Roma - La seconda giornata consecutiva di «confessionale» fa vacillare persino il Cavaliere. Che si presenta alla Camera per il voto sul decreto Emergenza e passa quasi due ore a ricevere uno dietro l’altro deputati d’ogni dove, tutti con le loro doglianze sulla gestione del partito, delle candidature e di questo inizio di campagna elettorale. Un assaggio Berlusconi l’aveva avuto giovedì, quando si era limitato a una ventina di minuti nell’anticamera che porta in Aula, a stringere mani e scambiare poche battute con i parlamentari del Pdl. Ma ieri ha deciso di dedicarsi al problema a tempo pieno, tanto che davanti alla sala del governo era un via vai di deputati che entravano e uscivano. Un susseguirsi di lamentele e recriminazioni, una sequela di problemi da risolvere che certo non contribuiscono al buon umore del premier. Che già non era dei migliori, visto che di prima mattina il Consiglio dei ministri si è aperto con l’ennesima minaccia di dimissioni di Tremonti. «Questa volta lascio, lascio davvero», sono state le parole del titolare dell’Economia dopo un lungo braccio di ferro con Brunetta che avrebbe voluto mettere all’ordine del giorno la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Una minaccia alla quale il Cavaliere si è limitato a rispondere con uno sguardo che i presenti definiscono «fulminante». Tanto che più tardi Tremonti s’è lasciato sfuggire un «finiremo come la Grecia». Così, quando nella sala del governo di Montecitorio si presentano più gruppi di parlamentari campani la situazione non può che precipitare. Prima il dimissionario Cosentino, poi la Mussolini, la De Girolamo, Labocetta, Landolfi, Di Caterina e via andare. Quasi tutti - la Mussolini in prima fila - a lamentarsi della «gestione Bocchino», che non contento di aver ottenuto la candidatura di Caldoro, vorrebbe «dettare legge» su tutto e tutti. È anche per questo, dicono i presenti, che Caldoro è calato nei sondaggi da +10 a +6, perché mentre De Luca incontra gli operai «noi stiamo a farci la guerra e a discutere dell’alleanza con l’Udc». E Cosentino, è stato il senso del ragionamento, ha le sue buone ragioni se Bocchino formalizza l’accordo con l’Udc in Campania durante il pranzo tra Berlusconi e Fini. Ci sta, insomma, che si sia dimesso da coordinatore. Berlusconi ascolta e il durissimo j’accuse nei confronti di Bocchino lo colpisce al punto che un’ora dopo, parlando d’altro con Stracquadanio e la Biancofiore, interrompe la conversazione con il seguente interrogativo: «Ma com’è davvero questo Bocchino?». D’altra parte, è di pochi giorni fa la querelle sul decreto Emergenza. Con il presidente dei deputati Pdl Cicchitto che in capigruppo ipotizza la fiducia e il suo vice Bocchino che nella riunione successiva dice esattamente il contrario. Non è un caso, dunque, che a Palazzo Grazioli siano in molti a dubitare che alla fine Berlusconi spingerà davvero per ridisegnare i vertici del partito affidando il Pdl al tandem Bondi-Bocchino. Perché, è il ragionamento, finirebbe per ripresentarsi la stessa dicotomia che c’è alla Camera. Sul caso Campania, il Cavaliere torna nel pomeriggio. Quando incontra Cosentino a via del Plebiscito e lo convince finalmente a ritirare le dimissioni sia da coordinatore che da sottosegretario. «Nicola, ora pensiamo a vincere - dice il premier - e poi sistemeremo le cose. Me ne occuperò di persona». Una giornata di full immersion per Berlusconi, che insieme ai coordinatori La Russa e Verdini prende in mano anche le liste elettorali. E blocca quelle di tre regioni, tra cui la Lombardia. Perché, ipotizza qualcuno, i rumors su un’imminente inchiesta a carico di un assessore della giunta Formigoni sono sempre più forti. Una due giorni sfiancante, insomma. Anche perché, confida Berlusconi durante le sue tante conversazioni private, «troppi dirigenti pensano a difendere il loro piccolo orticello più che l’interesse generale del Pdl». Anche, aggiunge, a costo di perdere regioni importanti. Troppo «egoismo», troppe «delusioni». Anche da politici di prima fascia. «Quasi, quasi - si sfoga in privato - questo partito vien voglia di chiuderlo...». Di certo, dopo le regionali «si azzera tutto» e si «ricomincia da capo». Facce nuove e approccio nuovo. Intanto, il premier è al lavoro anche sul fronte campagna elettorale. Sono ormai pronte le bozze dell’opuscolo a colori Il governo del fare che sarà distribuito in tutte le regioni al voto. E che elenca «i successi» di quello che Berlusconi definisce «uno Stato che è tornato a fare lo Stato». Quattro i capitoli: «Superare la crisi globale», «Le grandi emergenze», «Governare il presente e preparare il futuro» e «Italia protagonista del mondo». Lo slogan è quasi obbligato: «Vota il governo del fare».
