Il risultato straordinario di Geert Wilders in Olanda, anticipato con grande disdoro dei vertici europei, convinti chissà perché che quel che si vota in un Paese dell’Unione sia meccanicamente riproducibile in un altro, o meglio cresciuti all’arte dell’erudizione del popolo pupo, non stupisce e non spaventa, nella sua prevedibilità casomai induce a riflettere. Gli olandesi non ne potevano più, e a un lungo periodo di acquiescenza alla penetrazione e all’invasione, proprio da Rotterdam, trasformata in un souk di donne velate e sindaco marocchino, è partita la protesta. Ci sono partiti che fioriscono per colpa dell’ignavia degli altri, dei partiti storici e solidi. Wilders è assurto diavolo del razzismo e della xenofobia, ma stavolta non è andata come andò per il povero Theo van Gogh, reo di aver raccontato la segregazione delle donne con la benedizione del Corano, sbudellato da un estremista musulmano nell’indifferenza nazionale, o come è andata all’ispiratrice del film di van Gogh, Arsi Alii, deputata nazionale costretta all’esilio negli Usa. Stavolta il mostro ha preso i voti, e le prefiche sono già scatenate nell’evocare tragedie sull’Europa che verrà da domani a urne aperte e schede contate. Hanno qualche motivo di temere, perché non di sola Olanda si tratta, e le ragioni della repentina affermazione dei partiti che si richiamano alle radici europee, alla difesa dei confini, al rispetto delle regole e delle leggi, sono sempre le stesse. «Sono la voce dei tanti che non ne possono più del predominio islamico e dell’immigrazione. Non xenofobi o estremisti, bensì persone che vogliono tutelare la propria cultura e sentirsi sicuri nel loro mondo». «È che il Corano dovrebbe essere bandito, nel mio Paese e in tutte le sue moschee, perché è interpretato alla lettera e usato quale incentivo per atti di terrorismo e violenza». «L’Europa è imbevuta di relativismo culturale, un’illusione, perché non esiste uguaglianza fra culture. La nostra è di gran lunga migliore. Noi non picchiamo i gay, non discriminiamo le donne, non usiamo violenza con chi è diverso». «Molti mi dicono che dovrei cambiare atteggiamento, scegliere il dialogo. Ma, se voglio rispettare i miei elettori, non posso. Sarebbe come dichiarare la vittoria degli estremisti». Sono, riprese da numerose interviste e dichiarazioni, le frasi che Geert Wilders ha usato in campagna elettorale. A voi giudicarne la gravità, oppure, sia pur in una brutalità di espressione, l’aderenza alla realtà che i cittadini europei affrontano e subiscono. Secondo gli ultimi sondaggi demoscopici elaborati nientemeno che dalla London School of Economics, otterranno risultati lusinghieri in Gran Bretagna il British National Party, che naturalmente potrà sfruttare anche il crollo laburista. In Austria non c’è più il decano Haider, ma è fortissimo l’FPÖ, Partito della libertà, e il BZÖ, il Partito dell’Austria. In Belgio e Danimarca si aspetta l’affermazione del Folkeparti, il partito del popolo, in Francia del Movimento nazionalista di Philippe de Villierin. In Ungheria si preannuncia una débâcle dei socialisti al governo contro l’opposizione di centrodestra del Fidesz. A Strasburgo dovrebbe arrivare almeno un rappresentante di Jobbik, il nuovo partito contro gli immigrati. I nazionalisti dovrebbero avere un buon risultato anche in Bulgaria, perché a Sofia si preannuncia la vittoria del Gerb, il movimento populista del sindaco della capitale Boyko Borissov, mentre gli ultranazionalisti di Ataka dovrebbero riuscire a tornare a Strasburgo. A Bucarest si prevede una buona performance di un altro movimento nazionalista, il «Partito della Grande Romania». Il collante del voto in questi due Paesi è la rivolta popolare contro i soprusi e la mafia dei rom. In tutte le nazioni, dell’Ovest e dell’Est, di antica democrazia e