... L'Iran e Hamas lo mandano a quel paese. Un grande evento mediatico, una eccellente prova retorica e… un pugno di mosche. Questa l’estrema sintesi dell’impatto che avrà nei mesi a a venire lo “storico” discorso che Obama ha tenuto al Cairo ieri. Il miglior commento ai voli pindarici di Obama è venuto dalla Cisgiordania e ha toccato proprio il nervo scoperto, il tallone d’Achille di tutta la sua retorica: quattro palestinesi si sono infatti massacrati tra di loro perché di Hamas e di Al Fatah, ennesimo incidente di queste settimane che costituisce il vero, ineliminabile, nodo gordiano della questione israelo-palestinese. E’ inutile e ipocrita che Obama parli di “due popoli e due Stati”, è pericoloso e sbilanciante che Obama condanni solo gli insediamenti – effettivamente illegali – di Israele e che poi non spenda una parola, una parola sola, neanche alla lontana sulla guerra civile fratricida che da tre anni (in realtà da sempre cova sotto la cenere) insanguina le fazioni palestinesi. Chi governerà lo Stato palestinese a cui Obama lavora: Hamas? Abu Mazen? E chi li obbligherà a smettere di massacrarsi tra di loro, visto che l’ultimo tentativo di pacificazione, durato sei mesi, è appena fallito al Cairo e già decine sono i morti (e gli impiccati dopo orrendi “processi” a Gaza) dall’una e dall’altra parte? La realtà è che nel conflitto che contrappone Hamas ad al Fatah si trova il nodo vero della crisi dell’Islam di oggi e che è fuorviante, ipocrita e anche da ignoranti pretendere che esso veda solo contrapporsi un grande Islam moderato e i “terroristi” di Osama bin Laden. La visione del mondo jihadista che caratterizza Hamas si basa su una concezione della famiglia e della donna che sono ispirate a violenza e ineguaglianza e sono però condivise da larga parte del mondo islamico “moderato”. Con scelta opportunistica, Obama è andato a propugnare la libertà di religione proprio da al Azhar, la più importante università coranica del mondo sunnita. Senza sapere probabilmente – ennesimo segno della sua ciarliera superficialità – che proprio i teologi di al Azhar ancora recentemente hanno stabilito che il musulmano che abiuri la sua fede e che lo faccia dando “pubblico scandalo” deve essere messo a morte! E’ facile tendere ramoscelli d’ulivo “parlando d’altro”, evitando i nodi reali di civiltà che separano oggi l’occidente democratico non dai regimi islamici – che sono caduchi – ma dalla cultura islamica maggioritaria, che è inquisitoriale, che relega la donna ad un ruolo di subalternità civile, che è impregnata di cultura della morte, che è impregnata di antisemitismo. Infine: l’ipocrisia. Come fa, come fa Obama a esortare i musulmani a non gioire più per le donne e i bimbi e i civili ebrei uccisi da attentatori suicidi in Israele – e questo ha fatto – senza accennare al fatto che proprio dall’aula in cui ha parlato si sono sempre levate le fatwa, i verdetti che legittimavano in pieno quelle morti e davano ai “martiri” l’onore del paradiso? Insomma, uno stupendo, barocco, ricamo politically correct basato sull’equivoco, sull’ignoranza, sulla poco elegante – ma trasparente – brama di separare il proprio destino da quello del suo predecessore.Uno sforzo peraltro vano perché di qui a poco Obama, in Afghanistan, Palestina, Sudan e soprattutto Iran, dovà prendere atto del fallimento del suo dialogare e decidere cosa fare, non cosa dire. E sarà un dramma.
venerdì 5 giugno 2009
Ohi dialogoi (2)
Obama-Islam-Show al Cairo: tutta fuffa, e peggio, come previsto di Carlo Panella
... L'Iran e Hamas lo mandano a quel paese. Un grande evento mediatico, una eccellente prova retorica e… un pugno di mosche. Questa l’estrema sintesi dell’impatto che avrà nei mesi a a venire lo “storico” discorso che Obama ha tenuto al Cairo ieri. Il miglior commento ai voli pindarici di Obama è venuto dalla Cisgiordania e ha toccato proprio il nervo scoperto, il tallone d’Achille di tutta la sua retorica: quattro palestinesi si sono infatti massacrati tra di loro perché di Hamas e di Al Fatah, ennesimo incidente di queste settimane che costituisce il vero, ineliminabile, nodo gordiano della questione israelo-palestinese. E’ inutile e ipocrita che Obama parli di “due popoli e due Stati”, è pericoloso e sbilanciante che Obama condanni solo gli insediamenti – effettivamente illegali – di Israele e che poi non spenda una parola, una parola sola, neanche alla lontana sulla guerra civile fratricida che da tre anni (in realtà da sempre cova sotto la cenere) insanguina le fazioni palestinesi. Chi governerà lo Stato palestinese a cui Obama lavora: Hamas? Abu Mazen? E chi li obbligherà a smettere di massacrarsi tra di loro, visto che l’ultimo tentativo di pacificazione, durato sei mesi, è appena fallito al Cairo e già decine sono i morti (e gli impiccati dopo orrendi “processi” a Gaza) dall’una e dall’altra parte? La realtà è che nel conflitto che contrappone Hamas ad al Fatah si trova il nodo vero della crisi dell’Islam di oggi e che è fuorviante, ipocrita e anche da ignoranti pretendere che esso veda solo contrapporsi un grande Islam moderato e i “terroristi” di Osama bin Laden. La visione del mondo jihadista che caratterizza Hamas si basa su una