giovedì 4 giugno 2009

Il salvatore...

La forza del dialogo

Mai una missio­ne nel Medio Oriente di un presidente de­gli Stati Uniti aveva calami­tato tante speranze ed era stata caricata di tante aspet­tative. A Barack Obama, che in meno di 48 ore visita due soli paesi, Arabia Saudi­ta ed Egitto, tradizionali al­leati di Washington, tutti hanno qualcosa da chiede­re. Esiste poi il motivato ti­more che molti siano pron­ti a piegare le sue parole, in­dividuandovi le coordinate di sempre: più amico degli arabi e meno amico di Isra­ele, o viceversa. Errore grave, perché Oba­ma ha già anticipato quel che dirà oggi all'università del Cairo: volontà di dialo­gare con tutti, rinuncia all' imposizione ma appello al­la condivisione di valori che sono universali, come la libertà, i diritti umani e una democrazia che, ger­mogliando su basi culturali diverse, educhi al rispetto dell'altro. Messaggio sem­plice ma assai importante, perché non è rivolto alle passioni, alle appartenen­ze, ma va diritto alle menti di tutti i protagonisti: mo­derati ed estremisti. Parlare alla mente può essere più incisivo e deva­stante di una guerra. Quin­di non stupisce, anzi era quasi scontato che dalle ca­tacombe della ragione si al­zassero le minacce registra­te del redivivo Osama bin Laden, capo-terrorista a co­mando, contro Barack Oba­ma, appena giunto a Riad, accusato di «spargere i se­mi dell'odio». Ben sapendo che l'appello del presidente Usa punta a prosciugare le cause che, nel passato, ave­vano consentito di far lievi­tare proprio il fronte dell' odio. Obama non è paragona­bile al filo-arabo Jimmy Car­ter, che benedisse la pace di Camp David tra Israele ed Egitto ma poi favorì il rientro in Iran di Khomei­ni, diventando alla fine la vittima politica della stessa rivoluzione degli ayatollah. Non è Bill Clinton, che pen­sava con frettolosa determi­nazione di risolvere tutti i conflitti del Medio Oriente (dagli accordi di Oslo al fal­lito vertice di Ginevra con il presidente siriano Hafez el Assad, fino al fiasco di Camp David con il premier israeliano Barak e Arafat). Non è ovviamente Bush jr. ma non somiglia neppure a Bush padre, che nel '91, per costringere Israele a parte­cipare alla conferenza di pa­ce di Madrid, non esitò a ri­correre ad un quasi-ricatto finanziario, negando le ga­ranzie su un prestito di 10 miliardi di dollari. Al contrario, Obama pun­ta tutto sulla diplomazia: «Che - sono sue parole - ha tempi lunghi, lenti, ma si­curamente proficui. Non si possono mai avere risultati immediati». Vale per il con­gelamento degli insedia­menti, per rilanciare la for­mula dei «Due stati», nono­stante l'opposizione del pre­mier israeliano Netaniahu. Vale per l'Iran di Ahmadi­nejad e le sue ambizioni nu­cleari offensive. Che la for­za del dialogo, coniugata con la determinazione a combattere chi lo rifiuta, ri­sulti vincente si vedrà. Ma alla richiesta dello scrittore e accademico egi­ziano Ezzedine Choukri Fishere dalle colonne di «Al Ahram weekly» («Lei non ha bisogno di visitare moschee, di partecipare a celebrazioni esotiche, di ab­bracciare leader religiosi. Se vuole conquistare i no­stri cuori conquisti prima le nostre menti»), Barack Obama ha già risposto. E' quel che si propone di fare.

Antonio Ferrari

Il bluff di Obama di Carlo Panella

Il presidente americano non lo sa neanche, ma l'università di al Azhar da cui ha improvvidamente deciso di lanciare un messaggio di pace all'Islam, è il simbolo stesso del fallimento della sua iniziativa propagandistica. Per i teologi di al Azhar, infatti, chi pubblicamente abbandona l'Islam è apostata e va ucciso. Punto. Questo è l'Islam ''moderato'' a cui Obama si rivolge senza averlo studiato, capito, analizzato. Tutta fuffa, al solito, tutto buonismo, tutto politically correct. Le sue ci si può scommettere, saranno parle alte e ben dette. Ma non scalfirà nulla di una realtà che vede lo stato palestinese impossibile non perché Nethanyau non vuole, ma perché Hamas e al fatah si massacrano già oggi e domani, controllandolo si massacrerebbero ancora di più; che vede l'Iran preparare l'atomica non solo per distruggere Israele, ma anche per destabilizzare tutti i paesi sunniti del Golfo e oltre; che vede il genocida sudanese Omar al Beshir ricevuto ovunque nei paesi musulmani come un eroe, solo e proprio perché l'Onu l'ha incriminato per reati contro l'umanità. A tutto questo Obama non darà nessuna risposta: parlerà di buoni sentimenti, farà un figurone. Poi, quando finalmente prenderà atto della realtà, combinerà i suoi guai, come e peggio di Bush.

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