ROMA — Onorevole D’Alema, siamo davanti a una nuova Tangentopoli? «Siamo in un momento effettivamente molto difficile per il Paese. Anzitutto per la gravità della crisi economica e sociale. Non è vero, come il governo ha sostenuto con faciloneria, che ne siamo fuori. Al contrario, cresce la disoccupazione, è in pericolo una parte della struttura industriale del Paese e non c’è alcuna politica da parte del governo. In questa situazione di sofferenza sociale si innesta un decadimento della classe dirigente del Paese. È un inutile esercizio stabilire se siamo di nuovo a Tangentopoli o no. Quello che emerge è che fenomeni di corruzione investono sia la società che la politica. Ma la politica ha una responsabilità in più perché anziché costruire degli argini ha lavorato per abbatterli. E ciò ha contribuito alla rottura del rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini. L’orientamento della politica impresso dal centrodestra va verso l’impunità. L’indebolimento e la delegittimazione della magistratura non aiutano certo la lotta alla corruzione e alla criminalità. E in un contesto di questo genere i fenomeni di illegalità vengono a crescere perché la percezione che la si possa fare franca tende a essere diffusa».
Per la verità il cosiddetto sistema Bertolaso era in voga anche con Prodi. «Io non ho detto che questi sistemi sono stati creati dal governo Berlusconi. Ma non si può sostenere che centrosinistra e centrodestra siano uguali. Noi abbiamo un sottosegretario della Repubblica, Cosentino, che è inseguito da un mandato di cattura per associazione a delinquere di stampo mafioso a cui il premier ha detto di rimanere al suo posto. Il sindaco di Bologna, invece, accusato di reati infinitamente minori, per rispetto verso le istituzioni della sua città si è dimesso».
Onorevole D’Alema, che è successo, all’improvviso è diventato giustizialista? «Figuriamoci, sono sempre stato molto prudente, più di una volta ho detto che i magistrati hanno compiuto delle forzature ma il modo in cui il Pdl e il presidente del Consiglio festeggiano la sentenza della Cassazione sul caso Mills mi sembra francamente eccessivo. È vero che la Cassazione ha detto che i magistrati di Milano hanno forzato l’interpretazione in materia di prescrizione però ha detto anche che la corruzione c’è stata».
Tornando al discorso che stava facendo sulla corruzione... «Io penso che il rischio di una frattura tra Paese e istituzioni e lo spettacolo di una classe dirigente alla ricerca di un facile arricchimento mentre c’è gente che perde il lavoro configurino un quadro estremamente preoccupante. Ed è per questo che si impone la ripresa di un’azione riformatrice. Il sistema politico deve reagire dandosi delle regole per fare pulizia al proprio interno e deve dire quali riforme intende intraprendere. Il punto più grave è la crisi del Parlamento. In questi anni si è pensato a come rafforzare il governo e l’effetto di tutto questo è stato un restringimento della democrazia e dei controlli che non ha prodotto maggiore efficacia e qualità delle decisioni. Quindici anni di berlusconismo non hanno prodotto nessuna decisione importante per il Paese».
Ma lei che cosa propone a questo punto? C’è una ricetta, una soluzione? «Penso che tutto questo richieda una forte iniziativa. Anche da parte delle personalità della destra che avvertono questo rischio. È tempo di reagire. Non è tollerabile che le riforme che tutti dicono da anni di voler fare non vengano fatte: alla fine la caduta di credibilità diventa micidiale. Sono anni che si dice che bisogna uscire dal bicameralismo, ridurre il numero dei parlamentari e io aggiungo che sarebbe bene ridurre anche i membri dei Consigli regionali, comunali ecc».
Onorevole D’Alema, quali sarebbero le personalità della destra di cui parla? «Pisanu nell’intervista al vostro giornale faceva delle considerazioni che vanno in questa stessa direzione. E, comunque, come ha detto Fini, non dobbiamo sprecare questa legislatura dal punto di vista delle riforme che si possono fare. E io sono persuaso che la condizione perché si apra una stagione di riforme è che Berlusconi esca ridimensionato dal voto delle Regionali. Così queste voci più riflessive del centrodestra potranno avere un peso».
E Berlusconi? «La sua voce è veramente stridente rispetto al Paese. Invece di spiegare che le Regionali sono l’occasione per scegliere buoni amministratori, il presidente del Consiglio ha detto che sono uno scontro tra il bene e il male. È un’affermazione che, se presa sul serio, suscita indignazione. Fortunatamente, ormai, si comincia a non prenderlo più sul serio. Anche tutta questa "fuffa" del governo del fare si è molto ridimensionata. L’Aquila era uno dei fiori all’occhiello di questo governo, ora non hanno più coraggio di ripresentarsi lì che la gente li rincorre. C’è stata una grande esagerazione mediatica».
Su Berlusconi Casini non dice cose tanto diverse, eppure è vostro alleato solo in alcune regioni, altrove sta con il centrodestra. «Sono perplesso per alcune delle scelte fatte da Casini. Lui è tra le persone che esprimono preoccupazioni non dissimili dalle nostre. Detto questo, le sue scelte per le Regionali appaiono abbastanza contraddittorie. Come conciliare, ad esempio, la polemica che l’Udc conduce in Parlamento contro la politica anti-meridionale del governo e l’alleanza con il Pdl in Campania e Calabria? In particolare in Campania a Casini e De Mita non può certo sfuggire quale sia la realtà del Pdl».
Come mai il Pd ha aderito al secondo "No-Bday"? «Non si può non guardare con rispetto e simpatia a chi scende in piazza per la legalità contro la corruzione. Ma movimenti e partiti hanno funzioni diverse. E poi che vuole, mi hanno anche dato la patente. Se non fossi a fare comizi elettorali quasi quasi...».
Onorevole D’Alema, a proposito di lotta alla corruzione, che cosa si può fare per prevenire certi fenomeni? «Il governo annuncia provvedimenti. Vedremo di che si tratta. Il primo provvedimento sarebbe quello di ritirare la proposta di legge del cosiddetto processo breve, che avrebbe l’effetto di una amnistia per corrotti e corruttori. Ma, al di là delle misure legislative, è molto importante che i partiti abbiamo serietà e rigore nella selezione del ceto politico. Ci sono dei buchi nella legislazione. Il principio di presunzione di innocenza, che è un principio fondamentale del nostro ordinamento, non può però essere applicato in modo meccanico nei criteri di selezione delle candidature. In Italia uno ha diritto a essere innocente fino alla sentenza definitiva (che purtroppo è spesso la prescrizione del reato), questo vale per i cittadini normali, ma chi viene rinviato a giudizio per reati gravi e odiosi è uno di quegli innocenti di cui si può tranquillamente fare a meno nelle assemblee elettive».
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