessuto sociale, rispettare regole e leggi. Peraltro, è dimostrato che il 69 per cento degli stranieri che sono in Italia non sono interessati a restare e a chiedere la cittadinanza. Oggi, esiste un’immigrazione a rotazione per la quale gli stranieri dopo un periodo di tempo decidono di trasferirsi in un altro paese occidentale oppure di tornare nel loro paese. Di fronte a questo, trovo paradossale introdurre un meccanismo pressoché automatico di concessione della cittadinanza per il solo fatto di essere nato in Italia, quando magari i genitori di quello stesso minore non sono interessati ad ottenere il riconoscimento. Ma c'è un altro aspetto che vorrei sottolineare...

Cioè? Se la cittadinanza è un atto di volontà, cioè la scelta di appartenenza a una nuova nazione e se la cittadinanza deve essere di qualità, come possiamo imporla a un minore? Trovo inaccettabile l’idea della sinistra ma anche dei finiani che dicono che il minore che ottiene lo status se poi al compimento del diciottesimo anno non lo vuole, può rinunciarvi. Ma che ragionamento è? La cittadinanza non è un bancomat che si dà e poi si restituisce. Noi, invece, intendiamo il percorso esattamente nella direzione opposta.

Lo spieghi. Un minore nasce in Italia, cresce, studia, si integra e al diciottesimo anno sceglie o meno di chiedere la cittadinanza.

Sì, ma come intendete affrontare questa parte della norma? Il problema delle seconde o terze generazioni esiste anche in Italia. Siamo contrari allo ius soli che i finiani vorrebbero introdurre. Dopo la discussione in Aula abbiamo deciso di rinviare il testo in Commissione per una serie di approfondimenti compresa la questione dei minori e delle seconde o terze generazioni. Credo sia importante attivare una serie di audizioni per comprendere anche le posizioni delle associazioni che operano in questo campo. Al momento, esiste una proposta alla quale ho lavorato e su cui si è iniziato a ragionare.

Quale? L’obbligatorietà del percorso di studi che deve essere certificato qualitativamente anche attraverso il profitto. Al termine di questo iter e al compimento del sedicesimo anno di età, si potrebbe pensare alla possibilità per i giovani che lo decideranno e che avranno le carte in regola, di presentare la domanda di cittadinanza e solo al compimento del diciottesimo anno e con le verifiche del caso, potranno ottenerla. Non capisco Fini quando dice che se il bambino nato in Italia che va all’asilo e parla italiano non ha la cittadinanza, potrebbe sentirsi discriminato. Qui stiamo parlando di un percorso culturale di integrazione; non è dando la cittadinanza a un bambino nato qui che lo si rende automaticamente italiano. Ricordo le esperienze di paesi come l’Inghilterra, la Germania, la Spagna e la Francia che hanno già sperimentato percorsi analoghi dai quali però sono tornati indietro rendendo le loro leggi più severe.

E la Lega su questo come la pensa? Sul tema della cittadinanza ci siamo sempre trovati in sintonia e abbiamo lavorato con grande serenità in commissione, al punto che la Lega ha trovato una convergenza sostanziale sul nostro testo. Anche su questo aspetto specifico penso che i parlamentari leghisti siano disposti a discutere.

C’è poi il capitolo del voto agli immigrati che il presidente Fini proprio in questi giorni ha rilanciato come uno dei passaggi-chiave rispetto alle sfide future da affrontare. Cosa risponde? Sono stata relatore della legge sul voto agli immigrati e sono nettamente contraria. La maggiorparte dei costituzionalisti che in questi anni sono stati sentiti in commissione dicono che il tema è strettamente correlato a quello della cittadinanza anche se chi lo propone dice di no. Eppoi, che senso ha votare per il sindaco della mia città e non poterlo fare per il parlamentare della circoscrizione dove vivo? Anche qui mi pare che Fini stia facendo una grande forzatura, oltretutto creando una sorta di discriminazione verso l’immigrato che può partecipare a un tipo di elezione ma non ad un’altra. E ancora: le regionali sono elezioni politiche o amministrative? E chi lo stabilisce? Mi sembra che tutte queste idee si prestino a strumentalizzazioni e a forme di demagogia che non corrispondono alla realtà delle cose.

Per Fini il concetto di patria "oggi va pensato in una logica multiculturale e multietnica". Distanze inconciliabili anche su questo? Non sono favorevole a una società dove ogni cultura ed etnia pari sono. Dobbiamo imparare a convivere e favorire una corretta integrazione rispetto a chi vuole veramente integrarsi, ma dobbiamo anche rafforzare la nostra identità culturale, le nostre tradizioni, la nostra storia. Francamente, il meticciato culturale non mi piace.

Cosa accadrà quando il testo arriverà in Aula? Mi auguro che gli approfondimenti che faremo in commissione servano a dissipare le divergenze e a far emergere i rischi che occorre evitare. Poi, come sempre avviene in democrazia, a prevalere sarà la linea della maggioranza.

2 commenti:

Massimo ha detto...

Fini finge di dimenticare che i delinquenti che hanno dato fuoco alle banlieu francesi e i terroristi del 7 luglio 2005 a Londra furono proprio immigrati con cittadinanza di seconda e terza generazione. L'unico modo di evitare per finire come la Francia e l'Inghilterra e tagliare alla radice il problema e non farsi incantare dalla propaganda della società multiculturale. Se riforma si dovrà fare sui termini per l'acquisizione della cittadinanza dovrà essere per allungarli, non accorciarli e magari per tenere distinta la cittadinanza (con alcuni diritti, ma non tutti) dalla nazionalità che appartiene al popolo che qui ha la sua terra e le sue radici.

Eleonora ha detto...

Concordo con te. La cittadinanza non si regala a nessuno. Ma questo da me lo sapevi già. Fini è un cretino ed è duro di comprendonio.