“Sarkozy fa il leghista”: qualcuno oggi titola così. Tanto per capire come il giornalismo italiano, anzi (per fortuna) certo giornalismo italiano, si diverta a tirare le notizie, quasi fino a strapparle. Lo fa per rinfocolare battaglie tutte interne, per rinsaldare qualche stereotipo, per rassicurarsi nella propria visione delle cose. Ecco cos’è successo anche con questa storia del burqa vietato. Che tra l’altro non è neanche una gran notizia: già mesi fa il presidente francese – uno che, piaccia o no, e pur con decisioni alle volte drastiche o aspre, lavora per l’integrazione e non per la “disintegrazione” – aveva avvisato che “il burqa non sarà mai il benvenuto in Francia”. Sei mesi fa è stata istituita una commissione parlamentare, presieduta dal comunista Gérin, e ieri è stato consegnato il rapporto: il velo integrale offende i valori della République. Nessuna soluzione concreta, però. Già da questo – da come sono andati i fatti – si capisce che la notizia è quasi una non-notizia. Ma riflettere su argomenti così importanti e delicati non fa mai male. Ma più che interrogarsi per davvero sugli aspetti principali di questa vicenda (la concezione stessa di laicità, la dignità della donna, le differenze tra Francia e Italia, i principi fondanti della Repubblica) ecco che la discussione scivola nel pollaio di casa nostra. Farefuturo difenderebbe il burqa, spiegano sul Giornale. E quindi – per estensione – sarebbe pronta a giustificare l’infibulazione, per esempio. Da cosa si evinca tutto ciò, resta un mistero. Il titolo “E’ giusto, ma non è la soluzione”, non era chiaro abbastanza? Ecco qualche passo dall’articolo di ieri: «In linea di principio proibire l’utilizzo del burqa è un’idea che può essere giusta. Proprio perché – al di là del tecnicismo normativo e delle leggi che in Italia già esistono e che proibiscono di girare per strada con il volto occultato – è un fatto che in alcune regioni di tradizione islamica e in molti contesti familiari questo significhi di fatto uno strumento di oppressione della dimensione femminile». E ancora: «Come abbiamo sottolineato più volte, una società multietnica come si appresta a diventare la nostra deve contemplare al suo interno lo scambio di culture sì ma all’interno di alcuni punti fermi. Tra i quali, uno dei più importanti, il rispetto della dignità della persona». Lo ha ribadito anche il segretario generale di Farefuturo, Adolfo Urso: «Personalmente, credo giusto vietare l'uso del burqa nelle istituzioni e nei luoghi pubblici, ma credo che ciò vada fatto all'interno di una più vasta politica di integrazione, che rispetti e valorizzi il ruolo positivo delle religioni e le liberta religiose ed educative. Il divieto del burqa non va concepito come un'arma contro l'islam ma come uno strumento per valorizzare il ruolo e la dignità delle donne». Non basta? Allora ribadiamo il concetto ancora una volta. Nessuno si sogna di difendere il burqa: è uno strumento di oppressione, è una lesione alla dignità della donna. Ma è anche un problema di sicurezza pubblica. E proprio perché si tratta di sicurezza pubblica, le leggi esistono già. Basta applicarle. Insomma, uno stato laico dovrebbe trattare il “problema-burqa” in maniera pragmatica, usando le norme a sua disposizione, attingendo al patrimonio di leggi e principi già presenti nel suo dna. Ha ragione Sarkozy, dunque. Ha ragione a trattare la questione con moderazione, istituendo una commissione, prendendo tutto il tempo necessario. Ha ragione lui. Perché se il burqa diventa solo sinonimo di islam, e vietarlo in quanto tale serve a dare un po’ di sfogo alle pulsioni di alcune frange del paese, allora non ci siamo davvero. Se invece vietarlo significa garantire i diritti civili della donna in nome dei valori occidentali, allora è giusto. Anzi sacrosanto. Purtroppo, le reazioni hanno dimostrato che si tratta del primo dei due casi, qui da noi. Lo dimostra il fatto che in prima fila, e con i soliti toni, ci sia chi vorrebbe appiccicare il crocifisso sulla bandiera e, oltre ai veli, vorrebbe far sparire dal nostro paese i minareti e magari tutto l’islam. Ecco, appropriarsi strumentalmente di una battaglia di laicità, stravolgendola ed estremizzandola, è semplicemente scorretto. Scorretto come voler forzare il senso delle riflessioni altrui.
