sabato 20 marzo 2010

Lo stato di eccezione

L'intervista - «Ci si polarizza senza discutere di idee». «In Italia nessuno rispetta più le regole Anche dai magistrati scelte allarmanti». Guido Rossi: ogni istituzione recuperi la consapevolezza del proprio ruolo

«Viviamo in uno stato di allarme continuo. I fatti, o meglio le notizie che continuamente riceviamo, non fanno altro che evidenziare un conflitto permanente tra istituzioni dello Stato. Esecutivo, Parlamento e la stessa magistratura, paiono essere in una competizione senza fine. Nessuno si sente responsabile delle proprie parole e dei propri atti, ripeto, magistratura compresa. E quel che è peggio prevale una filosofia del piagnisteo, figliastra povera di quell’allarme che ci rende incapaci di uscire da una situazione che a essere gentili è di evidente stallo».

Guido Rossi non nasconde il fastidio e la preoccupazione con la quale assiste al dipanarsi di scandali che uno dietro l’altro si rincorrono. «Viviamo in uno stato di eccezione che giustifica l’assenza totale del rispetto delle regole. Situazione pericolosa che già delineò Carl Schmidt».

C’è solo da sperare che il paragone non sia con gli anni Trenta del secolo scorso... In quegli anni si misero i germi di una guerra mondiale, dell’Olocausto. Non è un’esagerazione? «Ovviamente non mi riferivo ai fatti ma a quello che diceva Schmidt. Vale a dire che uno stato di eccezione fa sì che le regole possano non essere rispettate. E questo vale per Guantanamo come per la Protezione civile italiana».

Paragone azzardato... «È chiaro che si tratta di situazioni opposte e di non identica gravità ma in entrambe si viene meno ai percorsi codificati dalle regole per rispondere all’eccezionalità degli eventi».

Ma c’è o no un’anomalia italiana? «Non c’è un’anomalia italiana. Le reazioni nel nostro Paese sono di intensità maggiore. Prenda ad esempio Obama. Ha perso il seggio che gli permetteva di arrivare a 60 voti e per far passare la sua riforma sanitaria del Senato che cosa fa? Non va certo al Congresso tentando di convincere i senatori. No, va in televisione. In questo senso la situazione è simile».

Perché simile? «Perché quello che vuol far contare Obama come in Italia è la persona, la comunicazione, più che le idee. In Italia è lo stesso. Non si discute delle idee o di programmi, ci si polarizza. Internet poi sta contribuendo a dividere i Paesi in tribù poco interessate a scambiarsi e a formarsi un’opinione quanto ad affermare la propria. Persino Facebook sorpassa Google: si cercano sempre più persone non profondità di ragionamento. Temendo l’astinenza ci si espone a un continuo flusso di informazioni non organizzate e prive di contesto che determinano un’amnesia sociale rispetto agli eventi dei quali si sta discutendo».

E arriviamo alla colpa dei giornali e dei giornalisti. Un alibi sempre funzionante se permette. «La colpa non è certo dei giornali o dei giornalisti. Ma è innegabile che ci sia una produzione di informazioni quantitativamente sbalorditiva ma qualitativamente assolutamente imprecisa. Ammetterà inoltre che alcune conversazioni che vengono pubblicate sono del tutto inconsistenti».

Allora ha ragione Berlusconi a prendersela con la magistratura? «No, non ha ragione perché anche lui telefonando alle autorità, al comandante dei carabinieri si autodelegittima. Le sue telefonate non ottengono nulla perché facendo saltare le regole è come se negasse anche per sé il proprio ruolo istituzionale. E questo rischio lo stiamo facendo correre anche a Napolitano».

Anche Napolitano adesso parla troppo? «No, cosa ha capito. Il contrario: le sue parole vengono continuamente interpretate. Ma si può? Il presidente della Repubblica non è una figura che possa essere messa al servizio di questa o quella opinione. È l’arbitro. E invece le sue parole vengono usate da una parte e dall’altra per attaccare altre istituzioni o peggio parti politiche».

Ma la magistratura ci sta mettendo del suo. «Lo sa che per me è un’istituzione che va sempre rispettata. Ma devo dire che alcuni magistrati ce la stanno mettendo tutta per partecipare a questa corsa nel gonfiare l’allarme continuo. Anche questa storia del commissariamento di società come Sparkle e Fastweb».

Be’ lì i reati ci sono: riciclaggio, perlomeno elusione fiscale... «Al di là di quello che dovrà essere accertato. Se i fatti criminali sono ancora in essere allora si dovrebbero arrestare tutti i vertici attuali. Ma se non si verificano più perché punire la società con una pre-sanzione come il commissariamento invece di punire le persone che hanno violato la legge? Senza tenere conto poi dei tempi».

L’ha detto lei, anche la magistratura ci sta mettendo del suo nel contribuire all’allarme. «Certo. Non si ha consapevolezza delle conseguenze delle proprie parole e dei propri gesti. Ma perché un giudice deve andare alla radio o in tv, a spiegare cosa? Perché deve avvenire tutto in diretta?».

Perché così almeno è tutto più trasparente. «No, assolutamente è il contrario della trasparenza. È solo rumore di fondo. È come se ci fossero in azione continua piromani e incendiari ma non si sentono suonare campane e i pompieri non arrivano».

E chi dovrebbe suonare le campane, fare il pompiere? «La politica sicuramente. La democrazia screma, sa quali sono i temi prioritari da porre al centro dell’attenzione. Quello che accade oggi è comunicazione, non trasparenza, è marketing, vendita del prodotto, non democrazia. La vitalità della democrazia si verificò persino ai tempi di Mani pulite».

Veramente anche Mani pulite è un altro mito che cade. «E si sbaglia. Certo a quei tempi abbiamo avuto un aiuto dall’Europa che andava formandosi e chiedeva scelte forti: ci ha donato un rigore di bilancio che ci ha messo al riparo anche durante questa ultima crisi».

Ma se persino le privatizzazioni sono state messe in discussione. «Ma certo, la superficialità impera. Per una Telecom andata non bene si dimentica la strada fatta dall’Enel, dall’Eni, da Unicredit, Intesa. Certo oggi l’Europa è quella che non si accorge della Grecia, dopo che passa il tempo a dare un mese sì e un mese no i voti. È quella di un Eurostat che non verifica i conti».

Così siamo molto vicini alla filosofia del piagnisteo. «Tutt’altro. Ci sono cose possibili da fare. Così come nel ’92 ogni istituzione deve riprendere consapevolezza del proprio ruolo. Capire che parole e atti hanno conseguenze e che buttare all’aria tutte le regole in assenza di nuove è solo un appiccare ulteriori roghi. Dobbiamo capire in questa situazione di crisi dove sono i germogli nascosti di una possibile rinascita. Si ricominci a parlare delle idee e meno delle persone. Si eviti come potrebbe accadere a queste elezioni di spingere le persone a non votare».

Anche il non voto è una scelta democratica. «No, in questo caso le persone stanno scegliendo di non consumare. Hanno capito che questa non è una campagna elettorale ma pubblicitaria e di marketing. Si vota per delle idee, lei le ha viste?».

Daniele Manca

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