«La vetrina si ripara in fretta, la paura di mia figlia no, quella resta». Maria viene dal Perù, sua figlia ha 10 anni ed è italiana, è nata a Milano, va a scuola a Milano. La scuola di via Padova. L’altra sera ci si sono messi in 30-40 nordafricani a mandare in frantumi la vetrina del suo negozio di alimentari, prima con delle bottiglie poi con un tubo d’acciaio, e lei era dentro, asserragliata per due ore con tutta la famiglia, a sperare che se ne andassero, ad aspettare la polizia. Poco più avanti, di fianco al portone del civico 80, ci sono mazzi di fiori, e cartelli di compassione e dell’unico programma politico possibile: «Vogliamo vivere in pace». Sull’asfalto ci sono ancora i segni di una grande macchia di sangue: è il punto dove, nel pomeriggio di sabato, è stato ucciso a coltellate da un gruppo di sudamericani Abdel Aziz el Saied, neanche ventenne pizzaiolo egiziano. A seguire, quattro ore di guerriglia urbana, devastazioni e inseguimenti tra gruppi di latinos e di magrebini. Quattro egiziani irregolari, tra i 19 e i 31 anni, sono stati fermati per devastazione e saccheggio. Storico quartiere di immigrazione prima dal sud, adesso da fuori Europa, questo di via Padova. Dove si arriva anche al 40% di presenze straniere, e dove, per la Camera di Commercio, 1.311 imprese sono intestate ad immigrati, quasi la metà. Persone di 50 nazionalità diverse, cinesi, egiziani, peruviani, marocchini, senegalesi, tunisini, colombiani, si incrociano nel quartiere più interetnico di Milano, paradigma dell’assenza totale di governo dell’immigrazione in città. Integrazione: la parola magica del nuovo millennio, quella di cui mai si vede traccia. E che ieri in via Padova veniva invocata persino col megafono. «Politici e polizia non lo sanno che succede qui? - chiede Ahmed, mediatore culturale algerino - Qui ovunque c’è spaccio di droga, la gente vive ammassata anche in 10-12 in un bilocale, affittato o subaffittato da italiani. La situazione è così da dieci anni, ma nessuno fa niente». Su questo, almeno, sono tutti d’accordo, italiani e immigrati. E, infatti, è stata una contestazione multietnica quella che ha colto di sorpresa, ieri, prima il vicesindaco-sceriffo Riccardo De Corato, e poi pure Davide Boni, capodelegazione della Lega in Regione. «Dove sono le telecamere che ci avete promesse - gridavano decine di residenti - dove sono finite le promesse di legalità che ci hai fatto? Vergognati». E la situazione per qualche momento è tornata incandescente. «Ci lasciano nella paura. Io per dormire prendo il sonnifero - dice una signora italiana - Questa è una zona maledetta. Non è questione di razzismo; però il Comune deve aiutare, noi e loro». Già, il Comune. Quindici anni di governi di destra in città come in Regione, 4 di Moratti, per non dire del governo nazionale: un fallimento assoluto dell’integrazione, la sicurezza è solo un’icona acchiappa-voti. Per esempio: le istituzioni hanno messo molti ostacoli all’assegnazione di case popolari agli stranieri, manca una politica abitativa che distribuisca la presenza di immigrati in città, molti italiani danno in affitto (in nero) case cadenti a prezzi altissimi. Et voilà i quartieri ghetto. Il candidato per il centrosinistra in Regione, Filippo Penati, chiede le dimissioni di De Corato, responsabile che ha fallito. E ha una richiesta anche per la signora Moratti: «Provi il brivido di camminare in via Padova, invece di occuparsi di traffico, salotti ed Expo». La tragedia di sabato è nata dal niente: un apprezzamento di troppo sulla fidanzata della vittima sul 56, l’unico autobus della zona, un inseguimento, una coltellata al torace. A uccidere sarebbero stati cinque o sei della banda dei «Chicago», gang di latinos già nota per aggressioni in città. Trecento nordafricani scendono in strada, anche per impedire che la vittima venisse portata via, volevano garantirle una sepoltura in tempi brevi, come prevede l’Islam. Per un centinaio, la rabbia è furore cieco. Sette auto sono state ribaltate in via Padova e altre due in via Leoncavallo, lì dietro (dove un tempo c’era il centro sociale che, se non fosse stato sgomberato, forse avrebbe potuto funzionare da punto di riferimento e aggregazione), un’altra ventina tra auto e motorini sono stati danneggiati, e poi sono state prese di mira vetrine e insegne di cinque negozi gestiti da latinoamericani. «Quello che è accaduto è il risultato del governo di questa città e di questo paese - dice ancora Ahmed - Ed è solo l’inizio».
lunedì 15 febbraio 2010
Colpa del governo xenofobo...
