Era il 1995 quando don Piero Gallo lanciò l’allarme sui quartieri dell’immigrazione. Primo in Italia a dire che presto si sarebbe arrivati «alla guerra civile», perché nella sua Torino già s’avvertiva «voglia di spranga». Oggi i problemi di convivenza colpiscono indistintamente etnie diverse, commercianti italiani e cinesi, saldando spesso l’immigrazione clandestina al lavoro nero in un sistema di degrado sociale che soltanto le forze dell’ordine sono riuscite a risolvere, e che in alcune città resta ancora irrisolto. A Prato la tensione sociale ha raggiunto i livelli di guardia. La protesta contro l’apertura di un maxiristorante cinese, che raccoglie già 3.332 adesioni on line, è solo la più recente in termini di tempo; perché il malcontento va ben oltre i coperti a base di ideogrammi. Nell'ultimo triennio la provincia toscana ha perso 10mila posti di lavoro a vantaggio del distretto industriale creato dalle 4mila imprese cinesi che fatturano circa 3 miliardi di euro all’anno. La crisi ha accentuato i problemi di convivenza e, visto che i commercianti italiani chiudono mentre tre nuove strutture cinesi si preparano ad aprire - una in via Concioni, con circa 800 coperti, una in via Galcianese e in via Paronese -, alcuni cittadini hanno programmato una manifestazione per domenica 28 febbraio. A Modena, in Zona Tempio, è straniero un quarto dei residenti. I comitati dei residenti spiegano, dati alla mano, che i furti nei negozi ad opera di immigrati clandestini sono aumentati con la conseguente perdita di clientela da parte dei commercianti, denunciando sulle tv locali che le task force a tempo messe in campo dal Comune non hanno risolto la situazione. (Il fenomeno interessa anche un’altra zona di Modena, quella residenziale, dove s’incontrano soltanto prostitute già alle sei della sera). A Verona, nel quartiere Veronetta, il gip Rita Caccamo ha invece ordinato la confisca di sedici appartamenti: 15mila euro di multa ad ognuno dei 38 proprietari e affittuari che avevano come inquilini immigrati irregolari ha ridato fiducia ai residenti. Trentasei appartamenti in condizioni igienico-sanitarie precarie - dal 2004 rifugio per clandestini e spacciatori - avevano infatti creato un ghetto simile a quello smantellato di recente in via Anelli, a Padova. Nell’ex quartiere della droga la situazione è migliorata. Gli sgomberi attuati dal sindaco Flavio Zanonato, in due appartamenti abitati prevalentemente da nigeriani, hanno diluito altrove le criminalità d’ogni genere che risiedevano in via Anelli. Lì, oggi, resta soltanto un centro islamico e qualche scritta razzista. A Brescia, nel Quartiere Carmine, la convivenza tra le 62 etnie presenti è invece ancora molto difficile. Tra i cittadini italiani che si sentono ormai in minoranza e gli immigrati la tensione è forte. Le prime proteste risalgono al 2002, da quando spaccio e prostituzione in edifici fatiscenti sono diventati il principale business del quartiere. Ancora oggi gli irregolari nel bresciano sono circa 12mila, secondo i dati del Centro Interuniversitario di ricerca sulle migrazioni. E i commercianti hanno preferito spostarsi altrove. A Torino, Quartiere San Salvario, gli scontri fra le 36 etnie sono diventati meno visibili, eppure ancora presenti. Il lavoro svolto dal Comune e dalle forze dell’ordine ha dato i suoi frutti, con la maggior parte dei commercianti che aveva preferito chiudere le attività negli anni passati che sta tentando di riavvicinarsi a una zona in parziale risanamento. Dunque «basta intervenire per evitare che la gente decida di vendicarsi», come dice alla Repubblica il procuratore aggiunto ed esperto di criminalità urbana, Paolo Borgna, che due anni fa aprì le prime inchieste proprio per il Tossic Park torinese? Se guardiamo a come lo Stato e le istituzioni locali hanno gestito i problemi di convivenza anche in altre zone d’Italia, come gli scontri di Castelvolturno nella Provincia di Caserta, o gli sgomberi nel Rosarnese, verrebbe da rispondere con un «sì». Per evitare, a Sud come al Nord, che siano i cittadini a impugnare la spranga. Come denunciava don Gallo quindici anni fa.