concezione della famiglia e della donna che sono ispirate a violenza e ineguaglianza e sono però condivise da larga parte del mondo islamico “moderato”. Con scelta opportunistica, Obama è andato a propugnare la libertà di religione proprio da al Azhar, la più importante università coranica del mondo sunnita. Senza sapere probabilmente – ennesimo segno della sua ciarliera superficialità – che proprio i teologi di al Azhar ancora recentemente hanno stabilito che il musulmano che abiuri la sua fede e che lo faccia dando “pubblico scandalo” deve essere messo a morte! E’ facile tendere ramoscelli d’ulivo “parlando d’altro”, evitando i nodi reali di civiltà che separano oggi l’occidente democratico non dai regimi islamici – che sono caduchi – ma dalla cultura islamica maggioritaria, che è inquisitoriale, che relega la donna ad un ruolo di subalternità civile, che è impregnata di cultura della morte, che è impregnata di antisemitismo. Infine: l’ipocrisia. Come fa, come fa Obama a esortare i musulmani a non gioire più per le donne e i bimbi e i civili ebrei uccisi da attentatori suicidi in Israele – e questo ha fatto – senza accennare al fatto che proprio dall’aula in cui ha parlato si sono sempre levate le fatwa, i verdetti che legittimavano in pieno quelle morti e davano ai “martiri” l’onore del paradiso? Insomma, uno stupendo, barocco, ricamo politically correct basato sull’equivoco, sull’ignoranza, sulla poco elegante – ma trasparente – brama di separare il proprio destino da quello del suo predecessore.Uno sforzo peraltro vano perché di qui a poco Obama, in Afghanistan, Palestina, Sudan e soprattutto Iran, dovà prendere atto del fallimento del suo dialogare e decidere cosa fare, non cosa dire. E sarà un dramma.
... L'Iran e Hamas lo mandano a quel paese. Un grande evento mediatico, una eccellente prova retorica e… un pugno di mosche. Questa l’estrema sintesi dell’impatto che avrà nei mesi a a venire lo “storico” discorso che Obama ha tenuto al Cairo ieri. Il miglior commento ai voli pindarici di Obama è venuto dalla Cisgiordania e ha toccato proprio il nervo scoperto, il tallone d’Achille di tutta la sua retorica: quattro palestinesi si sono infatti massacrati tra di loro perché di Hamas e di Al Fatah, ennesimo incidente di queste settimane che costituisce il vero, ineliminabile, nodo gordiano della questione israelo-palestinese. E’ inutile e ipocrita che Obama parli di “due popoli e due Stati”, è pericoloso e sbilanciante che Obama condanni solo gli insediamenti – effettivamente illegali – di Israele e che poi non spenda una parola, una parola sola, neanche alla lontana sulla guerra civile fratricida che da tre anni (in realtà da sempre cova sotto la cenere) insanguina le fazioni palestinesi. Chi governerà lo Stato palestinese a cui Obama lavora: Hamas? Abu Mazen? E chi li obbligherà a smettere di massacrarsi tra di loro, visto che l’ultimo tentativo di pacificazione, durato sei mesi, è appena fallito al Cairo e già decine sono i morti (e gli impiccati dopo orrendi “processi” a Gaza) dall’una e dall’altra parte? La realtà è che nel conflitto che contrappone Hamas ad al Fatah si trova il nodo vero della crisi dell’Islam di oggi e che è fuorviante, ipocrita e anche da ignoranti pretendere che esso veda solo contrapporsi un grande Islam moderato e i “terroristi” di Osama bin Laden. La visione del mondo jihadista che caratterizza Hamas si basa su una concezione della famiglia e della donna che sono ispirate a violenza e ineguaglianza e sono però condivise da larga parte del mondo islamico “moderato”. Con scelta opportunistica, Obama è andato a propugnare la libertà di religione proprio da al Azhar, la più importante università coranica del mondo sunnita. Senza sapere probabilmente – ennesimo segno della sua ciarliera superficialità – che proprio i teologi di al Azhar ancora recentemente hanno stabilito che il musulmano che abiuri la sua fede e che lo faccia dando “pubblico scandalo” deve essere messo a morte! E’ facile tendere ramoscelli d’ulivo “parlando d’altro”, evitando i nodi reali di civiltà che separano oggi l’occidente democratico non dai regimi islamici – che sono caduchi – ma dalla cultura islamica maggioritaria, che è inquisitoriale, che relega la donna ad un ruolo di subalternità civile, che è impregnata di cultura della morte, che è impregnata di antisemitismo. Infine: l’ipocrisia. Come fa, come fa Obama a esortare i musulmani a non gioire più per le donne e i bimbi e i civili ebrei uccisi da attentatori suicidi in Israele – e questo ha fatto – senza accennare al fatto che proprio dall’aula in cui ha parlato si sono sempre levate le fatwa, i verdetti che legittimavano in pieno quelle morti e davano ai “martiri” l’onore del paradiso? Insomma, uno stupendo, barocco, ricamo politically correct basato sull’equivoco, sull’ignoranza, sulla poco elegante – ma trasparente – brama di separare il proprio destino da quello del suo predecessore.Uno sforzo peraltro vano perché di qui a poco Obama, in Afghanistan, Palestina, Sudan e soprattutto Iran, dovà prendere atto del fallimento del suo dialogare e decidere cosa fare, non cosa dire. E sarà un dramma.
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