Il Pdl è «pigro», e si limita «a galleggiare». Il governo si «accapiglia» su questioni «non essenziali come la par condicio», e invece dovrebbe finalmente decidersi a «scegliere una linea», facendo quelle riforme, ma quale giustizia, qui è di welfare, fisco, sanità e pensioni che bisogna occuparsi, che «sono in agenda da 15 anni» e senza le quali a fine legislatura «sarà difficile spiegare perché siamo ancora alle prese con gli stessi titoli dell’agenda». Sul Corriere della Sera di ieri mattina c’era Massimo D’Alema che diceva più o meno le stesse cose, se pure, bisogna annotarlo, con toni meno sferzanti. Ma lui, Gianfranco Fini l’artefice della strigliata al governo, non ha bisogno di copiare. Del resto il punto non è questo. Non più. Non si tratta più di perfezionare l’opera di smarcamento dalle politiche berlusconiane cercando consensi nella vasta area critica che va da Casini a Bersani. Quanto di dare un’impronta nuova: un altro Pdl è possibile.
Così è se vi pare, e del resto basta ascoltarlo, il presidente della Camera. Già la sera prima, a Roma, davanti ai 600 commensali da mille euro a testa della cena elettorale di Fare Futuro, aveva rivendicato il diritto-dovere di fare politica nonostante il suo ruolo istituzionale, e come primo atto aveva scelto di dire che «un Pdl sempre con la bava alla bocca non è quello più gradito». Ieri, fra Milano e Vicenza, l’ex leader di An ha rincarato la dose, dettando il programma di una specie di «governo ombra». «Non parlo così perché mi diverto a seminare zizzania come spesso si legge», ha esordito alla tavola rotonda sulla crisi economica organizzata a Milano da Libertiamo, l’associazione del deputato Pdl Benedetto Della Vedova, ma nella convinzione che «senza confronto si rischia l’atteggiamento più pericoloso per una forza di governo, la pigrizia, il richiamare solo ciò che è stato fatto». Del resto a lui ciò che è stato fatto non piace granché. Il federalismo «sta moltiplicando e non riducendo i costi». La par condicio è «questione non essenziale, negli altri Paesi meriterebbe non più di una riga sui giornali». Quanto al tema del dibattito: il rigore che il ministro Giulio Tremonti ha imposto ai conti è stato giusto, ma «è un tampone»: adesso bisogna «far ripartire l’economia», tanto che Fini non vede «contrasto con la linea suggerita dal presidente della Banca d’Italia Mario Draghi», certo, ce n’è per tutti, basterebbe che «i ministri smettessero di litigare ognuno per il suo orticello». Ed è qui che l’eterno Delfino morde, elencando le cose su cui «il governo deve dare un’accelerata, con più coraggio». Se il momento, con le Regionali alle porte, non pare esattamente uno dei più azzeccati, è il come che ieri ha fatto dire alla Lega, con il deputato Raffaele Volpi: «Fini ha iniziato la campagna elettorale. Per il centrosinistra», e al Pd, con Cesare Damiano: «Da Fini un ripensamento radicale delle politiche del centrodestra perseguite con forte determinazione dai governi Berlusconi». Alle riforme istituzionali bisogna affiancare quelle «strutturali», avverte Fini. Il welfare, ricordando che accanto a cassintegrati, anziani e disabili c’è una categoria «più debole ancora, i giovani», che meritano un «welfare delle opportunità». Non fosse altro che sono alle prese con «una flessibilità del mondo del lavoro che ormai equivale a precarietà assoluta e sfruttamento legalizzato». E non fosse altro che «oggi sono loro a pagare le pensioni». Loro e gli immigrati, rilancia Fini, il cui «contributo è determinante per pagare le pensioni dei nostri vecchi». Che poi, a proposito di immigrati, dice l’ex leader di An che lui la legge con Umberto Bossi la rifirmerebbe «domani mattina», e però: «È necessario affrontare il problema più ad ampio raggio». Le pensioni, si diceva: «Tremonti e Sacconi hanno ragione nel dire che non abbiamo la stessa urgenza di altri Paesi, ma l’equilibrio può durare dieci anni, poi è destinato a rompersi». Quindi la stoccata: «Basta dire che non conviene, per esempio perché ci sono le Regionali. Non sempre la logica del non conviene è quella giusta». E i soldi per le riforme? Il governo deve tagliare la spesa pubblica, riducendo «il ceto politico. Detto brutalmente: di politica e burocrazia campano un paio di milioni di italiani», il che consentirà di realizzare l’altro «obiettivo strategico» del taglio delle tasse. Di giustizia, Fini parla solo se interpellato. Il processo breve passerà? «Al momento è in Parlamento, ma il verbo al futuro...», dice. Più tardi preciserà: «Stavo scherzando».
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