La libertà d’opinione in Italia sta prendendo una brutta piega. Nell’arco di pochi giorni sono avvenuti quattro episodi malandrini che hanno investito gli organi della magistratura e dell’informazione. Primo episodio. La Cassazione condanna un sindacalista della Cisl per aver detto in un’intervista questo non è un lavoro per donne. Opinione deprecabile, e a mio parere anche stupida, ma pur sempre un’opinione. Secondo episodio: un’altra condanna giunge dalla magistratura ad un tale che ha apostrofato come gay un omosessuale, però il tono con cui lo ha detto sarebbe configurabile non come una battuta infelice ma come un reato. E qui vengo ai due episodi che riguardano invece l’ordine dei giornalisti e che toccano proprio Il Giornale. Vittorio Feltri condannato a sei mesi di sospensione per il caso Boffo, di cui si possono criticare tutte le opinioni espresse dal Giornale e dal suo direttore, ma di cui non si può negare il fatto, la notizia, ovvero che Dino Boffo fu effettivamente condannato per molestie. E condanna, mi pare, si annuncia sul Giornale per aver titolato in prima pagina che «I negri hanno ragione» riferito agli scontri di Rosarno. E dire che per secoli, fino a pochi anni fa, tutti li chiamavano così; negri non è un’offesa, mentre mi sembra ipocrita e sottilmente offensivo chiamarli «di colore»; molti di loro rivendicano con orgoglio la negritudine, che è pure un dignitoso filone letterario; e dar ragione ai negri non comporta affatto denigrarli. E invece... Mi preoccupa questa situazione, che poi fa il paio con i reati d’opinione sul piano della ricerca storica, con le diverse valutazioni riguardanti il Novecento, l’entità delle vittime e le responsabilità storiche dei massacri che diventano reati. Solo di alcuni, beninteso, mica dei gulag o di altri stermini, di altri regimi totalitari o di altre dittature. Mi preoccupa che si allarghi il reato di opinione e ciò avviene non per responsabilità del governo, ma di chi dovrebbe al contrario opporre argini al potere e garantire i diritti, a cominciare appunto dal diritto d’opinione: vale a dire magistrati e giornalisti, nei loro più autorevoli organismi. Posso assicurarvi che non condivido affatto l’opinione maschilista del sindacalista della Cisl, o quella omofoba sui gay; stimo professionalmente Boffo e lo scrissi anche in quei giorni di bufera e non ho neanche un minimo conato di razzismo; anzi, mi sono sempre considerato, per ragioni di carnagione, un negro adottivo, seppure in versione sbiadita. Dunque, non abbraccio quelle opinioni e condivido chi le confuta e vi polemizza anche in modo vivace. Ma non posso accettare che vengano perseguiti in un Paese libero, civile e democratico i reati d’opinione, che venga interdetto uno dei giornalisti più seguiti del nostro Paese o che venga sanzionato uno dei giornali più importanti del medesimo. E mi impressiona vedere che tutto questo avviene mentre tra gli stessi, magistrati e giornalisti, ordini professionali e organismi giudiziari, si denuncia una presunta minaccia alla libertà da parte del Parlamento e del governo. Trovo grottesco che nella santorata dei giorni scorsi, ovvero nella processione in devozione di Sant’Oro, si sia parlato dell’avvento della dittatura in Italia per un’infelice sospensione dei programmi di informazione politica, e si trascuri il fatto assai più preoccupante che si sta allargando nel nostro Paese la sfera dei reati d’opinione. Il politically correct è già una brutta impostura sul piano delle ideologie, dei linguaggi e delle opinioni, perché emargina e mortifica chi non la pensa come il Potere Ideologico Dominante. Ma ora che il politically correct viene imposto a norma di legge e nel nome del politically correct si arriva perfino a punire chi non vi si riconosce nel suo dominio, comincio davvero a preoccuparmi. Che cosa accadrebbe se la filiera si completasse, ovvero se, oltre agli organi della magistratura e della stampa, anche il governo e il Parlamento fossero nelle mani della stessa vulgata? Non sono di quelli che gridano alla dittatura alle porte, anche perché il Paese la respingerebbe come un corpo ostile ed estraneo. Però lasciatemi dire che questa brutta piega preoccupa non poco. Lo dico da cittadino, da giornalista e da persona insofferente verso i codici ideologici del politically correct e la loro osservanza pecorina. Era già odiosa e soffocante quella cappa di conformismo che avvolge la cultura e la società; ma sono guai se ora quella cappa bisogna pure indossarla o respirarla a norma di legge, sennò ti tolgono la libertà. Su, colleghi e concittadini, non lasciate correre, svegliatevi e reagite.
