venerdì 19 febbraio 2010

I cattivi oggi

I risultati di una ricerca dell'Osservatorio della Camera sulla xenofobia. Ma i giovani sono razzisti perché vivono nell'incertezza di Rosalinda Cappello

Che fine hanno fatto i giovani? Quelli aperti a ciò che è nuovo, diverso? Quelli che l’attrazione per le differenze, la curiosità di conoscere l’altro da sé è più forte della comodità di accontentarsi del già visto, del già dato, del comodo? Quelli che fanno migliaia di chilometri per conoscere l’esotico? Ora che tutto questo se lo ritrovano in casa gli sbattono la porta in faccia? Viene da pensarlo quando si scorrono i risultati di una ricerca condotta su duemila ragazzi, su iniziativa dell’Osservatorio della Camera sui fenomeni di xenofobia e razzismo. Quasi la metà del campione ha ammesso di avere atteggiamenti di chiusura verso gli stranieri e il 20% rivela preoccupanti tendenze xenofobe. Per non parlare dei gruppi che lievitano su Facebook, alcuni dei quali arrivano a più di settemila iscritti, che ce l’hanno con tutti: con i musulmani e con gli zingari e pure con i napoletani e con i terroni più in generale. C’è come un bisogno di prendersela con qualcuno, di scaricare aggressività, risentimento e frustrazione su qualcun altro, meglio se più debole e in posizione scomoda. Ma perché questo fenomeno ha proporzioni così rilevanti e, per di più, in una fascia della popolazione che dovrebbe guardare al mondo in cui vive con minori chiusure di quelle manifestate nel sondaggio? Avrà un bel da fare l’organismo istituito il mese scorso alla Camera dei deputati allo scopo di monitorare l’evoluzione di comportamenti razzisti e di individuare i percorsi che alimentano la cultura dell’intolleranza e dell’insofferenza verso l’altro. Avrà da interrogarsi il mondo della politica e dell’informazione, e anche la famiglia e la scuola. Perché non può sfuggire che un tale irrigidimento sia prodotto dalla paura della precarietà propria di una condizione instabile o vissuta come tale, dal sentire di non avere un posto definito nel mondo e, ancora peggio, dal timore di vederselo portar via da qualcun altro. Un’inquietudine che nasce da un presente difficile, problematico e da un futuro incerto e dipinto a tinte fosche. Per questo il ruolo della famiglia, della scuola, della politica e dell’informazione è determinante. È importante per restituire un respiro fiducioso ai giovani, sui quali si fonda il futuro di ogni paese, stando attenti, tutti, a non farsi prendere la mano, troppo frequentemente, dalla drammatizzazione del presente e dalle semplificazioni che ci troviamo davanti per ragioni politiche o mediatiche. Spesso si parla della necessità di superare la logica dell’emergenza, del presentismo asfittico e paralizzante. Occorre passare ai fatti, perché la società ne ha bisogno per ritrovare la sua spinta fiduciosa in avanti. Serve un approccio costruttivo e risolutivo per la questione degli immigrati come per molti altri nodi sociali, uno fra tutti quello del mercato del lavoro. I giovani devono poter ritrovare la fiducia nel loro futuro e non devono essere indotti a guardare agli immigrati come a un nemico che viene a rubare loro identità e lavoro. Al contrario, devono poter vivere al meglio il loro presente e credere nei loro valori e nelle loro potenzialità. Devono poter progettare il loro futuro guardando a ciò che si muove intorno a loro come a un insieme di opportunità per se stessi e per il proprio paese. Senza, paure, senza sospetti né pregiudizi, senza rancori. In tutto questo, il ruolo della politica è quello di confrontarsi sulle questioni «senza la scimitarra della propaganda e uscendo dalla logica che dire certe cose fa perdere o prendere voti», proprio come ha detto oggi il presidente della Camera intervenendo alla presentazione dei risultati di questa ricerca. «La politica – ha affermato Gianfranco Fini - deve contribuire a individuare un modello italiano di accoglienza, abbandonando le tentazioni propagandistiche». E l’informazione? Dovrebbe essere più attenta a evitare semplificazioni che invece di portare a una conoscenza reale delle cose, alimenta l’ignoranza e i pregiudizi di cui si nutrono razzismo e xenofobia. I giovani che hanno paura dello straniero sanno che le pensioni dei nonni sono pagate anche con le buste paga degli immigrati che lavorano regolarmente nel nostro paese? Inoltre, educare i giovani al rifiuto del razzismo significa non soltanto sdilinquirsi in affermazioni di principio salvo poi rimanere muti davanti a parole e atti più o meno gravi di xenofobia, ma occorre dare l’esempio con i fatti e punendo i responsabili di condotte razziste. L’approccio all’integrazione non può più essere dettato dall’emergenza, non può più essere visto come un problema, una bomba a orologeria che rischia di esplodere mandando in frantumi un equilibrio sociale fragile. L’integrazione è una sfida culturale, un’opportunità per fondare un paese diverso, più dinamico, più sicuro e più forte. Anche grazie all’incontro pacificato con i portatori di identità e valori diversi dai nostri. Un incontro fondato sulla conoscenza reciproca e sull’accettazione e interiorizzazione di regole comuni e acquisite una volta per tutte.