giovedì 4 febbraio 2010
Perle di farefuturo
Ma il burqa non può essere il vessilo di una guerra contro l'islam. Tanto per ribadire il concetto: sul burqa ha ragione Sarkozy di Filippo Rossi
“Sarkozy fa il leghista”: qualcuno oggi titola così. Tanto per capire come il giornalismo italiano, anzi (per fortuna) certo giornalismo italiano, si diverta a tirare le notizie, quasi fino a strapparle. Lo fa per rinfocolare battaglie tutte interne, per rinsaldare qualche stereotipo, per rassicurarsi nella propria visione delle cose. Ecco cos’è successo anche con questa storia del burqa vietato. Che tra l’altro non è neanche una gran notizia: già mesi fa il presidente francese – uno che, piaccia o no, e pur con decisioni alle volte drastiche o aspre, lavora per l’integrazione e non per la “disintegrazione” – aveva avvisato che “il burqa non sarà mai il benvenuto in Francia”. Sei mesi fa è stata istituita una commissione parlamentare, presieduta dal comunista Gérin, e ieri è stato consegnato il rapporto: il velo integrale offende i valori della République. Nessuna soluzione concreta, però. Già da questo – da come sono andati i fatti – si capisce che la notizia è quasi una non-notizia. Ma riflettere su argomenti così importanti e delicati non fa mai male. Ma più che interrogarsi per davvero sugli aspetti principali di questa vicenda (la concezione stessa di laicità, la dignità della donna, le differenze tra Francia e Italia, i principi fondanti della Repubblica) ecco che la discussione scivola nel pollaio di casa nostra. Farefuturo difenderebbe il burqa, spiegano sul Giornale. E quindi – per estensione – sarebbe pronta a giustificare l’infibulazione, per esempio. Da cosa si evinca tutto ciò, resta un mistero. Il titolo “E’ giusto, ma non è la soluzione”, non era chiaro abbastanza? Ecco qualche passo dall’articolo di ieri: «In linea di principio proibire l’utilizzo del burqa è un’idea che può essere giusta. Proprio perché – al di là del tecnicismo normativo e delle leggi che in Italia già esistono e che proibiscono di girare per strada con il volto occultato – è un fatto che in alcune regioni di tradizione islamica e in molti contesti familiari questo significhi di fatto uno strumento di oppressione della dimensione femminile». E ancora: «Come abbiamo sottolineato più volte, una società multietnica come si appresta a diventare la nostra deve contemplare al suo interno lo scambio di culture sì ma all’interno di alcuni punti fermi. Tra i quali, uno dei più importanti, il rispetto della dignità della persona». Lo ha ribadito anche il segretario generale di Farefuturo, Adolfo Urso: «Personalmente, credo giusto vietare l'uso del burqa nelle istituzioni e nei luoghi pubblici, ma credo che ciò vada fatto all'interno di una più vasta politica di integrazione, che rispetti e valorizzi il ruolo positivo delle religioni e le liberta religiose ed educative. Il divieto del burqa non va concepito come un'arma contro l'islam ma come uno strumento per valorizzare il ruolo e la dignità delle donne». Non basta? Allora ribadiamo il concetto ancora una volta. Nessuno si sogna di difendere il burqa: è uno strumento di oppressione, è una lesione alla dignità della donna. Ma è anche un problema di sicurezza pubblica. E proprio perché si tratta di sicurezza pubblica, le leggi esistono già. Basta applicarle. Insomma, uno stato laico dovrebbe trattare il “problema-burqa” in maniera pragmatica, usando le norme a sua disposizione, attingendo al patrimonio di leggi e principi già presenti nel suo dna. Ha ragione Sarkozy, dunque. Ha ragione a trattare la questione con moderazione, istituendo una commissione, prendendo tutto il tempo necessario. Ha ragione lui. Perché se il burqa diventa solo sinonimo di islam, e vietarlo in quanto tale serve a dare un po’ di sfogo alle pulsioni di alcune frange del paese, allora non ci siamo davvero. Se invece vietarlo significa garantire i diritti civili della donna in nome dei valori occidentali, allora è giusto. Anzi sacrosanto. Purtroppo, le reazioni hanno dimostrato che si tratta del primo dei due casi, qui da noi. Lo dimostra il fatto che in prima fila, e con i soliti toni, ci sia chi vorrebbe appiccicare il crocifisso sulla bandiera e, oltre ai veli, vorrebbe far sparire dal nostro paese i minareti e magari tutto l’islam. Ecco, appropriarsi strumentalmente di una battaglia di laicità, stravolgendola ed estremizzandola, è semplicemente scorretto. Scorretto come voler forzare il senso delle riflessioni altrui.