di ancora fresca uscita dalla dittatura comunista, assieme alla crisi economica sono forti e virulenti i sentimenti di sfiducia per le fiacche e colluse politiche europee, per quel relativismo culturale che suona resa, e che anche noi italiani ben conosciamo. È un mondo fatto di chiese di base, sindacati in crisi, partiti della sinistra senza più progetto e identità, imprenditori senza scrupoli ufficialmente solidali, che vorrebbero far entrare senza regole un flusso migratorio di etnie per ottenere nuova manovalanza, rabbiosa e antagonista. Il voto di protesta, ne sono convinta, si riassorbe facilmente se le scelte politiche cambiano. Sennò saranno guai, perché è un sentimento autenticamente popolare e pienamente giustificato. Fortuna che da noi questo rischio non si corre, perché, sia pur con qualche esitazione, il governo ha fatto scelte di contenimento e guida dell’immigrazione. Due esempi per tutti: non abbiamo più notizie di arrivi di barconi carichi di disperati, l’ultimo terrorista arrestato per aver progettato stragi a Milano e a Bologna, stava chiedendo asilo politico, invece è andato in galera.
domenica 7 giugno 2009
Rigurgiti ultranazionalisti
Il "buonismo" ha messo le ali all’ultradestra di Maria Giovanna Maglie
Il risultato straordinario di Geert Wilders in Olanda, anticipato con grande disdoro dei vertici europei, convinti chissà perché che quel che si vota in un Paese dell’Unione sia meccanicamente riproducibile in un altro, o meglio cresciuti all’arte dell’erudizione del popolo pupo, non stupisce e non spaventa, nella sua prevedibilità casomai induce a riflettere. Gli olandesi non ne potevano più, e a un lungo periodo di acquiescenza alla penetrazione e all’invasione, proprio da Rotterdam, trasformata in un souk di donne velate e sindaco marocchino, è partita la protesta. Ci sono partiti che fioriscono per colpa dell’ignavia degli altri, dei partiti storici e solidi. Wilders è assurto diavolo del razzismo e della xenofobia, ma stavolta non è andata come andò per il povero Theo van Gogh, reo di aver raccontato la segregazione delle donne con la benedizione del Corano, sbudellato da un estremista musulmano nell’indifferenza nazionale, o come è andata all’ispiratrice del film di van Gogh, Arsi Alii, deputata nazionale costretta all’esilio negli Usa. Stavolta il mostro ha preso i voti, e le prefiche sono già scatenate nell’evocare tragedie sull’Europa che verrà da domani a urne aperte e schede contate. Hanno qualche motivo di temere, perché non di sola Olanda si tratta, e le ragioni della repentina affermazione dei partiti che si richiamano alle radici europee, alla difesa dei confini, al rispetto delle regole e delle leggi, sono sempre le stesse. «Sono la voce dei tanti che non ne possono più del predominio islamico e dell’immigrazione. Non xenofobi o estremisti, bensì persone che vogliono tutelare la propria cultura e sentirsi sicuri nel loro mondo». «È che il Corano dovrebbe essere bandito, nel mio Paese e in tutte le sue moschee, perché è interpretato alla lettera e usato quale incentivo per atti di terrorismo e violenza». «L’Europa è imbevuta di relativismo culturale, un’illusione, perché non esiste uguaglianza fra culture. La nostra è di gran lunga migliore. Noi non picchiamo i gay, non discriminiamo le donne, non usiamo violenza con chi è diverso». «Molti mi dicono che dovrei cambiare atteggiamento, scegliere il dialogo. Ma, se voglio rispettare i miei elettori, non posso. Sarebbe come dichiarare la vittoria degli estremisti». Sono, riprese da numerose interviste e dichiarazioni, le frasi che Geert Wilders ha usato in campagna elettorale. A voi giudicarne la gravità, oppure, sia pur in una brutalità di espressione, l’aderenza alla realtà che i cittadini europei affrontano e subiscono. Secondo gli ultimi sondaggi demoscopici