Quando si parla di prescrizione in Italia si associa questo istituto giuridico al nome di Silvio Berlusconi. Ma in questa follia forcaiola che sotto elezioni sembra pervadere il nostro paese, pochi osano dire che questo istituto previsto dall’articolo 157 del codice di procedura penale è stato concepito non solo a garanzia della difesa, ma anche degli interessi pubblici che l’accusa pretende di rappresentare. In altri termini lo Stato rinuncia a perseguire l’autore di un reato, quando dalla sua commissione sia trascorso un periodo di tempo giudicato eccessivamente lungo e solitamente proporzionale alla gravità dello stesso. Il tutto per evitare che la macchina giudiziaria continui a impegnare risorse per la punizione di reati commessi troppo tempo prima e per i quali è socialmente meno sentita l’esigenza di un tutela giuridica. Peraltro, anche nell’ottica di una pena socialmente rieducativa (articolo 27 della Costituzione), è comune affermazione, anche in psicologia, che una punizione che arrivi troppo in là nel tempo rispetto alla realizzazione dell’illecito sia foriera di effetti opposti. E quando viene dichiarata la prescrizione del reato viene anche precluso il suo accertamento nel merito. Viene lasciata un’alea di dubbio e per questo la prescrizione è rinunciabile da parte dell’interessato, cioè l’accusato, ma se questi per sua personale comodità ritiene di non avvalersi di questa facoltà non diventa immediatamente un colpevole impunito secondo i sillogismi tipici dell’Italia dei valori. Col passare del tempo inoltre è sempre più difficile per lo stesso imputato fornire e recuperare fonti di prova a suo favore: la prescrizione evita quindi eventuali abusi da parte del sistema giudiziario che potrebbero intervenire nel caso in cui il reato venisse perseguito a lunga distanza di tempo, e funge da stimolo affinché l’azione dello Stato contro i reati debba essere rapida e puntuale, seguendo quindi “un’azione repressiva costituzionalmente orientata, in favore del principio di ragionevole durata del processo”. In Italia si prescrivono circa 200 mila reati l’anno. Nel 1996 la cifra era di 56 mila, nel 2003 è salita a quota 206 mila. Adesso si naviga a 195 mila l’anno. Con l’entrata in vigore dell’ex- Cirielli è stato previsto un regime peculiare, sensibilmente differente rispetto all’assetto normativo precedente, per tutti quei delitti puniti con una pena detentiva superiore a cinque anni, ma non oltre i sei. Infatti, mentre in passato per tali reati il termine di prescrizione era fissato in dieci anni ai sensi del vecchio articolo 157, 1° comma, numero 3 del codice penale; oggi, invece, il termine viene fissato in sei anni. Altra cosa è la prescrizione del processo che si vorrebbe introdurre con il cosiddetto “processo breve”, ma per il giustizialismo un tanto al chilo tutte queste norme di garanzia sono comunque scorie della storia. Perché il facile motto con cui infiammare le piazze, televisive e non, rimane il “bracardiano” urlo “in galera”. Almeno finché non tocca a uno di loro.
lunedì 1 marzo 2010
Ma no, nessun orientamento...
La prescrizione questa sconosciuta di Dimitri Buffa
Quando si parla di prescrizione in Italia si associa questo istituto giuridico al nome di Silvio Berlusconi. Ma in questa follia forcaiola che sotto elezioni sembra pervadere il nostro paese, pochi osano dire che questo istituto previsto dall’articolo 157 del codice di procedura penale è stato concepito non solo a garanzia della difesa, ma anche degli interessi pubblici che l’accusa pretende di rappresentare. In altri termini lo Stato rinuncia a perseguire l’autore di un reato, quando dalla sua commissione sia trascorso un periodo di tempo giudicato eccessivamente lungo e solitamente proporzionale alla gravità dello stesso. Il tutto per evitare che la macchina giudiziaria continui a impegnare risorse per la punizione di reati commessi troppo tempo prima e per i quali è socialmente meno sentita l’esigenza di un tutela giuridica. Peraltro, anche nell’ottica di una pena socialmente rieducativa (articolo 27 della Costituzione), è comune affermazione, anche in psicologia, che una punizione che arrivi troppo in là nel tempo rispetto alla realizzazione dell’illecito sia foriera di effetti opposti. E quando viene dichiarata la prescrizione del reato viene anche precluso il suo accertamento nel merito. Viene lasciata un’alea di dubbio e per questo la prescrizione è rinunciabile da parte dell’interessato, cioè l’accusato, ma se questi per sua personale comodità ritiene di non avvalersi di questa facoltà non diventa immediatamente un colpevole impunito secondo i sillogismi tipici dell’Italia dei valori. Col passare del tempo inoltre è sempre più difficile per lo stesso imputato fornire e recuperare fonti di prova a suo favore: la prescrizione evita quindi eventuali abusi da parte del sistema giudiziario che potrebbero intervenire nel caso in cui il reato venisse perseguito a lunga distanza di tempo, e funge da stimolo affinché l’azione dello Stato contro i reati debba essere rapida e puntuale, seguendo quindi “un’azione repressiva costituzionalmente orientata, in favore del principio di ragionevole durata del processo”. In Italia si prescrivono circa 200 mila reati l’anno. Nel 1996 la cifra era di 56 mila, nel 2003 è salita a quota 206 mila. Adesso si naviga a 195 mila l’anno. Con l’entrata in vigore dell’ex- Cirielli è stato previsto un regime peculiare, sensibilmente differente rispetto all’assetto normativo precedente, per tutti quei delitti puniti con una pena detentiva superiore a cinque anni, ma non oltre i sei. Infatti, mentre in passato per tali reati il termine di prescrizione era fissato in dieci anni ai sensi del vecchio articolo 157, 1° comma, numero 3 del codice penale; oggi, invece, il termine viene fissato in sei anni. Altra cosa è la prescrizione del processo che si vorrebbe introdurre con il cosiddetto “processo breve”, ma per il giustizialismo un tanto al chilo tutte queste norme di garanzia sono comunque scorie della storia. Perché il facile motto con cui infiammare le piazze, televisive e non, rimane il “bracardiano” urlo “in galera”. Almeno finché non tocca a uno di loro.