lunedì 15 febbraio 2010
Gli ospiti (italiani)
Ecco tutte le casbah d’Italia dove gli italiani sono ospiti di Francesco De Remigis
Era il 1995 quando don Piero Gallo lanciò l’allarme sui quartieri dell’immigrazione. Primo in Italia a dire che presto si sarebbe arrivati «alla guerra civile», perché nella sua Torino già s’avvertiva «voglia di spranga». Oggi i problemi di convivenza colpiscono indistintamente etnie diverse, commercianti italiani e cinesi, saldando spesso l’immigrazione clandestina al lavoro nero in un sistema di degrado sociale che soltanto le forze dell’ordine sono riuscite a risolvere, e che in alcune città resta ancora irrisolto. A Prato la tensione sociale ha raggiunto i livelli di guardia. La protesta contro l’apertura di un maxiristorante cinese, che raccoglie già 3.332 adesioni on line, è solo la più recente in termini di tempo; perché il malcontento va ben oltre i coperti a base di ideogrammi. Nell'ultimo triennio la provincia toscana ha perso 10mila posti di lavoro a vantaggio del distretto industriale creato dalle 4mila imprese cinesi che fatturano circa 3 miliardi di euro all’anno. La crisi ha accentuato i problemi di convivenza e, visto che i commercianti italiani chiudono mentre tre nuove strutture cinesi si preparano ad aprire - una in via Concioni, con circa 800 coperti, una in via Galcianese e in via Paronese -, alcuni cittadini hanno programmato una manifestazione per domenica 28 febbraio. A Modena, in Zona Tempio, è straniero un quarto dei residenti. I comitati dei residenti spiegano, dati alla mano, che i furti nei negozi ad opera di immigrati clandestini sono aumentati con la conseguente perdita di clientela da parte dei commercianti, denunciando sulle tv locali che le task force a tempo messe in campo dal Comune non hanno risolto la situazione. (Il fenomeno interessa anche un’altra zona di Modena, quella residenziale, dove s’incontrano soltanto prostitute già alle sei della sera). A Verona, nel quartiere Veronetta, il gip Rita Caccamo ha invece ordinato la confisca di sedici appartamenti: 15mila euro di multa ad ognuno dei 38 proprietari e affittuari che avevano come inquilini immigrati irregolari ha ridato fiducia ai residenti. Trentasei appartamenti in condizioni igienico-sanitarie precarie - dal 2004 rifugio per clandestini e spacciatori - avevano infatti creato un ghetto simile a quello smantellato di recente in via Anelli, a Padova. Nell’ex quartiere della droga la situazione è migliorata. Gli sgomberi attuati dal sindaco Flavio Zanonato, in due appartamenti abitati prevalentemente da nigeriani, hanno diluito altrove le criminalità d’ogni genere che risiedevano in via Anelli. Lì, oggi, resta soltanto un centro islamico e qualche scritta razzista. A Brescia, nel Quartiere Carmine, la convivenza tra le 62 etnie presenti è invece ancora molto difficile. Tra i cittadini italiani che si sentono ormai in minoranza e gli immigrati la tensione è forte. Le prime proteste risalgono al 2002, da quando spaccio e prostituzione in edifici fatiscenti sono diventati il principale business del quartiere. Ancora oggi gli irregolari nel bresciano sono circa 12mila, secondo i dati del Centro Interuniversitario di ricerca sulle migrazioni. E i commercianti hanno preferito spostarsi altrove. A Torino, Quartiere San Salvario, gli scontri fra le 36 etnie sono diventati meno visibili, eppure ancora presenti. Il lavoro svolto dal Comune e dalle forze dell’ordine ha dato i suoi frutti, con la maggior parte dei commercianti che aveva preferito chiudere le attività negli anni passati che sta tentando di riavvicinarsi a una zona in parziale risanamento. Dunque «basta intervenire per evitare che la gente decida di vendicarsi», come dice alla Repubblica il procuratore aggiunto ed esperto di criminalità urbana, Paolo Borgna, che due anni fa aprì le prime inchieste proprio per il Tossic Park torinese? Se guardiamo a come lo Stato e le istituzioni locali hanno gestito i problemi di convivenza anche in altre zone d’Italia, come gli scontri di Castelvolturno nella Provincia di Caserta, o gli sgomberi nel Rosarnese, verrebbe da rispondere con un «sì». Per evitare, a Sud come al Nord, che siano i cittadini a impugnare la spranga. Come denunciava don Gallo quindici anni fa.