sabato 20 febbraio 2010
Il Pdl
Berlusconi: "Il Pdl? Dopo il voto si azzera tutto" di Adalberto Signore
Roma - La seconda giornata consecutiva di «confessionale» fa vacillare persino il Cavaliere. Che si presenta alla Camera per il voto sul decreto Emergenza e passa quasi due ore a ricevere uno dietro l’altro deputati d’ogni dove, tutti con le loro doglianze sulla gestione del partito, delle candidature e di questo inizio di campagna elettorale. Un assaggio Berlusconi l’aveva avuto giovedì, quando si era limitato a una ventina di minuti nell’anticamera che porta in Aula, a stringere mani e scambiare poche battute con i parlamentari del Pdl. Ma ieri ha deciso di dedicarsi al problema a tempo pieno, tanto che davanti alla sala del governo era un via vai di deputati che entravano e uscivano. Un susseguirsi di lamentele e recriminazioni, una sequela di problemi da risolvere che certo non contribuiscono al buon umore del premier. Che già non era dei migliori, visto che di prima mattina il Consiglio dei ministri si è aperto con l’ennesima minaccia di dimissioni di Tremonti. «Questa volta lascio, lascio davvero», sono state le parole del titolare dell’Economia dopo un lungo braccio di ferro con Brunetta che avrebbe voluto mettere all’ordine del giorno la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Una minaccia alla quale il Cavaliere si è limitato a rispondere con uno sguardo che i presenti definiscono «fulminante». Tanto che più tardi Tremonti s’è lasciato sfuggire un «finiremo come la Grecia». Così, quando nella sala del governo di Montecitorio si presentano più gruppi di parlamentari campani la situazione non può che precipitare. Prima il dimissionario Cosentino, poi la Mussolini, la De Girolamo, Labocetta, Landolfi, Di Caterina e via andare. Quasi tutti - la Mussolini in prima fila - a lamentarsi della «gestione Bocchino», che non contento di aver ottenuto la candidatura di Caldoro, vorrebbe «dettare legge» su tutto e tutti. È anche per questo, dicono i presenti, che Caldoro è calato nei sondaggi da +10 a +6, perché mentre De Luca incontra gli operai «noi stiamo a farci la guerra e a discutere dell’alleanza con l’Udc». E Cosentino, è stato il senso del ragionamento, ha le sue buone ragioni se Bocchino formalizza l’accordo con l’Udc in Campania durante il pranzo tra Berlusconi e Fini. Ci sta, insomma, che si sia dimesso da coordinatore. Berlusconi ascolta e il durissimo j’accuse nei confronti di Bocchino lo colpisce al punto che un’ora dopo, parlando d’altro con Stracquadanio e la Biancofiore, interrompe la conversazione con il seguente interrogativo: «Ma com’è davvero questo Bocchino?». D’altra parte, è di pochi giorni fa la querelle sul decreto Emergenza. Con il presidente dei deputati Pdl Cicchitto che in capigruppo ipotizza la fiducia e il suo vice Bocchino che nella riunione successiva dice esattamente il contrario. Non è un caso, dunque, che a Palazzo Grazioli siano in molti a dubitare che alla fine Berlusconi spingerà davvero per ridisegnare i vertici del partito affidando il Pdl al tandem Bondi-Bocchino. Perché, è il ragionamento, finirebbe per ripresentarsi la stessa dicotomia che c’è alla Camera. Sul caso Campania, il Cavaliere torna nel pomeriggio. Quando incontra Cosentino a via del Plebiscito e lo convince finalmente a ritirare le dimissioni sia da coordinatore che da sottosegretario. «Nicola, ora pensiamo a vincere - dice il premier - e poi sistemeremo le cose. Me ne occuperò di persona». Una giornata di full immersion per Berlusconi, che insieme ai coordinatori La Russa e Verdini prende in mano anche le liste elettorali. E blocca quelle di tre regioni, tra cui la Lombardia. Perché, ipotizza qualcuno, i rumors su un’imminente inchiesta a carico di un assessore della giunta Formigoni sono sempre più forti. Una due giorni sfiancante, insomma. Anche perché, confida Berlusconi durante le sue tante conversazioni private, «troppi dirigenti pensano a difendere il loro piccolo orticello più che l’interesse generale del Pdl». Anche, aggiunge, a costo di perdere regioni importanti. Troppo «egoismo», troppe «delusioni». Anche da politici di prima fascia. «Quasi, quasi - si sfoga in privato - questo partito vien voglia di chiuderlo...». Di certo, dopo le regionali «si azzera tutto» e si «ricomincia da capo». Facce nuove e approccio nuovo. Intanto, il premier è al lavoro anche sul fronte campagna elettorale. Sono ormai pronte le bozze dell’opuscolo a colori Il governo del fare che sarà distribuito in tutte le regioni al voto. E che elenca «i successi» di quello che Berlusconi definisce «uno Stato che è tornato a fare lo Stato». Quattro i capitoli: «Superare la crisi globale», «Le grandi emergenze», «Governare il presente e preparare il futuro» e «Italia protagonista del mondo». Lo slogan è quasi obbligato: «Vota il governo del fare».