Quando si parla di prescrizione in Italia si associa questo istituto giuridico al nome di Silvio Berlusconi. Ma in questa follia forcaiola che sotto elezioni sembra pervadere il nostro paese, pochi osano dire che questo istituto previsto dall’articolo 157 del codice di procedura penale è stato concepito non solo a garanzia della difesa, ma anche degli interessi pubblici che l’accusa pretende di rappresentare. In altri termini lo Stato rinuncia a perseguire l’autore di un reato, quando dalla sua commissione sia trascorso un periodo di tempo giudicato eccessivamente lungo e solitamente proporzionale alla gravità dello stesso. Il tutto per evitare che la macchina giudiziaria continui a impegnare risorse per la punizione di reati commessi troppo tempo prima e per i quali è socialmente meno sentita l’esigenza di un tutela giuridica. Peraltro, anche nell’ottica di una pena socialmente rieducativa (articolo 27 della Costituzione), è comune affermazione, anche in psicologia, che una punizione che arrivi troppo in là nel tempo rispetto alla realizzazione dell’illecito sia foriera di effetti opposti. E quando viene dichiarata la prescrizione del reato viene anche precluso il suo accertamento nel merito. Viene lasciata un’alea di dubbio e per questo la prescrizione è rinunciabile da parte dell’interessato, cioè l’accusato, ma se questi per sua personale comodità ritiene di non avvalersi di questa facoltà non diventa immediatamente un colpevole impunito secondo i sillogismi tipici dell’Italia dei valori. Col passare del tempo inoltre è sempre più difficile per lo stesso imputato fornire e recuperare fonti di prova a suo favore: la prescrizione evita quindi eventuali abusi da parte del sistema giudiziario che potrebbero intervenire nel caso in cui il reato venisse perseguito a lunga distanza di tempo, e funge da stimolo affinché l’azione dello Stato contro i reati debba essere rapida e puntuale, seguendo quindi “un’azione repressiva costituzionalmente orientata, in favore del principio di ragionevole durata del processo”. In Italia si prescrivono circa 200 mila reati l’anno. Nel 1996 la cifra era di 56 mila, nel 2003 è salita a quota 206 mila. Adesso si naviga a 195 mila l’anno. Con l’entrata in vigore dell’ex- Cirielli è stato previsto un regime peculiare, sensibilmente differente rispetto all’assetto normativo precedente, per tutti quei delitti puniti con una pena detentiva superiore a cinque anni, ma non oltre i sei. Infatti, mentre in passato per tali reati il termine di prescrizione era fissato in dieci anni ai sensi del vecchio articolo 157, 1° comma, numero 3 del codice penale; oggi, invece, il termine viene fissato in sei anni. Altra cosa è la prescrizione del processo che si vorrebbe introdurre con il cosiddetto “processo breve”, ma per il giustizialismo un tanto al chilo tutte queste norme di garanzia sono comunque scorie della storia. Perché il facile motto con cui infiammare le piazze, televisive e non, rimane il “bracardiano” urlo “in galera”. Almeno finché non tocca a uno di loro.
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3 commenti:
Il fatto che da un punto di vista penale un reato sia prescritto non toglie il fatto che il reato sia stato effettivamente commesso.
Il fatto che una persona, che occupa un ufficio pubblico e rappresenta lo stato, abbia corrotto, falsficato bilanci ed evaso il fisco, squalifica lui e l'ufficio che occupa.
Specifico con un esempio per essere più chiaro.
Tizio viene accusato di atti di pedofilia e di aver abusato di minori. Il fatto è accaduto qualche anno prima e, usando bene tutte le scappatoie legali, tizio riesce a trascinare il suo processo finché il reato non è prescritto.
Dunque, da un punto di vista legale, resta il dubbio.
Ma tu, lo assumeresti come baby sitter per i tuoi figli?
Firmati. Sono stufa dei commenti anonimi.
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