mercoledì 17 febbraio 2010

Eurabia francese

Le Monde pro burqa, alla faccia del vecchio femminismo islamofobo. Per Le Monde è una libertà portarlo di Ugo Volli

Cari amici,
vi siete mai chiesti perché i grandi giornali, i "migliori giornali", i "quality paper" sono così eurarabi? "Repubblica", naturalmente, ma anche "Le monde". "El Pais". Vi raccomando di non credere alle voci maligne secondo cui non sono affatto i migliori, ma sono espressione di un'élite autoproclamata che prosegue le vecchie tecniche degli "intellettuali organici" del vecchio comunismo. No, non è assolutamente vero. Certamente, essi guidano l'opinione pubblica, sfidando la volgarità dei risultati elettorali e perseguono una giusta agenda politica multiculturalista e terzomondista. Ma lo fanno proprio perché sono i migliori. Un po' come i filosofi re che per Platone dovevano governare, proprio perché erano diversi dal popolaccio. Fossero i peggiori, si piegherebbero vilmente alla volontà dell'elettorato e penserebbero egoisticamente al bene del paese in cui operano, o anche dell'intera Europa. Ma il loro è un pensiero mondiale, superiore, bellissimo: aboliamo ogni differenza, abbandoniamoci alla volontà dei popoli nuovi che emergono, non rivendichiamo niente della nostra cultura, salvo un marxismo ecologista un po' annacquato e spariamo fra i flutti ballando sul ritmo di un motivetto melanconico, come i passeggeri del Titanic. Mi veniva in mente quest'utopia, leggendo un articolo pubblicato ieri su "Le monde" dalla geniale Stephanie Le Bars, intitolato dal giornale "Piccoli aggiustamenti col velo". Vorrei farvelo leggere tutto, tant'è poetico; ma sarebbe troppo lungo. Vi cito qui il sommario: "Professoresse, studentesse, giuriste, sono musulmane. Portano il velo, ma hanno talvolta dovuto decidere di abbandonarlo per lavorare. Queste donne hanno dovuto adattarsi, fra compromessi e frustrazioni." Poverine, capite? Hanno dovuto abbandonare il velo... Loro sarebbero libere, non farebbero certamente a meno di questo segno di libertà, magari anche del burka, se la repressiva società francese non glielo impedisse. Per sostenere questa tesi ardita e nobile, in quanto di opposizione, chi intervista la coraggiosa Le Bars: mah, dei tipi assai comuni, per esempio una certa Fatima, che evidentemente timorosa di rappresaglie statali "richiede l'anonimato": è un tipo qualunque, una donna comune, per caso candidata alle prossime elezioni in Provenza dell'importantissimo "Novueau Parti Anticapitaliste"; poi c'è Lila Charef, "giurista del Collettivo contro l'Islamofobia in Francia", Hawwa Hue Trinh Nguien, caporedattore di un importante giornale che si chiama "Salam News". Gente così, scelta a caso, per nulla ideologica. Non la solita casalinga che è stata consegnata dalla famiglia al marito che la picchia e la obbliga a non uscire di casa, no, non cose così volgari. La creme de la creme, come si addice a un grande giornale. Alla faccia del vecchio femminismo islamofobo. Leggete l'articolo e vi sentite subito in colpa per non essere in Arabia Saudita, dove le donne sono assolutamente libere di non guidare l'automobile. Questa è grande stampa: non arrendersi ai luoghi comuni dell'islamobobia, sapere da subito chi ha ragione e chi ha torto. Per questo i giornali migliori sono eurarabi: perché sono migliori e sanno far appello alla nostra coscienza.

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