Il governo offre aiuti economici e la Fiat li rifiuta. La scena è così surreale da meritare non solo d’essere raccontata, ma spiegata. Vediamola in modo diverso, a seconda dei due punti di vista: per la Fiat, il governo offre troppo poco, rispetto a quel che chiede indietro; per il governo, la Fiat sottovaluta le obbligazioni sociali che derivano dall’utilizzo di aiuti statali. Ci sono ragioni da ambo le parti, e proprio per questo occorre prendere atto della cosa più rilevante: il sistema degli aiuti pubblici non può più funzionare, va archiviato. Secondo Luca Cordero di Montezemolo, la Fiat non avrebbe mai ricevuto un euro dallo Stato. E’ un sofisma. La Fiat s’è giovata di moltissimi aiuti pubblici: dagli incentivi per gli acquirenti d’auto alla svendita dell’Alfa Romeo. Lo stesso Sergio Marchionne, appena due giorni fa, riconosceva i più recenti. Questo enorme sforzo è servito, negli anni, per rendere più forte la presenza italiana nel mercato dell’auto, e non sempre è stato utilizzato nel migliore dei modi. Quello schema, però, funzionava in un mondo chiuso, senza regole europee che impediscono gli aiuti di Stato, mentre, oggi, per replicare lo stesso schema si finisce con il mettere i soldi del contribuente a disposizione di concorrenti non italiani, che producono altrove e, quindi, portano via ricchezza al mercato interno. A questo si aggiunga che gli incentivi non riescono più a coprire l’improduttività di stabilimenti come quello di Termini Imprese, che è l’unico di cui si parla, ma non l’unico in quella condizione. Quindi, se la Fiat deve dare in cambio il mantenimento di quel tipo d’occupazione, fa due conti e, giustamente, rifiuta l’offerta. Questa strada, insomma, non può più essere battuta. Il che non significa privare il governo di strumenti con cui condurre la politica industriale, anzi, forse è vero l’esatto contrario, perché la fine degli aiuti per mascherare l’improduttività apre la via alla spesa di soldi pubblici per finanziare due esigenze nevralgiche: la ricerca e la mobilità. Anziché cercare di difendere l’esistente, si dovrà investire per propiziare il futuro, sia arricchendo lo scandalosamente povero capitolo della ricerca, sia spostando l’attenzione dalla salvaguardia dei posti di lavoro alla salvaguardia dei lavoratori, incentivandone, così, la mobilità e la riqualificazione. Credo che lo si sarebbe dovuto fare molto tempo addietro. Ci siamo arrivati attraverso la più contorta delle vie, addirittura facendosi dire dai sovvenzionati che la libertà di stare alle regole del mercato è più conveniente della riscossione di ciò che dovrebbe mitigare i rigori della competizione globale. Paradossale. Il governo colga l’occasione, benché non propriamente ricercata, e non solo blocchi il provvedimento incentivi, risparmiando soldi, ma imposti subito una politica capace di parlare una lingua diversa. Ci sono i margini per trarre bene dal male, non lasciamoceli sfuggire.
sabato 6 febbraio 2010
Fiat e aiuti di stato
I soldi alla Fiat di Davide Giacalone
Il governo offre aiuti economici e la Fiat li rifiuta. La scena è così surreale da meritare non solo d’essere raccontata, ma spiegata. Vediamola in modo diverso, a seconda dei due punti di vista: per la Fiat, il governo offre troppo poco, rispetto a quel che chiede indietro; per il governo, la Fiat sottovaluta le obbligazioni sociali che derivano dall’utilizzo di aiuti statali. Ci sono ragioni da ambo le parti, e proprio per questo occorre prendere atto della cosa più rilevante: il sistema degli aiuti pubblici non può più funzionare, va archiviato. Secondo Luca Cordero di Montezemolo, la Fiat non avrebbe mai ricevuto un euro dallo Stato. E’ un sofisma. La Fiat s’è giovata di moltissimi aiuti pubblici: dagli incentivi per gli acquirenti d’auto alla svendita dell’Alfa Romeo. Lo stesso Sergio Marchionne, appena due giorni fa, riconosceva i più recenti. Questo enorme sforzo è servito, negli anni, per rendere più forte la presenza italiana nel mercato dell’auto, e non sempre è stato utilizzato nel migliore dei modi. Quello schema, però, funzionava in un mondo chiuso, senza regole europee che impediscono gli aiuti di Stato, mentre, oggi, per replicare lo stesso schema si finisce con il mettere i soldi del contribuente a disposizione di concorrenti non italiani, che producono altrove e, quindi, portano via ricchezza al mercato interno. A questo si aggiunga che gli incentivi non riescono più a coprire l’improduttività di stabilimenti come