Milano, viaggio nella babele violenta e multietnica di Laura Matteucci
«La vetrina si ripara in fretta, la paura di mia figlia no, quella resta». Maria viene dal Perù, sua figlia ha 10 anni ed è italiana, è nata a Milano, va a scuola a Milano. La scuola di via Padova. L’altra sera ci si sono messi in 30-40 nordafricani a mandare in frantumi la vetrina del suo negozio di alimentari, prima con delle bottiglie poi con un tubo d’acciaio, e lei era dentro, asserragliata per due ore con tutta la famiglia, a sperare che se ne andassero, ad aspettare la polizia. Poco più avanti, di fianco al portone del civico 80, ci sono mazzi di fiori, e cartelli di compassione e dell’unico programma politico possibile: «Vogliamo vivere in pace». Sull’asfalto ci sono ancora i segni di una grande macchia di sangue: è il punto dove, nel pomeriggio di sabato, è stato ucciso a coltellate da un gruppo di sudamericani Abdel Aziz el Saied, neanche ventenne pizzaiolo egiziano. A seguire, quattro ore di guerriglia urbana, devastazioni e inseguimenti tra gruppi di latinos e di magrebini. Quattro egiziani irregolari, tra i 19 e i 31 anni, sono stati fermati per devastazione e saccheggio. Storico quartiere di immigrazione prima dal sud, adesso da fuori Europa, questo di via Padova. Dove si arriva anche al 40% di presenze straniere, e dove, per la Camera di Commercio, 1.311 imprese sono intestate ad immigrati, quasi la metà. Persone di 50 nazionalità diverse, cinesi, egiziani, peruviani, marocchini, senegalesi, tunisini, colombiani, si incrociano nel quartiere più interetnico di Milano, paradigma dell’assenza totale di governo dell’immigrazione in città. Integrazione: la parola magica del nuovo millennio, quella di cui mai si vede traccia. E che ieri in via Padova veniva invocata persino col megafono. «Politici e polizia non lo sanno che succede qui? - chiede Ahmed, mediatore culturale algerino - Qui ovunque c’è spaccio di droga, la gente vive ammassata anche in 10-12 in un bilocale, affittato o subaffittato da italiani. La situazione è così da dieci anni, ma nessuno fa niente». Su questo, almeno, sono tutti d’accordo, italiani e immigrati. E, infatti, è stata una contestazione multietnica quella che ha colto di sorpresa, ieri, prima il vicesindaco-sceriffo Riccardo De Corato, e poi pure Davide Boni, capodelegazione della Lega in Regione. «Dove sono le telecamere che ci avete promesse - gridavano decine di residenti - dove sono finite le promesse di legalità che ci hai fatto? Vergognati». E la situazione per qualche momento è tornata incandescente. «Ci lasciano nella paura. Io per dormire prendo il sonnifero - dice una signora italiana - Questa è una zona maledetta. Non è questione di razzismo; però il Comune deve aiutare, noi e loro». Già, il Comune. Quindici anni di governi di destra in città come in Regione, 4 di Moratti, per non dire del governo nazionale: un fallimento assoluto dell’integrazione, la sicurezza è solo un’icona acchiappa-voti. Per esempio: le istituzioni hanno messo molti ostacoli all’assegnazione di case popolari agli stranieri, manca una politica abitativa che distribuisca la presenza di immigrati in città, molti italiani danno in affitto (in nero) case cadenti a prezzi altissimi. Et voilà i quartieri ghetto. Il candidato per il centrosinistra in Regione, Filippo Penati, chiede le dimissioni di De Corato, responsabile che ha fallito. E ha una richiesta anche per la signora Moratti: «Provi il brivido di camminare in via Padova, invece di occuparsi di traffico, salotti ed Expo». La tragedia di sabato è nata dal niente: un apprezzamento di troppo sulla fidanzata della vittima sul 56, l’unico autobus della zona, un inseguimento, una coltellata al torace. A uccidere sarebbero stati cinque o sei della banda dei «Chicago», gang di latinos già nota per aggressioni in città. Trecento nordafricani scendono in strada, anche per impedire che la vittima venisse portata via, volevano garantirle una sepoltura in tempi brevi, come prevede l’Islam. Per un centinaio, la rabbia è furore cieco. Sette auto sono state ribaltate in via Padova e altre due in via Leoncavallo, lì dietro (dove un tempo c’era il centro sociale che, se non fosse stato sgomberato, forse avrebbe potuto funzionare da punto di riferimento e aggregazione), un’altra ventina tra auto e motorini sono stati danneggiati, e poi sono state prese di mira vetrine e insegne di cinque negozi gestiti da latinoamericani. «Quello che è accaduto è il risultato del governo di questa città e di questo paese - dice ancora Ahmed - Ed è solo l’inizio».