Era il 1995 quando don Piero Gallo lanciò l’allarme sui quartieri dell’immigrazione. Primo in Italia a dire che presto si sarebbe arrivati «alla guerra civile», perché nella sua Torino già s’avvertiva «voglia di spranga». Oggi i problemi di convivenza colpiscono indistintamente etnie diverse, commercianti italiani e cinesi, saldando spesso l’immigrazione clandestina al lavoro nero in un sistema di degrado sociale che soltanto le forze dell’ordine sono riuscite a risolvere, e che in alcune città resta ancora irrisolto. A Prato la tensione sociale ha raggiunto i livelli di guardia. La protesta contro l’apertura di un maxiristorante cinese, che raccoglie già 3.332 adesioni on line, è solo la più recente in termini di tempo; perché il malcontento va ben oltre i coperti a base di ideogrammi. Nell'ultimo triennio la provincia toscana ha perso 10mila posti di lavoro a vantaggio del distretto industriale creato dalle 4mila imprese cinesi che fatturano circa 3 miliardi di euro all’anno. La crisi ha accentuato i problemi di convivenza e, visto che i commercianti italiani chiudono mentre tre nuove strutture cinesi si preparano ad aprire - una in via Concioni, con circa 800 coperti, una in via Galcianese e in via Paronese -, alcuni cittadini hanno programmato una manifestazione per domenica 28 febbraio. A Modena, in Zona Tempio, è straniero un quarto dei residenti. I comitati dei residenti spiegano, dati alla mano, che i furti nei negozi ad opera di immigrati clandestini sono aumentati con la conseguente perdita di clientela da parte dei commercianti, denunciando sulle tv locali che le task force a tempo messe in campo dal Comune non hanno risolto la situazione. (Il fenomeno interessa anche un’altra zona di Modena, quella residenziale, dove s’incontrano soltanto prostitute già alle sei della sera). A Verona, nel quartiere Veronetta, il gip Rita Caccamo ha invece ordinato la confisca di sedici appartamenti: 15mila euro di multa ad ognuno dei 38 proprietari e affittuari che avevano come inquilini immigrati irregolari ha ridato fiducia ai residenti. Trentasei appartamenti in condizioni igienico-sanitarie precarie - dal 2004 rifugio per clandestini e spacciatori - avevano infatti creato un ghetto simile a quello smantellato di recente in via Anelli, a Padova. Nell’ex quartiere della droga la situazione è migliorata. Gli sgomberi attuati dal sindaco Flavio Zanonato, in due appartamenti abitati prevalentemente da nigeriani, hanno diluito altrove le criminalità d’ogni genere che risiedevano in via Anelli. Lì, oggi, resta soltanto un centro islamico e qualche scritta razzista. A Brescia, nel Quartiere Carmine, la convivenza tra le 62 etnie presenti è invece ancora molto difficile. Tra i cittadini italiani che si sentono ormai in minoranza e gli immigrati la tensione è forte. Le prime proteste risalgono al 2002, da quando spaccio e prostituzione in edifici fatiscenti sono diventati il principale business del quartiere. Ancora oggi gli irregolari nel bresciano sono circa 12mila, secondo i dati del Centro Interuniversitario di ricerca sulle migrazioni. E i commercianti hanno preferito spostarsi altrove. A Torino, Quartiere San Salvario, gli scontri fra le 36 etnie sono diventati meno visibili, eppure ancora presenti. Il lavoro svolto dal Comune e dalle forze dell’ordine ha dato i suoi frutti, con la maggior parte dei commercianti che aveva preferito chiudere le attività negli anni passati che sta tentando di riavvicinarsi a una zona in parziale risanamento. Dunque «basta intervenire per evitare che la gente decida di vendicarsi», come dice alla Repubblica il procuratore aggiunto ed esperto di criminalità urbana, Paolo Borgna, che due anni fa aprì le prime inchieste proprio per il Tossic Park torinese? Se guardiamo a come lo Stato e le istituzioni locali hanno gestito i problemi di convivenza anche in altre zone d’Italia, come gli scontri di Castelvolturno nella Provincia di Caserta, o gli sgomberi nel Rosarnese, verrebbe da rispondere con un «sì». Per evitare, a Sud come al Nord, che siano i cittadini a impugnare la spranga. Come denunciava don Gallo quindici anni fa.
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