lunedì 29 marzo 2010
Reato d'opinione
Reati d’opinione: il pericolo che corre l’Italia di Marcello Veneziani
La libertà d’opinione in Italia sta prendendo una brutta piega. Nell’arco di pochi giorni sono avvenuti quattro episodi malandrini che hanno investito gli organi della magistratura e dell’informazione. Primo episodio. La Cassazione condanna un sindacalista della Cisl per aver detto in un’intervista questo non è un lavoro per donne. Opinione deprecabile, e a mio parere anche stupida, ma pur sempre un’opinione. Secondo episodio: un’altra condanna giunge dalla magistratura ad un tale che ha apostrofato come gay un omosessuale, però il tono con cui lo ha detto sarebbe configurabile non come una battuta infelice ma come un reato. E qui vengo ai due episodi che riguardano invece l’ordine dei giornalisti e che toccano proprio Il Giornale. Vittorio Feltri condannato a sei mesi di sospensione per il caso Boffo, di cui si possono criticare tutte le opinioni espresse dal Giornale e dal suo direttore, ma di cui non si può negare il fatto, la notizia, ovvero che Dino Boffo fu effettivamente condannato per molestie. E condanna, mi pare, si annuncia sul Giornale per aver titolato in prima pagina che «I negri hanno ragione» riferito agli scontri di Rosarno. E dire che per secoli, fino a pochi anni fa, tutti li chiamavano così; negri non è un’offesa, mentre mi sembra ipocrita e sottilmente offensivo chiamarli «di colore»; molti di loro rivendicano con orgoglio la negritudine, che è pure un dignitoso filone letterario; e dar ragione ai negri non comporta affatto denigrarli. E invece... Mi preoccupa questa situazione, che poi fa il paio con i reati d’opinione sul piano della ricerca storica, con le diverse valutazioni riguardanti il Novecento, l’entità delle vittime e le responsabilità storiche dei massacri che diventano reati. Solo di alcuni, beninteso, mica dei gulag o di altri stermini, di altri regimi totalitari o di altre dittature. Mi preoccupa che si allarghi il reato di opinione e ciò avviene non per responsabilità del governo, ma di chi dovrebbe al contrario opporre argini al potere e garantire i diritti, a cominciare appunto dal diritto d’opinione: vale a dire magistrati e giornalisti, nei loro più autorevoli organismi. Posso assicurarvi che non condivido affatto l’opinione maschilista del sindacalista della Cisl, o quella omofoba sui gay; stimo professionalmente Boffo e lo scrissi anche in quei giorni di bufera e non ho neanche un minimo conato di razzismo; anzi, mi sono sempre considerato, per ragioni di carnagione, un negro adottivo, seppure in versione sbiadita. Dunque, non abbraccio quelle opinioni e condivido chi le confuta e vi polemizza anche in modo vivace. Ma non posso accettare che vengano perseguiti in un Paese libero, civile e democratico i reati d’opinione, che venga interdetto uno dei giornalisti più seguiti del nostro Paese o che venga sanzionato uno dei giornali più importanti del medesimo. E mi impressiona vedere che tutto questo avviene mentre tra gli stessi, magistrati e giornalisti, ordini professionali e organismi giudiziari, si denuncia una presunta minaccia alla libertà da parte del Parlamento e del governo. Trovo grottesco che nella santorata dei giorni scorsi, ovvero nella processione in devozione di Sant’Oro, si sia parlato dell’avvento della dittatura in Italia per un’infelice sospensione dei programmi di informazione politica, e si trascuri il fatto assai più preoccupante che si sta allargando nel nostro Paese la sfera dei reati d’opinione. Il politically correct è già una brutta impostura sul piano delle ideologie, dei linguaggi e delle opinioni, perché emargina e mortifica chi non la pensa come il Potere Ideologico Dominante. Ma ora che il politically correct viene imposto a norma di legge e nel nome del politically correct si arriva perfino a punire chi non vi si riconosce nel suo dominio, comincio davvero a preoccuparmi. Che cosa accadrebbe se la filiera si completasse, ovvero se, oltre agli organi della magistratura e della stampa, anche il governo e il Parlamento fossero nelle mani della stessa vulgata? Non sono di quelli che gridano alla dittatura alle porte, anche perché il Paese la respingerebbe come un corpo ostile ed estraneo. Però lasciatemi dire che questa brutta piega preoccupa non poco. Lo dico da cittadino, da giornalista e da persona insofferente verso i codici ideologici del politically correct e la loro osservanza pecorina. Era già odiosa e soffocante quella cappa di conformismo che avvolge la cultura e la società; ma sono guai se ora quella cappa bisogna pure indossarla o respirarla a norma di legge, sennò ti tolgono la libertà. Su, colleghi e concittadini, non lasciate correre, svegliatevi e reagite.