quello di Termini Imprese, che è l’unico di cui si parla, ma non l’unico in quella condizione. Quindi, se la Fiat deve dare in cambio il mantenimento di quel tipo d’occupazione, fa due conti e, giustamente, rifiuta l’offerta. Questa strada, insomma, non può più essere battuta. Il che non significa privare il governo di strumenti con cui condurre la politica industriale, anzi, forse è vero l’esatto contrario, perché la fine degli aiuti per mascherare l’improduttività apre la via alla spesa di soldi pubblici per finanziare due esigenze nevralgiche: la ricerca e la mobilità. Anziché cercare di difendere l’esistente, si dovrà investire per propiziare il futuro, sia arricchendo lo scandalosamente povero capitolo della ricerca, sia spostando l’attenzione dalla salvaguardia dei posti di lavoro alla salvaguardia dei lavoratori, incentivandone, così, la mobilità e la riqualificazione. Credo che lo si sarebbe dovuto fare molto tempo addietro. Ci siamo arrivati attraverso la più contorta delle vie, addirittura facendosi dire dai sovvenzionati che la libertà di stare alle regole del mercato è più conveniente della riscossione di ciò che dovrebbe mitigare i rigori della competizione globale. Paradossale. Il governo colga l’occasione, benché non propriamente ricercata, e non solo blocchi il provvedimento incentivi, risparmiando soldi, ma imposti subito una politica capace di parlare una lingua diversa. Ci sono i margini per trarre bene dal male, non lasciamoceli sfuggire.
Il governo offre aiuti economici e la Fiat li rifiuta. La scena è così surreale da meritare non solo d’essere raccontata, ma spiegata. Vediamola in modo diverso, a seconda dei due punti di vista: per la Fiat, il governo offre troppo poco, rispetto a quel che chiede indietro; per il governo, la Fiat sottovaluta le obbligazioni sociali che derivano dall’utilizzo di aiuti statali. Ci sono ragioni da ambo le parti, e proprio per questo occorre prendere atto della cosa più rilevante: il sistema degli aiuti pubblici non può più funzionare, va archiviato. Secondo Luca Cordero di Montezemolo, la Fiat non avrebbe mai ricevuto un euro dallo Stato. E’ un sofisma. La Fiat s’è giovata di moltissimi aiuti pubblici: dagli incentivi per gli acquirenti d’auto alla svendita dell’Alfa Romeo. Lo stesso Sergio Marchionne, appena due giorni fa, riconosceva i più recenti. Questo enorme sforzo è servito, negli anni, per rendere più forte la presenza italiana nel mercato dell’auto, e non sempre è stato utilizzato nel migliore dei modi. Quello schema, però, funzionava in un mondo chiuso, senza regole europee che impediscono gli aiuti di Stato, mentre, oggi, per replicare lo stesso schema si finisce con il mettere i soldi del contribuente a disposizione di concorrenti non italiani, che producono altrove e, quindi, portano via ricchezza al mercato interno. A questo si aggiunga che gli incentivi non riescono più a coprire l’improduttività di stabilimenti come quello di Termini Imprese, che è l’unico di cui si parla, ma non l’unico in quella condizione. Quindi, se la Fiat deve dare in cambio il mantenimento di quel tipo d’occupazione, fa due conti e, giustamente, rifiuta l’offerta. Questa strada, insomma, non può più essere battuta. Il che non significa privare il governo di strumenti con cui condurre la politica industriale, anzi, forse è vero l’esatto contrario, perché la fine degli aiuti per mascherare l’improduttività apre la via alla spesa di soldi pubblici per finanziare due esigenze nevralgiche: la ricerca e la mobilità. Anziché cercare di difendere l’esistente, si dovrà investire per propiziare il futuro, sia arricchendo lo scandalosamente povero capitolo della ricerca, sia spostando l’attenzione dalla salvaguardia dei posti di lavoro alla salvaguardia dei lavoratori, incentivandone, così, la mobilità e la riqualificazione. Credo che lo si sarebbe dovuto fare molto tempo addietro. Ci siamo arrivati attraverso la più contorta delle vie, addirittura facendosi dire dai sovvenzionati che la libertà di stare alle regole del mercato è più conveniente della riscossione di ciò che dovrebbe mitigare i rigori della competizione globale. Paradossale. Il governo colga l’occasione, benché non propriamente ricercata, e non solo blocchi il provvedimento incentivi, risparmiando soldi, ma imposti subito una politica capace di parlare una lingua diversa. Ci sono i margini per trarre bene dal male, non lasciamoceli sfuggire.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento