venerdì 5 marzo 2010

Perle di farefuturo

Dall'Olanda arriva un segnale che è anche una lezione contro tutte le utopie. In Europa ci sono due destre. E bisogna saper scegliere di Antonio Rapisarda

Nessun programma specifico. Per lo più slogan e promesse. Ma soprattutto un nemico su cui scaricare paure e frustrazioni: questa è la destra improbabile di Geert Wilders che ha ottenuto successo di un certo rilievo nelle elezioni amministrative in Olanda cavalcando il sentimento anti-immigrati che è sempre più presente tra la popolazione autoctona. Per comprendere questo fenomeno – che si traduce in tanti consensi nella città-dormitorio di Almare ma anche ad Amsterdam - occorre ripercorrere le tappe e il tipo di società che si è sviluppata in Olanda. Libertaria e aperta sì, ma allo stesso tempo proprio per questo esposta anche ai rischi di una gestione incontrollata dei fenomeni sociali e culturale che l'hanno interessata negli ultimi anni. La reazione? È quella a cui si sta assistendo: ossia l'exploit silenzioso del Pvv (il Partito della libertà), di una formazione cioè che, da programma, cavalca prima di tutto le paure di una società che si sente accerchiata. E non solo si ribella contro gli immigrati e gli islamici. Ma manifesta questa volontà di restrizione anche contro gli abitanti stessi del proprio paese: se è vero che una stretta è in atto (ma qui non c'entra il biondo leader populista) sui coffee shop (i locali dove si può consumare liberamente marjiuana), sulle botteghe del sesso e in generale su molte libertà che hanno fatto dell'Olanda una sorta di Eldorado. Poi, dopo il brutale omicidio per mano di un fanatico marocchino del regista Theo Van Gogh nel 2002 (che aveva girato un film-denuncia sull'islam), anche nella società olandese si è aperta una frattura: è emerso il timore per un fenomeno che si è scoperto in alcune sue frange non proprio aderente al proprio modello e ciò ha determinato la messa in discussione di alcune libertà. Ed è proprio in questo contesto che proliferano i soggetti xenofobi come quello di Wilders ora e quello di Pim Fortuyn prima: nella parziale sconfessione di se stessi, della propria specificità culturale in nome della paura. In Olanda, e più in generale ovunque in Europa avanzino movimenti populisti del genere, il quadro infatti non si discosta più di tanto: alla base vi sono spesso politiche “utopistiche” di accoglienza (non confortate poi da strategie di integrazione adeguate), una fiducia senza considerazione sulla capacità della società di armonizzarsi e un progressivo abbandono dei ceti più deboli per via di un mercato del lavoro sempre più precario. La reazione è altrettanto utopistica e inversamente proporzionale al proprio modello: la chiusura “totale” verso l'altro, il più delle volte in un contesto socioeconomico iper-globalizzato. Di fatto, dunque, ci si ritrova dinanzi a una destra che abbaia alla luna. Da questo anche in Italia si può trarre insegnamento. Dato che il paese è interessato adesso da un fenomeno migratorio di proporzioni importanti cui necessitano interventi che non siano volti esclusivamente alla gestione dei flussi. Se non si fa questo i rischi per una destra di governo (perché adesso è al governo) sono questi: l'emersione anche qui di movimenti populisti, politicamente sgrammaticati ma con la forza “suggestiva” della difesa del proprio orticello contro l'invasione degli stranieri. La lezione olandese dice questo. Che sono possibili due destre: una possiede prospettive, perché culturalmente problematica e inclusiva, un'altra è destinata a raccogliere solo rancori che difficilmente si tradurranno in prospettive politiche. Una ci piace, l'altra no.

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