Se devo dirla tutta, capisco che Guido Bertolaso si senta come un pezzo di carne rosolato indebitamente sulla griglia mediatica, ma fossi stato in lui, col cavolo che avrei risposto in poche ore alla trappola mediatica delle ormai fatidiche dieci domande di Repubblica. Era non solo logico, ma garantito che le sue parole di risposta sarebbero state volte contro di lui e usate come autoaccuse di ancor meno possibile fraintendimento, rispetto alle intercettazioni in cui il clan Anemone allude a favori e prestazioni indebite. Invece Bertolaso ci è caduto. Perché è una persona per bene? Probabilmente, anzi molto probabilmente, sì. È proprio per questo che si è fatto prendere dal sacro fuoco della risposta illico et immediate. Non può facilmente sopportare che d’un tratto fior di grandi giornalisti lo considerino un quaquaraquà, Bertolaso, figuriamoci dunque se non pensava che, non rispondendo di corsa alle domande di Eugenio Scalfari, avrebbe dato l’impressione di avere qualcosa da nascondere. Eppure non mi sembrava davvero difficile immaginare che agli occhi dei fiutatori di piste per professione la questione prioritaria non è quella di Bertolaso, bensì ovviamente sempre e solo quella del sultano Silvio Berlusconi, ai cui ordini e capricci, come ha scritto Scalfari, «lei Bertolaso ha offerto la possibilità concreta di esercitare quel potere di fatto che l’ordinamento non gli ha ancora conferito». Da egolatri e megalomani quali siete – è sempre Scalfari a rispondere a Bertolaso – voi pretendete lo stato di eccezione «del fare» per «tutto ciò che passerà per la mente a voi e ai vostri amici».
In gioco non c’è solo l’immagine del Cavaliere: Non voglio sopravvalutare l’effetto delle parole di Scalfari, del gruppo Repubblica-Espresso e di tutta la vasta nidiata di giustizialisti via via superfetati sulle ceneri della sinistra tradizionale. Dico solo che questa volta non siamo alla solita storia del Berlusconi pericoloso in quanto Berlusconi, per il suo stile di vita, per il suo passato, il suo presente e il suo futuro. I diversi tronconi d’indagine che da Firenze si diffondono per competenza territoriale alle procure di mezza Italia intorno alla Protezione civile investono un elemento che d’ora in poi ritornerà come pregiudiziale divisiva su tutti i tavoli delle arretratezze italiane da colmare. Che si tratti delle procedure e dei tempi per la realizzazione delle centrali nucleari, che dell’attuale governo rappresentano la più importante scelta in campo energetico; oppure che si tratti dell’Expo 2015 a Milano e dei denari ancora da reperire per i lavori della M4 e della M5 (a due anni di distanza dal dossier di candidatura); o ancora che si tratti del Ponte di Messina o del Terzo valico di Genova, della Pedemontana veneta o della Tav sul Corridoio 5, non ci sarà opera e infrastruttura sulla quale non si addenseranno dubbi e sospetti, intercettazioni e ipotesi di reato. E tutto questo in un paese nel quale – ha ragione Paolo Buzzonetti, il presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili – in realtà per quanto riguarda edilizia e costruzioni siamo riusciti nel 2009 a tradire tutte le buone intenzioni, visto il clamoroso ma sin qui pieno insuccesso dei piani-casa regionali, e a sprofondare il settore in una notte ancora più buia. C’è da fare davvero i migliori auguri, a chi d’ora in poi chiederà procedure più snelle e tempi più ristretti, per sanare i gap infrastrutturali accumulati nel tempo.
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