“Sarkozy fa il leghista”: qualcuno oggi titola così. Tanto per capire come il giornalismo italiano, anzi (per fortuna) certo giornalismo italiano, si diverta a tirare le notizie, quasi fino a strapparle. Lo fa per rinfocolare battaglie tutte interne, per rinsaldare qualche stereotipo, per rassicurarsi nella propria visione delle cose. Ecco cos’è successo anche con questa storia del burqa vietato. Che tra l’altro non è neanche una gran notizia: già mesi fa il presidente francese – uno che, piaccia o no, e pur con decisioni alle volte drastiche o aspre, lavora per l’integrazione e non per la “disintegrazione” – aveva avvisato che “il burqa non sarà mai il benvenuto in Francia”. Sei mesi fa è stata istituita una commissione parlamentare, presieduta dal comunista Gérin, e ieri è stato consegnato il rapporto: il velo integrale offende i valori della République. Nessuna soluzione concreta, però. Già da questo – da come sono andati i fatti – si capisce che la notizia è quasi una non-notizia. Ma riflettere su argomenti così importanti e delicati non fa mai male. Ma più che interrogarsi per davvero sugli aspetti principali di questa vicenda (la concezione stessa di laicità, la dignità della donna, le differenze tra Francia e Italia, i principi fondanti della Repubblica) ecco che la discussione scivola nel pollaio di casa nostra. Farefuturo difenderebbe il burqa, spiegano sul Giornale. E quindi – per estensione – sarebbe pronta a giustificare l’infibulazione, per esempio. Da cosa si evinca tutto ciò, resta un mistero. Il titolo “E’ giusto, ma non è la soluzione”, non era chiaro abbastanza? Ecco qualche passo dall’articolo di ieri: «In linea di principio proibire l’utilizzo del burqa è un’idea che può essere giusta. Proprio perché – al di là del tecnicismo normativo e delle leggi che in Italia già esistono e che proibiscono di girare per strada con il volto occultato – è un fatto che in alcune regioni di tradizione islamica e in molti contesti familiari questo significhi di fatto uno strumento di oppressione della dimensione femminile». E ancora: «Come abbiamo sottolineato più volte, una società multietnica come si appresta a diventare la nostra deve contemplare al suo interno lo scambio di culture sì ma all’interno di alcuni punti fermi. Tra i quali, uno dei più importanti, il rispetto della dignità della persona». Lo ha ribadito anche il segretario generale di Farefuturo, Adolfo Urso: «Personalmente, credo giusto vietare l'uso del burqa nelle istituzioni e nei luoghi pubblici, ma credo che ciò vada fatto all'interno di una più vasta politica di integrazione, che rispetti e valorizzi il ruolo positivo delle religioni e le liberta religiose ed educative. Il divieto del burqa non va concepito come un'arma contro l'islam ma come uno strumento per valorizzare il ruolo e la dignità delle donne». Non basta? Allora ribadiamo il concetto ancora una volta. Nessuno si sogna di difendere il burqa: è uno strumento di oppressione, è una lesione alla dignità della donna. Ma è anche un problema di sicurezza pubblica. E proprio perché si tratta di sicurezza pubblica, le leggi esistono già. Basta applicarle. Insomma, uno stato laico dovrebbe trattare il “problema-burqa” in maniera pragmatica, usando le norme a sua disposizione, attingendo al patrimonio di leggi e principi già presenti nel suo dna. Ha ragione Sarkozy, dunque. Ha ragione a trattare la questione con moderazione, istituendo una commissione, prendendo tutto il tempo necessario. Ha ragione lui. Perché se il burqa diventa solo sinonimo di islam, e vietarlo in quanto tale serve a dare un po’ di sfogo alle pulsioni di alcune frange del paese, allora non ci siamo davvero. Se invece vietarlo significa garantire i diritti civili della donna in nome dei valori occidentali, allora è giusto. Anzi sacrosanto. Purtroppo, le reazioni hanno dimostrato che si tratta del primo dei due casi, qui da noi. Lo dimostra il fatto che in prima fila, e con i soliti toni, ci sia chi vorrebbe appiccicare il crocifisso sulla bandiera e, oltre ai veli, vorrebbe far sparire dal nostro paese i minareti e magari tutto l’islam. Ecco, appropriarsi strumentalmente di una battaglia di laicità, stravolgendola ed estremizzandola, è semplicemente scorretto. Scorretto come voler forzare il senso delle riflessioni altrui.
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