Roma - La seconda giornata consecutiva di «confessionale» fa vacillare persino il Cavaliere. Che si presenta alla Camera per il voto sul decreto Emergenza e passa quasi due ore a ricevere uno dietro l’altro deputati d’ogni dove, tutti con le loro doglianze sulla gestione del partito, delle candidature e di questo inizio di campagna elettorale. Un assaggio Berlusconi l’aveva avuto giovedì, quando si era limitato a una ventina di minuti nell’anticamera che porta in Aula, a stringere mani e scambiare poche battute con i parlamentari del Pdl. Ma ieri ha deciso di dedicarsi al problema a tempo pieno, tanto che davanti alla sala del governo era un via vai di deputati che entravano e uscivano. Un susseguirsi di lamentele e recriminazioni, una sequela di problemi da risolvere che certo non contribuiscono al buon umore del premier. Che già non era dei migliori, visto che di prima mattina il Consiglio dei ministri si è aperto con l’ennesima minaccia di dimissioni di Tremonti. «Questa volta lascio, lascio davvero», sono state le parole del titolare dell’Economia dopo un lungo braccio di ferro con Brunetta che avrebbe voluto mettere all’ordine del giorno la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Una minaccia alla quale il Cavaliere si è limitato a rispondere con uno sguardo che i presenti definiscono «fulminante». Tanto che più tardi Tremonti s’è lasciato sfuggire un «finiremo come la Grecia». Così, quando nella sala del governo di Montecitorio si presentano più gruppi di parlamentari campani la situazione non può che precipitare. Prima il dimissionario Cosentino, poi la Mussolini, la De Girolamo, Labocetta, Landolfi, Di Caterina e via andare. Quasi tutti - la Mussolini in prima fila - a lamentarsi della «gestione Bocchino», che non contento di aver ottenuto la candidatura di Caldoro, vorrebbe «dettare legge» su tutto e tutti. È anche per questo, dicono i presenti, che Caldoro è calato nei sondaggi da +10 a +6, perché mentre De Luca incontra gli operai «noi stiamo a farci la guerra e a discutere dell’alleanza con l’Udc». E Cosentino, è stato il senso del ragionamento, ha le sue buone ragioni se Bocchino formalizza l’accordo con l’Udc in Campania durante il pranzo tra Berlusconi e Fini. Ci sta, insomma, che si sia dimesso da coordinatore. Berlusconi ascolta e il durissimo j’accuse nei confronti di Bocchino lo colpisce al punto che un’ora dopo, parlando d’altro con Stracquadanio e la Biancofiore, interrompe la conversazione con il seguente interrogativo: «Ma com’è davvero questo Bocchino?». D’altra parte, è di pochi giorni fa la querelle sul decreto Emergenza. Con il presidente dei deputati Pdl Cicchitto che in capigruppo ipotizza la fiducia e il suo vice Bocchino che nella riunione successiva dice esattamente il contrario. Non è un caso, dunque, che a Palazzo Grazioli siano in molti a dubitare che alla fine Berlusconi spingerà davvero per ridisegnare i vertici del partito affidando il Pdl al tandem Bondi-Bocchino. Perché, è il ragionamento, finirebbe per ripresentarsi la stessa dicotomia che c’è alla Camera. Sul caso Campania, il Cavaliere torna nel pomeriggio. Quando incontra Cosentino a via del Plebiscito e lo convince finalmente a ritirare le dimissioni sia da coordinatore che da sottosegretario. «Nicola, ora pensiamo a vincere - dice il premier - e poi sistemeremo le cose. Me ne occuperò di persona». Una giornata di full immersion per Berlusconi, che insieme ai coordinatori La Russa e Verdini prende in mano anche le liste elettorali. E blocca quelle di tre regioni, tra cui la Lombardia. Perché, ipotizza qualcuno, i rumors su un’imminente inchiesta a carico di un assessore della giunta Formigoni sono sempre più forti. Una due giorni sfiancante, insomma. Anche perché, confida Berlusconi durante le sue tante conversazioni private, «troppi dirigenti pensano a difendere il loro piccolo orticello più che l’interesse generale del Pdl». Anche, aggiunge, a costo di perdere regioni importanti. Troppo «egoismo», troppe «delusioni». Anche da politici di prima fascia. «Quasi, quasi - si sfoga in privato - questo partito vien voglia di chiuderlo...». Di certo, dopo le regionali «si azzera tutto» e si «ricomincia da capo». Facce nuove e approccio nuovo. Intanto, il premier è al lavoro anche sul fronte campagna elettorale. Sono ormai pronte le bozze dell’opuscolo a colori Il governo del fare che sarà distribuito in tutte le regioni al voto. E che elenca «i successi» di quello che Berlusconi definisce «uno Stato che è tornato a fare lo Stato». Quattro i capitoli: «Superare la crisi globale», «Le grandi emergenze», «Governare il presente e preparare il futuro» e «Italia protagonista del mondo». Lo slogan è quasi obbligato: «Vota il governo del fare».
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