martedì 2 febbraio 2010

Partito democratico

Bassolino vs De Luca di Davide Giacalone

Le vie del giustizialismo sono infinite, e pure quelle della questione immorale. Anche le vie della politica sono molteplici, e dopo le gozzoviglie dei tortellini crapuloni arrivano le sceneggiate dei paccheri in salsa rossa. Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno ed esponente del Partito Democratico, accusò esplicitamente i governanti della Campania, e in particolare Antonio Bassolino, di avere gestito il problema della spazzatura lasciando che la camorra si arricchisse. Il moralizzatore di allora si ritrova a fare i conti con i mozzorecchi d’oggi, che non lo vogliono candidato perché imputato. L’oppositore di ieri annuncia, adesso, che anche Bassolino è parte della storia gloriosa della sinistra meridionale. No, non è un abbraccio. Ha solo disinfettato la lama. Napoli non è una zona rossa, non è Bologna. Ma ha una lunga tradizione di amministrazioni di sinistra, poi divenute anche regionali. Basti ricordare Maurizio Valenzi, a lungo sindaco (oltre che di famiglia ebraica e livornese, quindi da amare). Per fare approvare i bilanci aveva bisogno dei voti democristiani, che arrivavano puntuali. Le distinzioni, un tempo, erano più chiare, pur non rinunciando alle confluenze d’interessi. La sinistra d’adesso s’è riunita, per designare De Luca, presso il Vesuvio. Il più lussuoso albergo partenopeo. I compagni hanno varcato la porta rotante, sperando di non veder rotolare il partito apparato, il partito amministrazione, l’unico che conoscono. Si sono adattati agli agi e oramai parlano la lingua della città introdotta e benestante, incravattata by Marinella. Hanno imparato che la ricchezza non è un peccato, ma hanno scordato la premessa: purché guadagnata. Si sono scambiati favori e posti con il grande impero di Bassolino, ma ora lasciano Totonno al suo dorato e rischioso tramonto, pronti ad applaudire chi lo osteggiava ruvidamente, mentre il partito stava dalla parte dell’ex ingraiano, ex sindacalista, ma sempre convinto bassolinista. Fra i marmi e i velluti, accolti da un generale con la tuba in testa, ca pare un pazzo, invece è ‘u portiere, con i convenuti che non si chiamano compagni, perché, o vere, ce simmo rutt ‘i ‘sti cose, cui credono solo quattro scafessi, è capitata la classica scena da film, che ci metti tre giorni per spiegarla a chi non ha la cultura adatta: si alza Alfonso Andria e va ad abbracciare De Luca. Applausi, lucciconi. Gomitate d’intesa. Chi è, costui? Un europarlamentare della sinistra, che, nel 2006, i Ds e la Margherita volevano sindaco di Salerno, per liberarsi di De Luca e del suo ostinato e smargiassono antibassolinismo. Vinse De Luca. Merita il bacio. Si commuovono anche le pezzogne, che s’avviano a sposarsi con cappero e pummarola, per ristorare i convenuti, magari sulla terrazza Caruso. Signori, questa è grande scuola meridionale! La battaglia di De Luca contro Bassolino fu assai più determinata di quella del centro destra, che avrebbe dovuto essere l’opposizione e che, invece, s’è sentito poco o non s’è sentito affatto. Scurdammoce ‘o passato, ora il passaggio del testimone avviene fra i flash dei fotografi, ma senza alcuna consultazione del partito, né con dei congressi, né con elezioni primarie. Il tragitto della democrazia interna è come la scalinatella: longa longa e stritturella. Non che nel centro destra le cose vadano meglio, ma, almeno, da quella parte nessuno si sogna di dire che i militanti e gli elettori contano qualche cosa. Contro De Luca si sono già pronunciati l’Italia dei Valori e il Partito della Rifondazione Comunista. Gli ultimi combattenti pro Bassolino. Ma la cosa paradossale è che gli italovaloristi avversano De Luca proprio per ragioni morali, essendo quest’ultimo coinvolto in vicende giudiziarie. Di quelle che hanno riguardato l’amministrazione regionale, guidata dai loro compagni di coalizione, non devono essersi accorti. In effetti De Luca è stato rinviato a giudizio, per falso e truffa, assieme al presidente degli industriali di Napoli ed altri. La vicenda è quella della delocalizzazione delle Manifatture Cotoniere Meridionali, di Salerno. La prima udienza è prevista per il prossimo giugno. Per noi, naturalmente, in questo caso come sempre, vale la presunzione d’innocenza. De Luca, non lo si dimentichi, era divenuto sindaco dopo le dimissioni di Vincenzo Giordano, a sua volta affondato da indagini penali, che poi si rivelarono senza fondamento. Silurato dalla locale tangentopoli, fu scagionato quando era politicamente defunto. Non è, insomma, una storia isolata e inedita: i virtuosi dell’accusa si trovano a loro volta imputati, ma evitano di dimettersi, come, invece, imposero ai predecessori, anzi, si candidano a più alti incarichi. Vi pare brutto? E che volete farci, la giustizia italiana s’aggira in Africa, come ci ricordano da due anni, il che ha attirato l’attenzione dei cannibali. “Ha da passa’ ‘a nuttata”, scriveva Eduardo. I cugini siciliani sono più amaramente realisti: “chiù scuru ri mezzanotti ‘un po’ fari”. La dolcezza del lungomare, davanti all’Albero Vesuvio, intenerisce l’anima. De Luca esce candidato unico del Pd, avendo vinto le preprimarie, in assenza di competitori. I rifondaroli protestino pure, e vadano a spiegare che ci facevano in giunta. De Magistris e Di Pietro faranno a chi ce le ha più tonde, le manette, ma l’unico risultato cui possono ambire è quello di rendere un omaggio a Bassolino. Che il lungomare lo calca veloce, ma l’unica cosa che lo illanguidisce è la gioia di vedere De Luca perdere. Vendetta? Ma no, ancora vi sfugge il paradigma culturale: istinto di sopravvivenza.

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