«La vetrina si ripara in fretta, la paura di mia figlia no, quella resta». Maria viene dal Perù, sua figlia ha 10 anni ed è italiana, è nata a Milano, va a scuola a Milano. La scuola di via Padova. L’altra sera ci si sono messi in 30-40 nordafricani a mandare in frantumi la vetrina del suo negozio di alimentari, prima con delle bottiglie poi con un tubo d’acciaio, e lei era dentro, asserragliata per due ore con tutta la famiglia, a sperare che se ne andassero, ad aspettare la polizia. Poco più avanti, di fianco al portone del civico 80, ci sono mazzi di fiori, e cartelli di compassione e dell’unico programma politico possibile: «Vogliamo vivere in pace». Sull’asfalto ci sono ancora i segni di una grande macchia di sangue: è il punto dove, nel pomeriggio di sabato, è stato ucciso a coltellate da un gruppo di sudamericani Abdel Aziz el Saied, neanche ventenne pizzaiolo egiziano. A seguire, quattro ore di guerriglia urbana, devastazioni e inseguimenti tra gruppi di latinos e di magrebini. Quattro egiziani irregolari, tra i 19 e i 31 anni, sono stati fermati per devastazione e saccheggio. Storico quartiere di immigrazione prima dal sud, adesso da fuori Europa, questo di via Padova. Dove si arriva anche al 40% di presenze straniere, e dove, per la Camera di Commercio, 1.311 imprese sono intestate ad immigrati, quasi la metà. Persone di 50 nazionalità diverse, cinesi, egiziani, peruviani, marocchini, senegalesi, tunisini, colombiani, si incrociano nel quartiere più interetnico di Milano, paradigma dell’assenza totale di governo dell’immigrazione in città. Integrazione: la parola magica del nuovo millennio, quella di cui mai si vede traccia. E che ieri in via Padova veniva invocata persino col megafono. «Politici e polizia non lo sanno che succede qui? - chiede Ahmed, mediatore culturale algerino - Qui ovunque c’è spaccio di droga, la gente vive ammassata anche in 10-12 in un bilocale, affittato o subaffittato da italiani. La situazione è così da dieci anni, ma nessuno fa niente». Su questo, almeno, sono tutti d’accordo, italiani e immigrati. E, infatti, è stata una contestazione multietnica quella che ha colto di sorpresa, ieri, prima il vicesindaco-sceriffo Riccardo De Corato, e poi pure Davide Boni, capodelegazione della Lega in Regione. «Dove sono le telecamere che ci avete promesse - gridavano decine di residenti - dove sono finite le promesse di legalità che ci hai fatto? Vergognati». E la situazione per qualche momento è tornata incandescente. «Ci lasciano nella paura. Io per dormire prendo il sonnifero - dice una signora italiana - Questa è una zona maledetta. Non è questione di razzismo; però il Comune deve aiutare, noi e loro». Già, il Comune. Quindici anni di governi di destra in città come in Regione, 4 di Moratti, per non dire del governo nazionale: un fallimento assoluto dell’integrazione, la sicurezza è solo un’icona acchiappa-voti. Per esempio: le istituzioni hanno messo molti ostacoli all’assegnazione di case popolari agli stranieri, manca una politica abitativa che distribuisca la presenza di immigrati in città, molti italiani danno in affitto (in nero) case cadenti a prezzi altissimi. Et voilà i quartieri ghetto. Il candidato per il centrosinistra in Regione, Filippo Penati, chiede le dimissioni di De Corato, responsabile che ha fallito. E ha una richiesta anche per la signora Moratti: «Provi il brivido di camminare in via Padova, invece di occuparsi di traffico, salotti ed Expo». La tragedia di sabato è nata dal niente: un apprezzamento di troppo sulla fidanzata della vittima sul 56, l’unico autobus della zona, un inseguimento, una coltellata al torace. A uccidere sarebbero stati cinque o sei della banda dei «Chicago», gang di latinos già nota per aggressioni in città. Trecento nordafricani scendono in strada, anche per impedire che la vittima venisse portata via, volevano garantirle una sepoltura in tempi brevi, come prevede l’Islam. Per un centinaio, la rabbia è furore cieco. Sette auto sono state ribaltate in via Padova e altre due in via Leoncavallo, lì dietro (dove un tempo c’era il centro sociale che, se non fosse stato sgomberato, forse avrebbe potuto funzionare da punto di riferimento e aggregazione), un’altra ventina tra auto e motorini sono stati danneggiati, e poi sono state prese di mira vetrine e insegne di cinque negozi gestiti da latinoamericani. «Quello che è accaduto è il risultato del governo di questa città e di questo paese - dice ancora Ahmed - Ed è solo l’inizio».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento