giovedì 18 febbraio 2010

Dhimmitudine e stupidità

Le motivazioni della sentenza. «Hina non fu uccisa per motivi religiosi». I giudici: il padre fu spinto da un «patologico rapporto di possesso parentale»

MILANO
- Hina Saleem non fu uccisa da suo padre per «motivi religiosi e culturali», ma piuttosto per «un patologico e distorto rapporto di possesso parentale». Così la Cassazione spiega perché il 12 novembre scorso decise di confermare la condanna a 30 anni di reclusione inflitta dalla Corte d'Assise d'Appello di Brescia a Mohammed Saleem, il padre della giovane uccisa nell'agosto del 2006 perché «viveva all'occidentale».

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA - «La motivazione dell'agire dell'imputato - si legge nella sentenza n.6587 della Prima sezione penale - è scaturita da un patologico e distorto rapporto di possesso parentale, essendosi la riprovazione furiosa del comportamento negativo della propria figlia fondata non già su ragioni o consuentudine religiose o culturali, bensì sulla rabbia per la sottrazione al proprio reiterato divieto paterno». Per questo, la Suprema Corte afferma di condividere le motivazioni dei giudici d'appello, che hanno negato attenuanti al padre di Hina, concesse, invece, ai cognati della ragazza, condannati in via definitiva a 17 anni (in primo grado erano stati invece inflitti loro 30 anni di carcere). I giudici di Piazza Cavour hanno anche condiviso la sentenza d'appello con la quale veniva disposta una provvisionale, come risarcimento danni, a favore del fidanzato della ragazza uccisa, Giuseppe Tampini «si rileva come la Corte d'Assise d'Appello - si legge nella sentenza depositata oggi - abbia tenuto doveroso conto dei principi giurisprudenziali in punto di rilevanza della convivenza per la legittimazione a fini risarcitori del convivente della vittima di un omicidio: i riferimenti alla protrazione nel tempo della convivenza alla visibilità esterna di tale condizione, al sostegno economico-morale assicurato dal Tampini ad Hina, all'intrapresa comunanza di vita - conclude la Cassazione - attestano un'esatta applicazione dei principi di diritto da parte della Corte di merito con una motivazione immune da sospetti di manifesta illogicità».

Ricordiamo ancora una volta che, secondo il padre, la figlia NON era una buona musulmana: vestiva all'occidentale, si comportava da occidentale e viveva con un ragazzo non musulmano. Ma va bene così, continuiamo a lasciare questi delitti impuniti. La religione musulmana non si tocca. O si muore.

1 commenti:

Maria Luisa ha detto...

Sono curiosa di vedere la sentenza per l'omicidio di Sanaa