elaborati nientemeno che dalla London School of Economics, otterranno risultati lusinghieri in Gran Bretagna il British National Party, che naturalmente potrà sfruttare anche il crollo laburista. In Austria non c’è più il decano Haider, ma è fortissimo l’FPÖ, Partito della libertà, e il BZÖ, il Partito dell’Austria. In Belgio e Danimarca si aspetta l’affermazione del Folkeparti, il partito del popolo, in Francia del Movimento nazionalista di Philippe de Villierin. In Ungheria si preannuncia una débâcle dei socialisti al governo contro l’opposizione di centrodestra del Fidesz. A Strasburgo dovrebbe arrivare almeno un rappresentante di Jobbik, il nuovo partito contro gli immigrati. I nazionalisti dovrebbero avere un buon risultato anche in Bulgaria, perché a Sofia si preannuncia la vittoria del Gerb, il movimento populista del sindaco della capitale Boyko Borissov, mentre gli ultranazionalisti di Ataka dovrebbero riuscire a tornare a Strasburgo. A Bucarest si prevede una buona performance di un altro movimento nazionalista, il «Partito della Grande Romania». Il collante del voto in questi due Paesi è la rivolta popolare contro i soprusi e la mafia dei rom. In tutte le nazioni, dell’Ovest e dell’Est, di antica democrazia e di ancora fresca uscita dalla dittatura comunista, assieme alla crisi economica sono forti e virulenti i sentimenti di sfiducia per le fiacche e colluse politiche europee, per quel relativismo culturale che suona resa, e che anche noi italiani ben conosciamo. È un mondo fatto di chiese di base, sindacati in crisi, partiti della sinistra senza più progetto e identità, imprenditori senza scrupoli ufficialmente solidali, che vorrebbero far entrare senza regole un flusso migratorio di etnie per ottenere nuova manovalanza, rabbiosa e antagonista. Il voto di protesta, ne sono convinta, si riassorbe facilmente se le scelte politiche cambiano. Sennò saranno guai, perché è un sentimento autenticamente popolare e pienamente giustificato. Fortuna che da noi questo rischio non si corre, perché, sia pur con qualche esitazione, il governo ha fatto scelte di contenimento e guida dell’immigrazione. Due esempi per tutti: non abbiamo più notizie di arrivi di barconi carichi di disperati, l’ultimo terrorista arrestato per aver progettato stragi a Milano e a Bologna, stava chiedendo asilo politico, invece è andato in galera.
Il risultato straordinario di Geert Wilders in Olanda, anticipato con grande disdoro dei vertici europei, convinti chissà perché che quel che si vota in un Paese dell’Unione sia meccanicamente riproducibile in un altro, o meglio cresciuti all’arte dell’erudizione del popolo pupo, non stupisce e non spaventa, nella sua prevedibilità casomai induce a riflettere. Gli olandesi non ne potevano più, e a un lungo periodo di acquiescenza alla penetrazione e all’invasione, proprio da Rotterdam, trasformata in un souk di donne velate e sindaco marocchino, è partita la protesta. Ci sono partiti che fioriscono per colpa dell’ignavia degli altri, dei partiti storici e solidi. Wilders è assurto diavolo del razzismo e della xenofobia, ma stavolta non è andata come andò per il povero Theo van Gogh, reo di aver raccontato la segregazione delle donne con la benedizione del Corano, sbudellato da un estremista musulmano nell’indifferenza nazionale, o come è andata all’ispiratrice del film di van Gogh, Arsi Alii, deputata nazionale costretta all’esilio negli Usa. Stavolta il mostro ha preso i voti, e le prefiche sono già scatenate nell’evocare tragedie sull’Europa che verrà da domani a urne aperte e schede contate. Hanno qualche motivo di temere, perché non di sola Olanda si tratta, e le ragioni della repentina affermazione dei partiti che si richiamano alle radici europee, alla difesa dei confini, al rispetto delle regole e delle leggi, sono