venerdì 5 febbraio 2010

Trattato sott’accusa

Così la Babele europea inguaia anche l’economia. I conti in bilico di Atene, i timori sulla Spagna e i veti sulle imprese

Da una parte la difficoltà nel fronteggiare in maniera coordinata le finanze pubbliche ballerine e gli alti e i bassi dell’economia, dall’altra il rischio di diventare politicamente irrilevanti: in pochi giorni i 27 stati dell’Unione europea sono tornati a fare i conti con i loro incubi peggiori. E il Trattato di Lisbona, entrato in vigore due mesi fa, adesso è già sotto processo. “Prima la Grecia, quindi il Portogallo, e poi cos’altro ancora?”, s’è chiesto Wolfgang Münchau, commentatore degli affari europei per il Financial Times. Seguiva breve compendio per spiegare “cosa deve fare l’eurozona se intende sopravvivere”. La domanda retorica dell’ex condirettore del FT Deutschland era più o meno questa: che cosa deve capitare di peggio, dopo il dichiarato stato di emergenza dei conti pubblici di Grecia e Portogallo, perché le istituzioni comunitarie riescano a cambiare rotta? La risposta non è tardata: può capitare ad esempio che il presidente degli Stati Uniti, per bocca del suo portavoce, annunci di non avere mai nemmeno messo in agenda il vertice bilaterale previsto per maggio dalla presidenza spagnola dell’Ue. Abbastanza perché Le Monde titolasse così il suo editoriale di ieri: “L’Europa snobbata”. Il quotidiano francese, più che prendere atto dell’ineluttabilità del G2, ovvero del coordinamento di ferro tra Washington e Pechino che marginalizza Bruxelles, invita gli europei a fare autocritica. Sulla stessa linea è l’ambasciatore Silvio Fagiolo, già rappresentante permanente dell’Italia presso l’Ue: “L’America reagisce in questo modo perché non ha visto delinearsi alcun profilo europeo”, dice al Foglio. Eppure, con il Trattato di Lisbona le figure istituzionali certo non mancano: “Anzi, forse sono troppe”, nota Fagiolo, oggi docente di Relazioni internazionali alla Luiss. “La cacofonia istituzionale evidentemente non funziona – continua l’ambasciatore – il fatto di avere contemporaneamente una presidenza rotante tra i 27, un presidente dell’Ue e un ministro degli Esteri unico, oggi non fa che aggravare i problemi che derivano dall’indebolimento delle strutture federali come Parlamento e Commissione”. Secondo Fagiolo il Trattato contiene già “elementi dinamici” che consentirebbero di “creare nuclei di paesi che si spingono in avanti rispetto ad alcune politiche, senza attendere l’accordo unanime di tutti e 27 i membri”, ma rispetto alla realizzazione di questa ipotesi si dice “pessimista”. Statura politica a parte, la struttura istituzionale ipertrofica – come sosteneva ieri il Financial Times – rischia anche di compromettere le potenzialità di sviluppo di quella che resta la più grande economia di mercato del pianeta. Gli ultimi allarmanti segnali vengono dalla Spagna; ieri i timori per lo stato dei conti pubblici di Madrid hanno trascinato le borse al ribasso. A riportare la calma non sono servite nemmeno le parole di Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo: “Il Portogallo e la Spagna non rappresentano un rischio per Eurolandia”. Poco prima il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, dopo aver comunicato che il livello dei tassi resta invariato, ha avvertito che “molti Paesi dell’Eurozona stanno registrando forti squilibri di bilancio” e che ciò potrà “frenare gli investimenti privati”. Ma come se non bastasse la recessione, i grandi gruppi lamentano le situazioni paradossali di cui sarebbe responsabile Bruxelles. Proprio ieri l’Eni ha avviato la chiusura di un contenzioso con l’Antitrust comunitario, impegnandosi a una “cessione differenziata” dei suoi gasdotti: Tag (che collega la Russia all’Italia) rimarrà in mano pubblica attraverso la Cassa depositi e prestiti, mentre Tenp e Transitgas (che portano il gas dal Mare del Nord) saranno venduti. Il Cane a sei zampe ha evitato così esiti più penalizzanti (una multa fino a 1,5 miliardi di euro), ma in ambienti dell’Eni non si nascondono dubbi di fondo sull’impostazione della Commissione: “Spesso a Bruxelles cercano di inseguire l’ideale di un mercato perfetto, mentre i paesi produttori sono monopolisti e parlano effettivamente con un’unica voce”. D’altronde gli argomenti critici utilizzati da altre fonti industriali europee sono simili: “Ai mercati, a maggior ragione in questo momento, servirebbero certezze piuttosto che veti incrociati e prassi degne della migliore tradizione mandarina”.

di Marco Valerio Lo Prete

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