La libertà d’opinione in Italia sta prendendo una brutta piega. Nell’arco di pochi giorni sono avvenuti quattro episodi malandrini che hanno investito gli organi della magistratura e dell’informazione. Primo episodio. La Cassazione condanna un sindacalista della Cisl per aver detto in un’intervista questo non è un lavoro per donne. Opinione deprecabile, e a mio parere anche stupida, ma pur sempre un’opinione. Secondo episodio: un’altra condanna giunge dalla magistratura ad un tale che ha apostrofato come gay un omosessuale, però il tono con cui lo ha detto sarebbe configurabile non come una battuta infelice ma come un reato. E qui vengo ai due episodi che riguardano invece l’ordine dei giornalisti e che toccano proprio Il Giornale. Vittorio Feltri condannato a sei mesi di sospensione per il caso Boffo, di cui si possono criticare tutte le opinioni espresse dal Giornale e dal suo direttore, ma di cui non si può negare il fatto, la notizia, ovvero che Dino Boffo fu effettivamente condannato per molestie. E condanna, mi pare, si annuncia sul Giornale per aver titolato in prima pagina che «I negri hanno ragione» riferito agli scontri di Rosarno. E dire che per secoli, fino a pochi anni fa, tutti li chiamavano così; negri non è un’offesa, mentre mi sembra ipocrita e sottilmente offensivo chiamarli «di colore»; molti di loro rivendicano con orgoglio la negritudine, che è pure un dignitoso filone letterario; e dar ragione ai negri non comporta affatto denigrarli. E invece... Mi preoccupa questa situazione, che poi fa il paio con i reati d’opinione sul piano della ricerca storica, con le diverse valutazioni riguardanti il Novecento, l’entità delle vittime e le responsabilità storiche dei massacri che diventano reati. Solo di alcuni, beninteso, mica dei gulag o di altri stermini, di altri regimi totalitari o di altre dittature. Mi preoccupa che si allarghi il reato di opinione e ciò avviene non per responsabilità del governo, ma di chi dovrebbe al contrario opporre argini al potere e garantire i diritti, a cominciare appunto dal diritto d’opinione: vale a dire magistrati e giornalisti, nei loro più autorevoli organismi. Posso assicurarvi che non condivido affatto l’opinione maschilista del sindacalista della Cisl, o quella omofoba sui gay; stimo professionalmente Boffo e lo scrissi anche in quei giorni di bufera e non ho neanche un minimo conato di razzismo; anzi, mi sono sempre considerato, per ragioni di carnagione, un negro adottivo, seppure in versione sbiadita. Dunque, non abbraccio quelle opinioni e condivido chi le confuta e vi polemizza anche in modo vivace. Ma non posso accettare che vengano perseguiti in un Paese libero, civile e democratico i reati d’opinione, che venga interdetto uno dei giornalisti più seguiti del nostro Paese o che venga sanzionato uno dei giornali più importanti del medesimo. E mi impressiona vedere che tutto questo avviene mentre tra gli stessi, magistrati e giornalisti, ordini professionali e organismi giudiziari, si denuncia una presunta minaccia alla libertà da parte del Parlamento e del governo. Trovo grottesco che nella santorata dei giorni scorsi, ovvero nella processione in devozione di Sant’Oro, si sia parlato dell’avvento della dittatura in Italia per un’infelice sospensione dei programmi di informazione politica, e si trascuri il fatto assai più preoccupante che si sta allargando nel nostro Paese la sfera dei reati d’opinione. Il politically correct è già una brutta impostura sul piano delle ideologie, dei linguaggi e delle opinioni, perché emargina e mortifica chi non la pensa come il Potere Ideologico Dominante. Ma ora che il politically correct viene imposto a norma di legge e nel nome del politically correct si arriva perfino a punire chi non vi si riconosce nel suo dominio, comincio davvero a preoccuparmi. Che cosa accadrebbe se la filiera si completasse, ovvero se, oltre agli organi della magistratura e della stampa, anche il governo e il Parlamento fossero nelle mani della stessa vulgata? Non sono di quelli che gridano alla dittatura alle porte, anche perché il Paese la respingerebbe come un corpo ostile ed estraneo. Però lasciatemi dire che questa brutta piega preoccupa non poco. Lo dico da cittadino, da giornalista e da persona insofferente verso i codici ideologici del politically correct e la loro osservanza pecorina. Era già odiosa e soffocante quella cappa di conformismo che avvolge la cultura e la società; ma sono guai se ora quella cappa bisogna pure indossarla o respirarla a norma di legge, sennò ti tolgono la libertà. Su, colleghi e concittadini, non lasciate correre, svegliatevi e reagite.
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