sempre le stesse. «Sono la voce dei tanti che non ne possono più del predominio islamico e dell’immigrazione. Non xenofobi o estremisti, bensì persone che vogliono tutelare la propria cultura e sentirsi sicuri nel loro mondo». «È che il Corano dovrebbe essere bandito, nel mio Paese e in tutte le sue moschee, perché è interpretato alla lettera e usato quale incentivo per atti di terrorismo e violenza». «L’Europa è imbevuta di relativismo culturale, un’illusione, perché non esiste uguaglianza fra culture. La nostra è di gran lunga migliore. Noi non picchiamo i gay, non discriminiamo le donne, non usiamo violenza con chi è diverso». «Molti mi dicono che dovrei cambiare atteggiamento, scegliere il dialogo. Ma, se voglio rispettare i miei elettori, non posso. Sarebbe come dichiarare la vittoria degli estremisti». Sono, riprese da numerose interviste e dichiarazioni, le frasi che Geert Wilders ha usato in campagna elettorale. A voi giudicarne la gravità, oppure, sia pur in una brutalità di espressione, l’aderenza alla realtà che i cittadini europei affrontano e subiscono. Secondo gli ultimi sondaggi demoscopici elaborati nientemeno che dalla London School of Economics, otterranno risultati lusinghieri in Gran Bretagna il British National Party, che naturalmente potrà sfruttare anche il crollo laburista. In Austria non c’è più il decano Haider, ma è fortissimo l’FPÖ, Partito della libertà, e il BZÖ, il Partito dell’Austria. In Belgio e Danimarca si aspetta l’affermazione del Folkeparti, il partito del popolo, in Francia del Movimento nazionalista di Philippe de Villierin. In Ungheria si preannuncia una débâcle dei socialisti al governo contro l’opposizione di centrodestra del Fidesz. A Strasburgo dovrebbe arrivare almeno un rappresentante di Jobbik, il nuovo partito contro gli immigrati. I nazionalisti dovrebbero avere un buon risultato anche in Bulgaria, perché a Sofia si preannuncia la vittoria del Gerb, il movimento populista del sindaco della capitale Boyko Borissov, mentre gli ultranazionalisti di Ataka dovrebbero riuscire a tornare a Strasburgo. A Bucarest si prevede una buona performance di un altro movimento nazionalista, il «Partito della Grande Romania». Il collante del voto in questi due Paesi è la rivolta popolare contro i soprusi e la mafia dei rom. In tutte le nazioni, dell’Ovest e dell’Est, di antica democrazia e di ancora fresca uscita dalla dittatura comunista, assieme alla crisi economica sono forti e virulenti i sentimenti di sfiducia per le fiacche e colluse politiche europee, per quel relativismo culturale che suona resa, e che anche noi italiani ben conosciamo. È un mondo fatto di chiese di base, sindacati in crisi, partiti della sinistra senza più progetto e identità, imprenditori senza scrupoli ufficialmente solidali, che vorrebbero far entrare senza regole un flusso migratorio di etnie per ottenere nuova manovalanza, rabbiosa e antagonista. Il voto di protesta, ne sono convinta, si riassorbe facilmente se le scelte politiche cambiano. Sennò saranno guai, perché è un sentimento autenticamente popolare e pienamente giustificato. Fortuna che da noi questo rischio non si corre, perché, sia pur con qualche esitazione, il governo ha fatto scelte di contenimento e guida dell’immigrazione. Due esempi per tutti: non abbiamo più notizie di arrivi di barconi carichi di disperati, l’ultimo terrorista arrestato per aver progettato stragi a Milano e a Bologna, stava chiedendo asilo politico, invece è andato in galera.
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2 commenti:
La Maglie ha fatto un errore che andrebbe segnalato. Che sappia io il leader del partito identitario francese si chiama Philippe de Villiers e non de Villierin.
Si anche io avevo fatto caso all'errore...
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